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Torino 2010: commenti a caldo su The myth of the american sleepover e Blessed events

The myth of the american sleepover – di David Robert Mitchell Siamo a Detroit. Maggie, Rob, Claudia e Scott sono quattro adolescenti che stanno per passare una nottata che non dimenticheranno. Di mezzo ci sono gli “sleepover”, ovvero i pigiama party organizzati a casa di qualche compagno di scuola, oltre a varie feste…Ho come l’impressione

pubblicato 1 Dicembre 2010 aggiornato 28 Agosto 2020 19:09

The myth of the american sleepover – di David Robert Mitchell
Siamo a Detroit. Maggie, Rob, Claudia e Scott sono quattro adolescenti che stanno per passare una nottata che non dimenticheranno. Di mezzo ci sono gli “sleepover”, ovvero i pigiama party organizzati a casa di qualche compagno di scuola, oltre a varie feste…

Ho come l’impressione che sia facile farsi piacere un film come The myth of the american sleepover. Chi scrive ama i film adolescenziali, che riescono a raccontare qualche verità su quel turbolento e bellissimo periodo di vita, e per questo riesce anche a capire perché l’esordio dell’americano Mitchell possa colpire.

Il velo di tenerezza e di malinconia che pervade l’opera è innegabile, il che rende la visione del film anche molto piacevole. E c’è una bella dose di sincerità nel racconto e nel ritratto di tutti gli adolescenti, soprattutto nelle loro pulsioni sessuali (un po’ meno stravaganti e sfacciate di quelle dei teenager di Araki: ma d’altronde siamo su due pianeti diversi, e questo non fa Kaboom).

Mitchell ha in mano una materia interessante come quella dello sleepover – non riesco a ricordare altri film ambientati in una notte di pigiama party, personalmente -: e se è anche vero che un po’ si riduce a girare l’ennesima variazione erede di American Graffiti, quasi un nuovo À l’ouest de Pluton (e quello non è manco il peggior film giovanilistico, solo uno dei tanti cloni di Van Sant), resta un film malinconico, tenero, “realistico”. Bello.

Voto Gabriele: 7.5

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Blessed events – di Isabelle Stever (In Concorso)
A Capodanno, Simone decide di uscire da sola e di andare in discoteca. Qui conosce un uomo e ci fa l’amore. Qualche settimana dopo la donna scopre di essere incinta. Dopo aver per caso ritrovato l’uomo, Hannes, decide di frequentarlo e di sposarsi con lui in fretta e furia. Il rapporto tra i due incomincia, con tanto di nuova casetta. Che però per Simone potrebbe diventare una prigione…

Per raccontare la psicologia della sua protagonista, la tedesca Stever decide di andare per sottrazione. Della donna non sappiamo praticamente nulla, e lo spettatore assieme a lei viene letteralmente “buttato” di corsa all’interno di una relazione nata in modo fin troppo veloce.

Ma l’intuizione non basta: Blessed events vorrebbe raccontare le angosce di una donna spaventata ed insicura, che sente la propria casa e la propria relazione sempre più come un carcere, ma lo fa con uno stile che più che psicologico è arido, inerte.

La scelta è evidentemente ragionata e voluta, ma la sensazione è che l’idea resti in testa alla regista e non procede nel verso giusto sul grande schermo. Anche il personaggio dell’amico di Simone, verso il quale la donna forse si sente attratta, sembra più che altro essere buttato in mezzo alla trama per giustificare una confusione mentale e sessuale di cui però non si capisce bene il fine.

Voto Gabriele: 4.5

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