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Oblivion: Recensione in Anteprima

Uno sconfinato amore per la fantascienza. Questo ha condotto Joseph Kosinski a strutturare un progetto come Oblivion, concepito su carta per la carta, poi successivamente ripreso ed adattato ad un contesto di tutt’altro tipo, ossia il grande schermo. Eppure, alla luce di quanto visto, ci appare chiaro che l’architetto dell’Iowa avesse in mente tale contesto sin da principio.

pubblicato 10 Aprile 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 15:58

Se c’è una peculiarità che sta venendo fuori dopo appena due pellicole, è la forte propensione del regista americano per l’esplosività visiva. Definizione effettivamente un po’ generica, ma che tenta suo malgrado di dare consistenza ad una cifra stilistica che va delineandosi sin da quei primi lavori in spot televisivi, come il celebre e pluri-premiato Mad World per pubblicizzare il videogioco Gears of War.

E che il cinema di Kosinski sia fortemente ancorato all’impatto ottico ce lo conferma anche questo Oblivion. I suoi film sembrano proprio partire da un contesto, uno spazio più o meno ricco, all’interno del quale vengono calate immagini prima ancora che situazioni. Non a caso l’intera trama del suo ultimo film la si potrebbe agevolmente contemplare in mezza pagina di quaderno, il che rappresenta la vera sfida a cui si è dovuto far fronte in Oblivion.

Il film parte a razzo, con un’introduzione tendente all’epico-fantascientifico, con uno sfondo musicale incalzante e del tutto appropriato (ci torneremo in chiusura). Ma dopo i primi dieci minuti scarsi, la narrazione risente di un lento ed inesorabile trascinarsi, abbarbicata a quell’unico momento che contrassegna la prima mezz’ora circa: sali e scendi dal cielo alla terra.

Qui s’impone un rapido excursus circa le premesse. La Terra è stata completamente devasta da una guerra protrattasi per anni contro gli scavenger, una razza aliena che ha costretto i governi del pianeta all’ineludibile opzione nucleare. A seguito della desolazione che ne è derivata, l’esigua popolazione sopravvissuta si è vista costretta a trasferirsi su una sorta di piattaforma orbitante (il Teth), in attesa di raccogliere energia sufficiente ed insediarsi definitivamente su Titano. Jack Harper e la sua collega Victoria (Andrea Riseborough) sono gli unici della loro specie rimasti sul nostro pianeta: la loro missione è quella di supervisionare i lavori di raccolta, confinati in una base nel cielo che prende il nome di Skytower.

E qui ci ricolleghiamo a quanto espresso sopra circa l’andamento iniziale. Con l’evidente intento, senza troppi giri di parole, di allungare il brodo, questa prima parte si sostanzia in una sorta di andirivieni privo di mordente alcuno; utile magari al fine di farci prendere confidenza col contesto, ma il cui reiterarsi lascia un po’ perplessi. Vediamo Jack tornare a casa, dopo essere sceso sulla terra ed aver rischiato la vita, quasi come quegli scenari da middleclass anni ’60 entrati prepotentemente nel nostro immaginario: borsa alla mano, mentre la moglie cucina la cena e chiede al marito com’è andata la giornata. Tenore che cozza con la magnificenza di certi scorci, potenti, frutto di un incontro tra fotografia e computer grafica davvero invidiabile.

Insomma, Oblivion ci mette un bel po’ per carburare. Anche dopo aver cambiato registro, Kosinski continua ad incalzarci con una cospicua mole di piani lunghissimi e panoramiche di vario tipo, impreziosite non tanto dalla composizione – per forza di cose scarna -, quanto da una fattura davvero pregevole. Ma che in questo caso le immagini, nonostante tutto, non bastino sé stesse, è una convinzione che ci viene selvaggiamente confermata dalla seconda parte. Quella in cui, per intenderci, dal macro di un pianeta tristemente morto, si passa al micro dell’esistenza di Jack. Non appena l’attenzione si sposta sui personaggi, si assiste ad una sorta di impennata, tanto più molesta quanto più ci si avvicina alla conclusione.

