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La casa: Recensione in Anteprima

We’re gonna get you | We’re gonna get you | Not another peep | Time to go to sleep. Sangue a fiotti per il remake de La Casa. Un tentativo di fuga rispetto a ciò che è stato. Quanto basta per dirsi pienamente soddisfatti?

pubblicato 19 Aprile 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 15:35

Un cult. Come altro definire l’originale Evil Dead, nonché il suo ancora più blasonato e riuscito sequel? Monumenti di un genere a cavallo tra l’horror e lo splatter radicale, quello che con pochi mezzi non risparmiava nulla. Anche, ma forse soprattutto, per questo la notizia circa l’idea di un remake destò parecchia curiosità. Per alcuni si tratta di sacrilegio, per altri, meno irrigiditi da certe remore affettive e/o ideologiche, rappresenta un appuntamento a cui guardare con un certo interesse.

Sul tenore di questo rifacimento c’è poco da aggiungere, anche a seguito della prima visione: un progetto stravolto, del tutto decentrato rispetto a quegli elementi cardine che resero la grande La casa – ma lo si sapeva, per l’appunto. Epurata pressoché del tutto la sottile tinta comica, questa nuova pellicola non può che tentare di splendere di luce propria, vanificando a priori qualsivoglia approccio di tipo comparativo.

Sotto questo punto di vista, nulla da fare, dunque. Eppure bisognerebbe darsi ad un disfattismo sfrenato per voler negare anche solo qualche riconoscimento al lavoro di Fede Alvarez; uno che, stando a quanto visto, sembra comunque rimasto imbrigliato nella logica della mediazione tra la sua idea e quella da realizzare. Non si spiegano diversamente certe scelte, frutto senz’altro di compromessi per un film che, a prescindere dal budget, non poteva sbagliare per ben altre logiche: sia in termini di riscontro al botteghino, sia in rapporto alla reazione degli amanti del genere, se non della serie.

Parte dunque in quarta La casa, prendendo immediatamente le distanze dal capostipite: il film si apre con il rogo di una ragazza posseduta, extrema ratio al fine di liberarla dal demone ospite. Ecco quindi servito un principio, una sorta di genesi che funge da rapido prodromo agli eventi che si svolgeranno durante il film. Anni dopo, una combriccola di amici si reca presso un piccolo cottage disperso in mezzo ad una foresta. Anche qui Alvarez opera una decisione piuttosto netta e sovversiva, fissando il tenore di tutto ciò che avverrà da lì in poi.

I cinque ragazzi, infatti, si sono riuniti in questa inquietante landa desolata con la ferma intenzione di essere d’aiuto a Mia, ragazza difficile in balia di una tossicodipendenza. Insieme a lei non solo gli amici più cari, ma anche il fratello, con il quale ha un conto in sospeso. Insomma, l’introduzione del dramma famigliare finisce con lo spostare l’ago della bilancia. Sì perché questo non è semplicemente uno scenario tra i tanti possibili, bensì un chiaro segnale riguardo all’approccio in sede di sceneggiatura. Una presa inequivocabile di distanze, che non sappiamo ancora decifrare a pieno se troppo coraggiosa o troppo avventata.

Sappiamo che in apertura ci siamo indirettamente preclusi la possibilità di spenderci in paragoni, ma certi rimandi ci sembrano opportuni se in qualche modo vogliamo inquadrare la situazione. Uno dei punti di forza del primo La Casa era esattamente uno dei suoi maggiori (se non il maggiore) difetti, ossia la quasi totale assenza di caratterizzazione dei personaggi. Né troppo spensierati, né troppo rigidi, in realtà non si capisce affatto come fossero. Lo stesso Bruce Campbell ammette candidamente che in quel fortunato film gli attori altro non erano che dilettanti allo sbaraglio, alla cui mancata esperienza però Sam Raimi seppe mettere una pezza da fuoriclasse, stilizzando quanto più possibile e bene.

