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Il Sentiero – recensione in anteprima

Cineblog recensisce in anteprima Il Sentiero, di Jasmila Zbanic, in concorso all’ultimo Festival di Venezia

pubblicato 18 Gennaio 2012 aggiornato 1 Agosto 2020 05:23

Luna è una giovane bosniaca che di mestiere fa la hostess. Vive col suo compagno, Amar, un brav’uomo che ha però un brutto vizio: beve troppo. I due devono essersi conosciuti in aeroporto, dato che quest’ultimo lavora presso la torre di controllo. Non vi è conferma di questa nostra congettura, ma ci piace pensarla così. Alla luce di questa sua dipendenza, il rapporto con Luna non è certo tutto rose e fiori.

A questo si aggiungono due anni di inconcludenti tentativi nel concepire un bimbo che sembra non voler proprio arrivare. Si tratta di un’altra sfida che mette a dura prova la loro convivenza, tanto da voler ricorrere all’extrema ratio dell’inseminazione artificiale. In un simile scenario, quello che manca è la classica goccia che fa traboccare il vaso. Goccia che arriva, inesorabile, impetuosa come un acquazzone. Amar si fa beccare a bere mentre è in servizio. Da lì alla sospensione di sei mesi, senza percepire stipendio, il passo è breve.

Succede allora che bisogna trovare una soluzione. Dapprima ci si affida ad uno di quei gruppi di alcolisti anonimi; ma Amar non ne vuole sapere. Poi, improvvisamente, qualcosa d’inatteso accade. L’uomo incontra Bahrja, un suo vecchio amico la cui conoscenza risale ai tempi della leva militare. Altro tema cardine: la guerra. Quelle nei pressi di Sarajevo sono zone martoriate dalla guerra, ed in qualche modo tutto questo ha a che fare anche coi protagonisti. Ma dicevamo di Bahrja. Sapete che c’è? E’ diventato un mussulmano ortodosso.

Come chiunque, quello della coppia è un viaggio. Loro malgrado, si trovano a percorrere un sentiero, per l’appunto. Quello che hanno appena imboccato, a quel punto, prevede delle ramificazioni, e a quanto pare per i due la strada per divenire “una sola carne” è ancora lunga. Emblematica è la questione relativa al concepimento, che va seguita, proprio perché latente. Riaffiora quando me la si aspetta, o comunque in maniera particolare.

Che la Zbanic patteggi per Luna è in qualche modo evidente. Sia perché lo ha lasciato intendere con le sue dichiarazioni, sia perché, al di là delle parole, le immagini ci parlano di questo travagliato passaggio della piccola donna. Molto brava Zrinka Cvitesic. La sua è una conturbante fragilità. Se il suo personaggio, Luna, esistesse davvero, non si potrebbe fare a meno di domandare al cielo perché esiti a concederle la gioia di un figlio o di una figlia. Lei che delle fattezze di una madre premurosa, dolce già a partire dai suoi lineamenti, ha praticamente tutto.

Il cambiamento della bella protagonista avviene di riflesso a quello del compagno. Mentre lui abbraccia sempre più di buon grado la dura dottrina wahabita, a noi è dato conoscere solo il disagio dell’altra metà della coppia. Lei che tenta, pur con tutte le riserve che la accompagnano, di capire fino a che punto voglia spingersi Amar. Quello che ha dinanzi, quindi, non è uno scenario atto ad acquisire chissà quale consapevolezza. No, tutto parte dalla comprensione. La comprensione verso la persona amata, la quale improvvisamente, mentre ancora ti tiene per mano, allenta la presa.

La regista bosniaca cita l’Islam nel suo film, ma avverte che al posto di un mussulmano poteva esserci un appartenente a qualunque altra confessione religiosa. In tal senso è un tripudio di pressapochismo in salsa distortamente ecumenica. Passi la posizione di coloro che reputano le religioni tutte false. Passi pure l’altro partito, ossia quello di coloro che pensano che siano tutte vere. Ma pensare che siano tutte uguali è semplicemente scarso buon senso.

