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Gambit: Recensione in Anteprima

In attesa del loro prossimo film, i fratelli Coen tornano in sala firmando la sceneggiatura di Gambit, remake dell’originale del 1966. Ecco la nostra recensione in anteprima

pubblicato 20 Febbraio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 17:22

Prove generali in attesa di Inside Llewyn Davis. Prove per noi, ovviamente, non per i fratelli Coen. Sì perché erano tre anni che il regista a due teste non si vedeva in alcun modo in sala, e questo Gambit rappresenta un mezzo ritorno. Sì perché, di fatto, si tratta di un lavoro a mezzo servizio, alla luce di una sceneggiatura sfornata nell’ambito di un progetto che evidentemente non appartiene loro.

Sul risultato ci soffermeremo a breve, non prima di avere in qualche modo inquadrato il contesto. Harry Deane (Colin Firth) è un curatore di mostre che opera nella City, al servizio dell’uomo più ricco e per certi aspetti eccentrico d’Inghilterra, tale Lionel Shabandar (Alan Rickman). Nel tentativo di portare a termine una truffa che potrebbe fruttargli parecchi quattrini, Deane si reca in Texas e da lì dà seguito al suo diabolico piano: vendere un quadro contraffatto spacciandolo per quello originale. Per riuscirci, però, avrà bisogno di un complice, ossia P.J. Puznowski (Cameron Diaz), una rustica allevatrice di polli texana, abilissima nel rodeo.

In corso d’opera ci sarà anche spazio per uno stravagante Stanley Tucci, anch’egli esperto d’arte, venuto da Colonia. Insomma, gli ingredienti per la classica commedia di un tempo ci sono tutti. Non mancano i personaggi, né il potenziale per metter su un lavoro onesto, godibile e sopra le righe. È andata così?

No. A chi scrive costa parecchio doverlo ammettere, in quanto strenuo estimatore dei Coen – e non dell’ultim’ora. Ma nell’assistere a come questo Gambit procede, trascinandosi per un’ora e mezza, non c’è nulla di edificante. E dire che qualcosa l’avevamo intuita già dal trailer, nonché dall’apertura stessa del film, totalmente affidata all’animazione. Ma checché ne pensasse Oscar Wilde, pur apprezzando le apparenze, di solito non ci fermiamo a queste.

Tuttavia si tratta di un’impressione che monta sempre di più, in maniera proporzionale allo scadimento del film. Sì, al suo interno troviamo certe fattispecie, se vogliamo, tipiche dei Coen: il reiterato ricorso a nomi velatamente strambi, la voce narrante di un personaggio marginale, qualche dialogo vagamente serrato etc. Ma si tratta tutt’al più di spunti, firma autografa di due autori che stentiamo a credere abbiamo riposto più di tanto fiducia in questo remake; mossa, a questo punto sì, poco fondata.

Termometro di Gambit resta comunque il lungo episodio al Savoy, che molti potrebbero trovare in qualche misura esilarante, ma che proprio per questo stona. Interamente basato su una serie di misure da bassa commedia, tra peti ed equivoci a sfondo sessuale (non volgari, comunque) tipici da contesti che hanno poco o niente su cui aggrapparsi. Che si tratti di Deane in mutande sul cornicione dell’Hotel mentre tiene in mano un vaso Ming, o l’assurdo giro di camere dello stesso (a tratti, bisogna ammetterlo, spassoso), latita del tutto quel fine sarcasmo che è marchio di fabbrica dei Coen. Una comicità tirata per i capelli, che di colto o anche solo intelligente non ha nulla, e che si vorrebbe in qualche modo elevare per via di una seppur dignitosa performance dell’elegante Colin Firth. Insulsa la J.P. della Diaz, specie in considerazione del ruolo di peso che ricopre nell’economia della trama: la bella Cameron calca troppo la mano sulla caratterizzazione della texana-tipo, finendo col naufragare nel mare dell’accentuazione molesta, soprattutto in termini verbabli (abbiamo visto il film in originale, e non possiamo fare a meno di riconoscere che quella cantilena fuori posto dopo un po’ cominci ad infastidire).

Certo, Gambit avrà pure i suoi momenti. Uno potrebbe benissimo essere proprio quello che coinvolge Deane al Savoy, ma in generale è meglio rivolgersi ai dettagli, come due adorabili scimmiette che cavalcano altrettanti cani a mo’ di rodeo, oppure due gondole che si muovono all’interno di una grane piscina, emblema dello sfarzo di una festa organizzata da Shabandar. Quest’ultimo protagonista di qualche uscita esilarante, come quando nega categoricamente di coltivare simpatie per il nudismo pur camminando per l’ufficio completamente nudo. Oppure ancora il personaggio di Tucci, tale Martin Zaidenweber, che dopo un ingresso molto promettente si eclissa fino quasi alla fine.

Tirando le somme, dunque, c’era necessariamente d’aspettarsi qualcosa in più da questo seppur immotivato remake. Salvo qualche rara uscita qua e là, difficile dire se la sceneggiatura dei Coen contenesse molto di più rispetto a quanto Michael Hoffman sia riuscito a mettere in scena. Dovessimo proprio sbilanciarci, propenderemmo per l’ipotesi di un lavoro raffazzonato già sulla carta, debole per gli oltremodo elevati standard di un autore (i Coen sono uno solo) che vale molto più di queste sin troppo timide operazioni.

Voto di Antonio: 4,5

Gambit (USA, 2012). Di Michael Hoffman, con Colin Firth, Cameron Diaz, Alan Rickman, Tom Courtenay, Stanley Tucci, Cloris Leachman, Julian Rhind-Tutt, Pip Torrens, Anna Skellern e Togo Igawa. Qui trovate il trailer ufficiale italiano. Nelle nostre sale da domani, giovedì 21 Febbraio.