Nel 2013, invece, la musica è cambiata. Via inevitabilmente quell’aria da opera fieramente artigianale, spazio ad un contesto largamente più serioso, con attori anch’essi giovani ma al tempo stesso più smaliziati. Insomma, per quanto banale possa sembrare evidenziarlo, questo remake è in tutto e per tutto figlio del proprio tempo. Un horror contemporaneo, dunque, nel bene e nel male. Per lo più appesantito da questa seppur accennata personalità di cui vengono dotati due dei cinque personaggi (hipster “immortale” a parte), assistiamo ad una prima parte molto fiacca, all’insegna delle lacerazioni morali del fratello più grande e del disagio della sorella più piccola – ai quali però non viene risparmiato un accenno di idillio. Quasi nessun exlpoit, se non una piacevole citazione in episodi come l’estemporaneo taglio di un pezzo di roast-beef.

Quando la spia del sangue s’accende, però, effettivamente qualcosa accade. Qui gli amanti del gore potrebbero trovare qualche spunto degno di nota, seppure senza eccessive licenze. Tra compulsive iniezioni forzate, tazze del gabinetto rotte e colpi di pistola sparachiodi, veniamo gradualmente introdotti in quel mood che lascia presagire il peggio (da leggere meglio). Ed infatti, ad un certo punto, il tutto si dà al tanto inneggiato splatter, lasciando che la narrazione proceda scimmiottando (nel migliore dei casi) l’originale.

Ma ammesso che nel primo fossero le doti attoriali a mancare, qui sono certe uscite a lasciare perplessi, ed in negativo. Come quando, dinanzi al telefonato burrone, il tizio se ne esce esclamando platealmente: «Non può essere vero!», oppure in quell’occasione in cui l’oca di turno rassicura tutti che sì, ha una soluzione… le pinzette nella borsetta. Certo, non è da simili componenti che dovrebbe passare la resa di un’ambientazione di questo tipo, ma certe risate non previste fungono da sigillo ad un andamento che, almeno in alcuni casi, tradisce le premesse.

Non mancano talune scene toste; perché crudo, è crudo, così come riesce ad essere più cattivo rispetto alle “controparti” del passato. Ma non basta. L’impressione, alla fine della fiera, è che questo remake sia composto da brevi episodi, talvolta riusciti, ci siamo; ma a cui continua a mancare qualcosa. Non ci riferiamo allo sviluppo narrativo, bensì all’atmosfera, che va e viene come una luce ad intermittenza, senza permetterci di entrare a pieno in quel vortice di delirio che si vorrebbe fosse rappresentato. In quel suo seppur lodevole tentativo di offrire una variante al tema, il remake de La casa si ritrova ad essere limitato dalla sua stessa ambizione. Dopo aver cercato di tener lontano ogni ricordo inerente ai capitoli diretti da Raimi, alla fine è lo stesso Alvarez a spiattellarci in faccia il timido, e a questo punto velleitario, collegamento, ripescando fugacemente due/tre frammenti da tutti e tre i film. Un collegamento che, come più volte confermato, in realtà nemmeno si pone.

Si sforza il film, dunque, di reggersi sulle proprie gambe, peccando però di una mancata compattezza che finisce col vanificare certi spunti interessanti, nonché i rarissimi, maldestri ed inevitabili elementi trafugati dal vecchio cilindro. Solo che qui mancano l’equivalente, con le dovute proporzioni e i dovuti adattamenti, di una lampada che si “illumina” di sangue, di uno sfondo proiettato in rosso su un viso a sua volta coperto di sangue, così come della geniale follia di un’ultima mezz’ora trascinante che, come da tradizione (e su tale punto ci sarebbe molto da discutere), fa decollare tutto in un incalzante susseguirsi di assurdità che centrano nel segno. Niente da fare. Qui si tenta di rimediare con una grandinata di sangue dal cielo ed una motosega: non riusciamo a strapparci i capelli. Per alcuni l’intera operazione potrebbe riassumersi un atto di coraggio da premiare senza riserve; noi non stiamo dalla parte totalmente opposta, però. In ogni caso, non alzatevi dalla poltrona fin dopo i titoli di coda!

Voto di Antonio: 6
Voto di Gabriele: 3

La casa (Evil Dead, USA, 2013), di Fede Alvarez. Con Jane Levy, Shiloh Fernandez, Lou Taylor Pucci, Jessica Lucas ed Elizabeth Blackmore. Qui trovate la colonna sonora del film. Nelle nostre sale dal 9 Maggio.