La protagonista, come come colei che la dirige, tenta fittiziamente di capire quel mondo. Sa che non le appartiene, ma finge di impegnarsi nel tentativo di fare ciò che, in fondo, non le è richiesto di fare: comprendere il perché di certe dinamiche. Così, allora, agli occhi di una donna occidentale, avulsa a qualsivoglia logica di stampo vagamente religioso, un uomo che non stringe una mano a una donna diventa un onta quasi impossibile da redimere.

La figura stessa del gentil sesso in quel contesto, un “ninja”, a suo dire, per come è veste. Donna alla quale, però, la Zbanic concede qualche spiraglio. Sotto quelle vesti estremamente pudiche, quasi una corazza, la femminilità è ancora intatta. Non è certo un velo a scalfire ciò che viene avvertito come una naturale aspirazione, ossia quella di essere, prima ancora che apparire, avvenenti. E sì che è un mondo in cui le donne, il proprio uomo, devono proprio conquistarselo. Un mondo dove la bigamia non solo è praticata, ma, a quanto ci dà a comprendere la sceneggiatura, addirittura imposta.

Per una ragazza ordinaria, che conduce una vita nella norma per i nostri giorni, certe realtà possono solo destabilizzare. Neanche il tempo di mettervi piede, Luna avverte quel mondo che la sta indirettamente fagocitando come un mostro a tre teste che vuole solo tenerla prigioniera. Vale così tanto il suo amore per Amar?

Le domande che pone Il Sentiero si possono appena sfiorare. Partendo dal particolare, la storia di coppia, si riversa inevitabilmente sul generale. Se nel primo caso appaiono encomiabili certi spunti, il secondo, come già accennato, evidenzia una certa timidezza nell’approcciarsi all’argomento. E’ difficile mantenere l’equilibrio in certi casi.

Si resta scossi assistendo a come il rapporto tra Luna e Amar subisca dei bruschi stravolgimenti, e la scelta di soffermarsi solo su un lato della medaglia, per quanto condivisibile, è un po’ come sentire una storia che coinvolge più persone raccontata da una sola campana. La Zbanic si adopera nell’infondere quell’amabile delicatezza che è probabilmente prerogativa femminile, aiutata in tal senso da un’ottima Zrinka Cvitesic.

Uno stile essenziale, quello su cui poggia la pellicola, fatto di repentini stacchi di montaggio e di una pressoché totale assenza di brani musicali extra-diegetici. Più potente di tutti è l’amore di questa donna, Luna. Lei davvero non ha occhi che per Amar. Il suo è un amore pieno, non invasivo ma partecipativo circa l’esistenza dell’amato. Ride con lui quando lui ride; piange con lui quando lui piange. Sul finire, quando per certi aspetti si intravedono alcuni dei motivi alla base di questa sua capacità di amare, è come però se le carte venissero rimescolate. La femminilità di una donna che era bella anzitutto per ciò che sapeva elegantemente tener dentro, è come se sbiadisse leggermente a causa di ciò che deve dare a vedere.

Non è nostro interesse scovare le intenzioni della regista, tesoro che forse è giusto che lei tenga per sé, ma nel tentare di “emancipare” la protagonista di questa sua toccante ed attuale storia, è come se la privasse proprio di ciò che aveva di più caro. No, non è la capacità di amare, bensì quella di soffrire. Non siamo noi a voler condannare Luna a tale sofferenza, solo che c’è modo e modo di sottrarsene. E’ come se per sistemare un tavolo traballante togliessimo una gamba e la sostituissimo con qualcos’altro. Magari il tavolo regge, pure meglio di prima… ma non fa più lo stesso effetto.

Nelle nostre sale dal 20 Gennaio. Qui trovate il trailer italiano.

Voto di Antonio: 6,5

Il Sentiero (Na Putu, Bosnia e Erzegovina, 2009). Regia di Jasmila Zbanic. Con Zrinka Cvitesic, Leon Lucev, Ermin Bravo, Mirjana Karanovic, Marija Kohn, Nina Violic, Sebastian Cavazza, Jasna Beri, Izudin Bajrovic, Jasna Zalica e Luna Mijovic.