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Il Grande Match – Recensione in Anteprima

Toro Scatenato vs. Rocky. A 70 anni d’età. Ovvero Sylvester Stallone contro Robert De Niro. Questo è Il Grande Match

pubblicato 8 Gennaio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 05:39

1976. Un giovanissimo e sconosciuto Sylvester Stallone entra nella leggenda del Cinema grazie a Rocky, Premio Oscar per la Regia e come Miglior Film. Il pugile italoamericano senza speranza ne’ futuro colpisce al cuore milioni di spettatori. E diventa mito. Passati 4 anni un altro ring scuote i cinema di mezzo mondo. 1980. Martin Scorsese dirige il suo attore feticcio Robert De Niro in Toro Scatenato. Grazie allo straordinario personaggio di Jake LaMotta il divo vince il suo primo Oscar come miglior attore non protagonista.

34 anni dopo quell’evento, un’idea semplice semplice e all’apparenza folle prende piede tra le colline di Hollywood. E se facessimo incontrare Rocky e Toro Scatenato in sala, e alla soglia dei 70 anni, in un unico ed imperdibile incontro? Così è nato Il Grande Match, ritorno alla regia di quel Peter Segal regista di film come Get Smart, L’altra sporca ultima meta, 50 volte il primo bacio, Terapia d’urto, La famiglia del professore matto e Una pallottola spuntata 33⅓: l’insulto finale. Un uomo che dal 2000 ad oggi ha sempre realizzato commedie in grado di incassare più di 100 milioni di dollari solo negli Usa, fino all’arrivo del progetto che all’apparenza sembrava il più ‘sicuro’ di tutti. La macchina da soldi perfetta, perché sulla carta in grado di ammaliare sia le generazioni passate, cresciute con Rocky e LaMotta, che quelle più recenti, ovviamente attratte da due miti con ‘catetere’ pronti a darsele di santa ragione su un ring. Eppure qualcosa non ha funzionato. Stroncato dalla critica americana, ma questo era prevedibile, il film è inciampato anche in sala, incassando ‘solo’ 24,835,480 dollari in 12 giorni, dopo esserne costati 40. La vera delusione delle Feste di Natale a stelle e strisce, potremmo definirlo, ma non senza motivazioni a traino.

Perché la commedia Warner, nata principalmente per far ridere e di fatto ben contenta di prendersi poco sul serio, si trascina stancamente per più della metà della propria durata, fino all’inevitabile finale ‘esplosivo’ che in qualche modo la fa tornare a galla da uno sconfortante grigiore di scrittura e di regia. La trama, neanche a dirlo, è di una semplicità strabiliante. Henry “Razor” Sharp e Billy “The Kid” McDonnen sono due ex campioni del mondo di pesi massimi che si sono letteralmente ‘odiati’ negli anni 80. I rivali ‘di sempre’ che su un ring si erano incontrati solo due volte. Due match leggendari, finiti ovviamente con una vittoria a testa. Alla vigilia dell’incontro decisivo, ovvero ‘lo spareggio’, qualcosa però cambia. Perché Razor annuncia il suo ritiro, costringendo di fatto l’eterno rivale all’oblio. E alla rabbia eterna per quel ‘no’ all’ultimo minuto. Passati 30 anni il figlio del promoter storico di un tempo culla l’idea impossibile. Ovvero ridar vita a quel terzo match mai andato in onda, in modo da regolare i conti una volta per tutte e annunciare il tanto atteso ‘vincitore’. Una sfida troppo ghiotta per entrambi i pugili, ormai invecchiati e lontani dai riflettori ma finalmente pronti a scrivere la parola fine a quell’eterna rivalità, durana decisamente troppo a lungo…

Un’idea temuta e rischiosa, soprattutto per i due celebri protagonisti, ovvero gli unici a giocarsi faccia e ‘carriera’ nell’accettare una pellicola tanto ‘temeraria’. Perché Rocky e Toro Scatenato sono stati due personaggi che hanno cambiato la vita sia a Sylvester Stallon che a Robert De Niro. Due ruoli iconici entrati nella storia del Cinema e nelle pagine dello sport che incontrano la settima arte, tanto da risultare inattaccabili e indimenticabili anche dopo oltre 30 anni. Le nostre speranze, nel pubblicare più di un anno fa la notizia della produzione di Grudge Match, incrociarono il presunto senso critico dei due attori, magari ammaliati da uno script per lo meno ‘decente’, tanto da giustificare un’operazione simile. Peccato che dinanzi all’opera compiuta tutto abbia preso un’altra direzione.

