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Something Good: Recensione in Anteprima del film di Luca Barbareschi

Luca Barbareschi fa un po’ di luce sul sottobosco dello smercio di cibo nocivo a livello globale. Ma Something Good ci parla anzitutto della parabola di redenzione di un uomo che ha una sola via d’uscita

pubblicato 4 Novembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 07:46

La gente mangia con i propri occhi.

Su tutte, è con questa frase che si può tentare di ridurre ai minimi termini Something Good. Film che guarda dritto in faccia, senza concedersi troppe licenze che sono poi espressione di una certa deriva comunemente e forse impropriamente definita «complottista». Nel film di Luca Barbareschi quello che vediamo è quel che è, seppure dilazionato in maniera pur sempre discutibile: nessuna speculazione ardita, nessun approccio contorto, senza troppe ansie nello sviscerare un sistema di cui, come tutte le palesi verità, tutti sanno ma nessuno conosce.

Siamo ad Hong-Kong, territorio oramai tutt’altro che vergine, viceversa alquanto integrato con quel mondo occidentale che parla di grattacieli immensi, tecnologia sfrenata ed altre amenità moderne. Da qui parte uno smercio internazionale che ha per oggetto né droga né prostitute, categorie più e più volte evocate quando si parla di dealing. No, a ‘sto giro è il cibo a farla da padrone: quello cattivo, che, sulla scia di quanto ci viene detto nel corso delle prime battute del film, passa attraverso troppi intermediari prima di essere ingerito da noi e da chi ci sta vicino. Un mercato capace di generare profitti enormi, ma questo lo sapete già perché se si punta il dito su qualcosa di essenzialmente marcio, per lo più in tono di denuncia, è evidente che tocca confrontarsi con un universo dorato.

Estremo contenuto, quest’ultimo, dato che, per un motivo o per un altro, Barbareschi ci è andato leggero col glamour, relegando lo sfarzo a qualche indumento (non suo peraltro: lui veste solo con una giacca di pelle che gli arriva sotto le ginocchia) e qualche location su cui però non ci si sofferma poi molto. Ed in fondo nemmeno il movente principale di quest’opera, ossia il contrabbando di cibo altamente nocivo, viene esposto più di tanto. Perché in fondo Something Good ci parla di redenzione e riabilitazione, leitmotiv che è possibile individuare già dalle prime sequenze.

Matteo Valli (Barbareschi) è un esperto contrabbandiere con alle spalle una carriera costellata di successi, che lo hanno reso uno dei migliori nel proprio settore. Ma proprio tale esperienza maturata sul campo (e che campo!) lo inducono a porsi dei quesiti: trattasi di riserve morali, alte in un primo momento («ci sono tre tipi di uomo: quello che dice la verità, quello che dice menzogne ed infine c’è chi sta in mezzo» dirà ad un amico davanti ad un bicchierino), più concrete in un secondo, quando la vicinanza di certe scelte lo obbligano definitivamente a prendere una decisione e quella soltanto.

Poca suspense, dunque, quasi nulla. Nondimeno Something Good offre altro su cui potere imbastire un discorso che deponga in qualche modo a suo favore. Perché in fondo Barbareschi sembra rifuggire la tentazione di restare fermo impalato sulla denuncia, sostenendo con forza la necessità di uno straccio di storia alla base, che vada oltre l’immediato impulso (magari sano) di lamentarsi del sempre infame status quo. La questione dello smercio alimentare, dunque, rimane sullo sfondo di quel percorso umano poco sopra evocato quando abbiamo scritto di redenzione. E non che serva un acuto osservatore per maturare tale consapevolezza, perché è proprio Matteo a chiedere esplicitamente di essere aiutato a redimersi quando, in un eccesso di fiducia, si apre all’ignara Xiwen (Zhang Jingchu).

Ed è proprio la relazione tra i due ad occupare la scena in maniera consistente arrivati ad un certo punto: entrambi soli, entrambi stravolti per qualcosa. Forse per esigenze di copione non si è riuscito a scandagliare meglio le condizioni di queste due anime in pena, che si avvicinano seriamente così come s’incontrano, per caso. Un caso che dà adito anziché no ad un certo senso di forzatura, specie in funzione del personaggio di Barbareschi, per il quale bisognava trovare necessariamente l’elemento definitivo ai fini del suo percorso.

Un rapporto leggermente rarefatto il loro, che si consuma troppo velocemente per poter essere ritenuto se non credibile magari plausibile. Punta romantica di un discorso non esattamente rosa, attraverso cui, a spizzichi e bocconi, si vuole restituire in maniera forse troppo fedele a certo cinema un contesto dominato dall’avidità, dalla spietatezza di uomini al di sopra della morale, troppo indaffarati ad accumulare ricchezze per preoccuparsi dell’aspetto etico delle loro azioni. Programma, quello appena adombrato, che suona retorico e che infatti lo è, senza per questo significare che è pure banale. Perché il problema c’è ed è reale, così com’è evidente l’eredità di certi parabole cinematografiche ben più fortunate, votate al manicheismo più che alle sfumature. Ci sono i buoni e ci sono i cattivi, non si scappa. Così come ad un certo punto, lo sapete quindi si tratta solo di aspettare, ci sarà la resa dei conti sotto l’iconico ponte.

Debitore consapevole Barbareschi, che limitatamente alle fonte da cui attinge si mostra essere di bocca buona, per lo meno nel senso di sapere come farsi piacere. Something Good vanta infatti una fotografia di tutto rispetto, nonché un tenore da thriller hollywoodiano vagamente anni ’80, volendo specificare in maniera così diretta uno dei possibili rimandi. Peccato che alla luce di questi stentati paragoni il film di Barbareschi tenda a risultare un po’ allungato, specie in relazione alla mole di informazioni ed input in grado di elargire. Ne viene fuori un discreto prodotto, dalla confezione pressoché impeccabile e che suscita dibattiti di cui, nelle giuste sedi, non sarebbe mai troppo tardi prender parte. Tuttavia resta una storia, o più storie, dall’incisività contenuta, che se da un lato si lasciano seguire, dall’altro non muovono come senz’altro avrebbe voluto chi ce le ha mostrate.

Voto di Antonio: 5,5

Something Good (Italia, 2013) di Luca Barbareschi. Con Luca Barbareschi, Zhang Jingchu, Kenneth Tsang, Gary Lewis, Carl Long Ng., Michael Wong, Frank Crudele, Branko Djuric, Eddy Ko, Ankie Beilke, Alessandro Haber, Daria Baykalova e Lucy Sheen. Nelle nostre sale da giovedì 7 novembre.