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Club Sandwich: recensione in anteprima del film in concorso a Torino 2013

Torino Film Festival 2013: il rapporto madre-figlio più tenero e disarmante possibile. Torna il bravissimo Fernando Eimbcke, autore di Sul lago Tahoe, e conferma il suo talento di narratore del quotidiano e dei rapporti famigliari. Club Sandwich è un film di commozione vera. In concorso.

pubblicato 29 Novembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 06:48

“Io sono sexy?”, chiede il giovane protagonista di Club Sandwich alla madre. È una delle non poche battute esilaranti del terzo lungometraggio di Fernando Eimbcke, e già la dice lunga sul film e sul rapporto che c’è fra i due personaggi. Non pensiate a nulla di incestuoso, per carità, non c’entra proprio un bel nulla: parliamo invece di intimità e amicizia.

Il regista del sottovalutato Sul lago Tahoe si conferma grande cantore della quotidianità e dei rapporti famigliari e ci regala il rapporto madre-figlio più tenero e disarmante possibile. Del film precedente riprende le inquadrature fisse, la costruzione della trama attraverso scene quotidiane che sembrano non dire nulla e che invece scoprono con gentilezza dettagli preziosi della vita di ogni giorno.

Addirittura potremmo dire che Club Sandwich è come un film di Ulrich Seidl, perché lo sguardo quasi documentaristico e oggettivo pare venire dritto da un Paradise: Love. Però al posto delle intenzioni “ciniche” qui troviamo quasi un filtro “alla Sofia Coppola”, troviamo un amore e un affetto verso i personaggi, le loro caratteristiche e il loro mondo che colpisce al cuore.

Paloma è una madre single di trentacinque anni che ha un rapporto strettissimo con il figlio quindicenne. Inseparabili, i due condividono tempo libero, segreti e confessioni intime. Il loro rapporto è destinato però a cambiare durante una vacanza al mare: qui Hector incontra la coetanea Jazmin e sono subito scintille. Per la giovane madre scoprire che il figlio provi attrazione per una ragazza è uno shock: oltre alla sorpresa, a sconvolgerla è l’idea di venir messa da parte.

In pratica abbiamo solo tre personaggi (ce ne sono altri, ma sono mere figurine poste lì per far contorno), un’unica ambientazione (il resort per le vacanze con camere d’albergo, ristorante e piscina) e poco altro. A Eimbcke basta pochissimo per girare un’opera dal ritmo pacatissimo – e chi parla di moscerìa o non ha un cuore o non ha capito nulla – e dalle emozioni che strisciano sottopelle parlando a tutti gli spettatori.


“Smettila di chiamarmi tesorino”, dice ad un certo punto Hector a Paloma, che sta sempre perennemente con lui. La donna non se ne rende conto, ma tutto sta per cambiare. I segni li porta vistosamente il figlio sul corpo che sta diventando più adulto, vedi i primi baffetti. Eppure la donna continua a schiacciargli i punti neri, persevera nel ricordargli di non bagnare per terra in bagno ogni santo giorno, gli ordina un bicchiere di latte (o il solito club sandwich…). Manda avanti tutti i singoli gesti quotidiani e d’affetto: da madre le viene naturale, non può farci nulla.

“Ti voglio bene”, dice spesso Paloma; “Anch’io” risponde ogni volta in automatico Hector. Il distacco della navicella spaziale dalla nave-madre è avvenuto, ora è solo questione di poco, pochissimo tempo perché sia lontana lontana nello spazio. Hector è occupato a staccarsi da lei per scoprire le emozioni del primo amore; sta scoprendo la sua sessualità, la masturbazione, il suo sudore aspro e i suoi fluidi corporei. Soprattutto sta per scoprire il corpo altrui grazie a Jazmin, che è in piena tempesta ormonale.

Le scene di quotidianità che imbastisce il regista sono di una credibilità impressionante, e allo stesso tempo sono pervase da un irresistibile e sottolissimo humour. Oppure è a noi spettatori che ci viene naturale sorridere di fronte a questo rapporto così intimo tra una madre tosta e in gamba, ma troppo attaccata al figlio, perché è un tipo di legame che molti conoscono bene e hanno vissuto?

Più il film va avanti, più capiamo che l’interesse di Eimbcke è il personaggio di Paloma. Ci identifichiamo con lei, nel bene e nel male, anche nel momento del gioco della “penitenza” che la donna fa con Hector e Jazmin. Ci identifichiamo con le sue paure, con quelle fragilità da madre, con l’ansia di chi sta per “perdere” il migliore amico col quale è stata assieme per 15, lunghi, bellissimi anni.

Quello di Paloma è un momento difficilissimo della vita, e non può che portare all’accettazione di ciò che è inevitabile. E le ultime due inquadrature del film sono l’apice assoluto di emozione e commozione, apice che eppure non esplode, così come non esplodevano le emozioni delle ultime scene di Sul lago Tahoe. I sentimenti stanno lì e vanno trattenuti, lasciandoci col magone in gola. Perché c’è la consapevolezza che sì, deve andare proprio così e non sarà un pianto a cambiare la vita.

Voto di Gabriele: 8.5

Club Sandwich (Messico 2013, drammatico 82′) di Fernando Eimbcke; con Lucio Giménez Cacho, María Renée Prudencio, Danae Reynaud. Qui il trailer.

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