Home Notizie Le ragazze dello Swing: tra cinema e fiction sorridono (appena) le ragazze del trio Lescano

Le ragazze dello Swing: tra cinema e fiction sorridono (appena) le ragazze del trio Lescano

Fiction Fest numero 4 di Roma 2010. Ci sono andato un paio di volte. La prima per condurre una conversazione sul “Segno del comando”, indimenticabile sceneggiato della Rai, diretto da Daniele D’Anza, realizzato nel 1971. Lo sceneggiato è davvero indimenticabile. Molti lo ricordano, molti sui blog lo invocano, molti ne sono ancora affascinati per le

pubblicato 12 Luglio 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 22:41

Fiction Fest numero 4 di Roma 2010. Ci sono andato un paio di volte. La prima per condurre una conversazione sul “Segno del comando”, indimenticabile sceneggiato della Rai, diretto da Daniele D’Anza, realizzato nel 1971. Lo sceneggiato è davvero indimenticabile. Molti lo ricordano, molti sui blog lo invocano, molti ne sono ancora affascinati per le atmosfere, misteriose, intriganti, sullo sfondo di una Roma pressoché deserta, aggredita anche di giorno da umori e angosce notturne.

Molti, infine, sono venuti alla nostra conversazione per vedere da vicino i protagonisti. D’Anza non c’è più, Carla Gravina si è eclissata in un riserbo alla Garbo; erano presenti l’interprete principale Ugo Pagliai e la bella Paola Tedesco, uno dei personaggi chiave nel labirinto della storia raccontata dallo sceneggiato, una storia intricata, complessa, piena di buchi e trappola, difficile da riassumere.

Voglio ricordare che Il segno del comando fu la risposta italiana al successo di qualche anno precedente di origine francese, più volte trasmesso dalla Rai dopo il debutto sui nostri video nel 1965: “Belfagor”,ambientato nel Museo del Louvre, livido e spaventevole. Ma, come sua qualità originale, “Il segno” ha una sceneggiatura ben costruita, una buona mano registica, attori ispirati e, non guasta, una canzone – “Din don, amore amore”- che gran parte del pubblico ancora ricorda. Al Fiction sono poi tornato una seconda volta per vedere un’anteprima, quella di una mini-serie dedicata al Trio Lescano, intitolata Le ragazze dello swing.

Ci sono andato perché mi piace la musica di un’epoca in cui il jazz s’infilava nella tradizione italiana e creava un controcanto fantastico, accattivante e oggi persino struggente, con la realtà del Ventennio mussoliniano; e anche perché mi piace quella commedia sentimentale e birichina, tipo “Gli uomini che mascalzoni” o “Grandi magazzini”, in cui il bravissimo attore Vittorio De Sica eseguiva gli ordini dell’elegante regista Mario Camerini, lo “spiava” e faceva le prove da regista per i grandi film neorealisti che avrebbe poi girato.

Diretto da Maurizio Zaccaro, qualcosa ben di più di un artigiano del cinema e della fiction tv; girato a Torino, nella sede torinese allora dell’Eiar; interpretato da un buon stuolo di attori, dove spiccano le tre ragazze di origine olandese, ebree, italianizzate; imperniato su una storia interessante, con risvolti storici e di costume, il lavoro destinato alla tv non mi ha convinto interamente.

Forse per l’uso delle luci che devono essere sparate nei totali per esigenze video, forse per una certa genericità nel tratteggiare personaggi e situazioni all’insegna della convenzionalità quasi sempre imposta dalle regole delle fiction- e potrei andare oltre- “Le ragazze dello swing” volano un po’ troppo basso. Le canzoncine del Trio, ritmi, melodie, sciocchi versi ingenui, volano più alto, e il resto al confronto pare solo a volte solo una gracile parodia e altre volte pare invece enfaticamente drammatizzato. Ecco il punto. “Il segno del comando” non aveva regole, oggi risulta lento e macchinoso, ma sapeva creare e trattenere l’attenzione. La fiction oggi può indebolire stile e narrazione con regole forzate, ripetitive, e dannose.