A non funzionare in Grudge Match, il che è paradossale visto che si parla di una commedia dal taglio sportivo, è proprio il ritmo, per un’ora buona appesantito e stantio, per quanto disarticolato, arrugginito e affaticato, tanto da vestire impeccabilimente i due anziani protagonisti. Segal prende a piene mani dai cliché del genere, portando in sala due uomini dal passato tutt’altro che dimenticato a cui il ‘destino’ ha voluto dare un’unica ed imperdibile seconda chance. Per fare i conti con gli altri e soprattutto con se’ stessi; per chiedere scusa a chi ha sofferto a causa delle loro interperanze; per cullare un sogno a lungo nascosto in un cassetto; e soprattutto per dimostrare al mondo che si è vivi anche oltre i 60 anni. Un film sulla forza della terza età che non abbandona mai la presa nei confronti della vita e di una giovinezza ormai andata, provando a sorridere al fianco di due vecchi pugili pieni di acciacchi e scheletri nell’armadio che proprio non riescono a non odiarsi.

Di ingredienti per riempire 2 ore di film Segal ne aveva, grazie anche all’inevitabile rapporto padre-figlio da dover pennellare e digerire, l’amore di un tempo resuscitato dopo 30 anni da ‘giustificare’ e riprendere per i capelli, e le immancabili gag geriatriche chiamate a strappare delle facili risate, eppure il compito è stato cucinato con scarsa fantasia e poco reale ‘interesse’. Perché ciò che balza all’occhio, durante la visione de Il Grande Match, è un’inaccettabile pochezza di idee nell’oliare l’ingranaggio, finendo così per frenarlo troppo a lungo. A funzionare più di tutti, neanche a dirlo, uno scoppiettante Alan Arkin, al quale il tutt’altro che strabordante script concede le battute più taglienti e divertenti, mentre sia Stallone che De Niro sembrano guardare con nostalgia all’indimenticabile passato ‘pugilistico’, qui ridotto a voluta macchietta. Una macchietta che solo nel finale, con il tanto atteso ‘grande match’, finalmente prende piede anche con le risate, lasciando un amaro in bocca meno evidente e più furbescamente camuffato. Ma ahinoi presente.

Se la presenza di Kim Basinger appare totalmente gratuita e inappropriata, perché quel volto piallato dal botox riporta a galla Premi Oscar incredibilmente vinti e mai del tutto mandati giù (eufemismo), arriva quasi ad infastidire l’urlata presenza di Kevin Hart, vero e proprio Chris Tucker ‘dei poveri’, così come stenta la regia dello stesso Segal, spesso caotica e illogica nel montaggio ma soprattutto poco frizzante e realmente esilarante, finendo così per ribaltare le paure e i timori della vigilia. Perché se Stallone e De Niro hanno ‘fisicamente’ dimostrato di essere ancora credibili a cavallo di un ring, anche se quasi 70enni, a crollare al tappeto dopo poche riprese sono stati in questo caso regista e sceneggiatore, semplicemente ‘ingiustificabili’ nell’aver bruciato un’occasione simile. Rischiosa e sulla carta quasi impossibile, questo è poco ma sicuro visto l’illustre passato, ma innegabilmente affascinante per i tanti spettatori cresciuti proprio con i pugni sferrati da Sly e Bob, rispettivamente 38 e 34 anni fa. E qui riproposti, tra una tirata risata, una citazione ‘dovuta’ ai pugili ‘originali’ del passato e una profonda sensazione di amarezza. Per il grande match ‘sprecato’.

Voto di Federico: 5

Il Grande Match (The Grudge Match, 2013, Usa) di Peter Segal; con Sylvester Stallone, Robert De Niro, Kevin Hart, Alan Arkin, Kim Basinger, Jon Bernthal, Paul Ben-Victor, Stephanie Grote, Starlette Miariaunii, Corrina Roshea, Nicole Andrews, Han Soto, Kurt Krause, Demetrice Jackson, Griff Furst, Mykel Shannon Jenkins – uscita giovedì 9 gennaio 2014qui il trailer italiano.