In un arco tutto sommato breve rispetto all’intera durata, quasi tutte le premesse ed i presupposti vengono capovolti: improvvisamente Kosinski ci scaraventa in faccia la verità di quel suo cosmo, generando un piacevole shock che comporta un repentino innalzamento in termini di contenuto. Oblivion procede come un seppur piccolo mosaico, i cui pochi tasselli faticano a consegnarci una forma; ma non appena questa si sostanzia, le influenze sono alte e piuttosto nitide. Si spazia da elementi tratti da un Terminator, ma soprattutto da Blade Runner (vera fonte d’ispirazione), passando per qualche opaco richiamo a 2001: Odissea nello Spazio – quest’ultimo omaggiato più che altro in aspetti se vogliamo marginali, oppure celati: ci riferiamo anzitutto alla tecnica di ripresa, da cui Kosinski ha in qualche modo attinto, oltre che alla presenza di un’importante navicella spaziale che prende proprio il nome di Odyssey.

Tante le citazioni, a partire da quel Racconto di due città cui ci tocca far ricorso per la terza volta nell’arco di pochi mesi, dopo Il Cavaliere Oscuro: Il Ritorno e Upside Down. Ma spazio anche a gruppi celebri come Led Zeppelin o Blue Öyster Cult, per i quali ci si limita più che altro ad una simpatica menzione. Encomiabile, ad ogni modo, una colonna sonora davvero notevole, che impreziosisce non di poco la portata di questo film. Dopo i Daft Punk in Tron: Legacy, Kosinski staziona nuovamente sull’elettronica, affidando l’arduo compito agli M83, gruppo francese estremamente interessante.

Sul comparto attoriale, Tom Cruise dimostra ancora una volta di sentirsi a proprio agio in certi contesti, rendendo giustizia ad una lunga carriera e ad un film che, a conti fatti, sembra essergli stato cucito su misura: dove lo metti sta, insomma. Dignitosa anche la bella Andrea Riseborough, perfettamente integrata e che, insieme a Cruise, forma senz’altro una «coppia efficiente» (cit.). Decisamente più ridimensionato il nostro parere su Olga Kurylenko, alla quale non viene certo affidato un ruolo di second’ordine: basta un’espressione di stupore per ahinoi evidenziare i patenti limiti di questa sua performance. Di Morgan Freeman ci piacerebbe scrivere di più ma non possiamo: vi basti solo sapere che insieme a lui è l’intera pellicola a cambiar pelle, nonostante il tutto sia imputabile ad una precisa scelta di sceneggiatura più che altro.

E tutto procede così, dopo quel colpo di coda estemporaneo che alza di molto l’asticella di Oblivion, che ad un certo punto rischiava di rimanere paradossalmente travolto dalla poca polpa, accartocciandosi disgraziatamente su sé stesso. Grazie al cielo comunque, come sopra rilevato, si fa in tempo a scongiurare la tragedia. Oblivion è una discreta opera di fantascienza, visivamente strabiliante (grosso merito all’IMAX), che si fa forte dell’integrazione di una tematica cara al genere e che ancora oggi trova la sua espressione massima in quell’indimenticato e solo tardivamente riconosciuto Blade Runner. Buona la seconda per un Kosinski che senz’altro deve ancora smussare alcuni angoli, ma che dimostra di sapersi barcamenare con buona disinvoltura in ambiti così instabili come quello di una produzione da 120 milioni di dollari.

Voto di Antonio: 7
Voto di Federico: 7
Voto di Rosario: 7

Oblivion (USA, 2013), di Joseph Kosinski. Con Tom Cruise, Morgan Freeman, Olga Kurylenko, Andrea Riseborough, Nikolaj Coster-Waldau, Catherine Kim Poon, Zoe Bell, James Rawlings, Lindsay Clift, Jaylen Moore, John L. Armijo, Andrew Breland, Jordan Sudduth, Jeremy Sande, Julie Hardin, Efraiem Hanna, Paul Gunawan, Philip Odango e Z. Dieterich. Nelle nostre sale da domani, 11 Aprile.