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Foxcatcher: recensione in anteprima del film di Bennett Miller in concorso a Cannes 2014

Festival di Cannes 2014: dopo Truman Capote e L’arte di vincere, Bennett Miller gira il suo terzo film portando sul grande schermo la tragica storia vera dei fratelli lottatori Schultz e del multi-milionario John du Pont. Foxcatcher ha le carte in regola per essere un prodotto americano robusto, ma è qualcosa di diverso: a suo modo inquietante, spettrale e disagevole. In concorso sulla Croisette, ma punta di più agli Oscar 2015.

pubblicato 20 Maggio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 01:34

Bennett Miller è una delle nuove leve del cinema americano più apprezzate di oggi. I motivi sono i due film che ha diretto nel 2005 e nel 2011, ovvero Truman Capote – A sangue freddo e L’arte di vincere. C’era un po’ di timone nei confronti di Foxcatcher, più che altro per il suo notevole rinvio distributivo.

Foxcatcher infatti era stato scelto per aprire l’AFI Fest a novembre 2013, e doveva uscire in sala il 20 dicembre, giusto in tempo per la corsa agli Oscar 2014. Ma a poche ore dal rilascio in rete del primo trailer ufficiale, la Sony Pictures Classics annunciava lo slittamento a data da destinarsi nel 2014. Un gran colpo, anche perché le speculazioni e i rumor erano iniziati a circolare quasi subito: ma non è che Foxcatcher ha qualcosa che non va e se ne sono resi conto all’ultimo?

Innanzitutto sfatiamo il mito: non è così. Foxcatcher è un bel film, di quelli che ti danno l’impressione di essere solidi e robusti filmoni americani e che invece hanno qualche sorpresina al loro interno. Sarebbe comunque interessante scoprire il perché della mossa dello slittamento al 2014 del film: forse alla Sony pensavano che un lancio dalla Croisette potesse dare delle possibilità in più a Foxcatcher in previsione della corsa agli Oscar (2015)?

Basato su una storia vera avvenuta tra la fine degli anni 80 e il 1996, Foxcatcher indaga nelle pieghe di uno tra i più feroci omicidi in ambito sportivo. Protagonista del film è il lottatore medaglia d’oro olimpica Mark Schultz (Channing Tatum), che di punto in bianco vede una via d’uscita dall’ombra del suo più celebre fratello wrestler Dave (Mark Ruffalo), col quale è attaccatissimo ed ha quasi un rapporto morboso, e soprattutto da una vita di povertà. Ha vinto una medaglia d’oro, certo, ma i soldi non gli bastano, e per sopravvivere dà anche delle lezioncine all’università.

Un giorno viene infatti convocato dall’eccentrico multi-milionario John du Pont (Steve Carell) a trasferirsi nella lussuosa tenuta di quest’ultimo per allenarsi in vista delle Olimpiadi di Seul 1988. Nel disperato tentativo di ottenere il rispetto di sua madre che non fa che disapprovarlo, du Pont – che ama definirsi un “patriota” e che dichiara che col suo progetto “sta dando all’America una speranza” – comincia ad “allenare” una squadra di atletica di livello mondiale e nel farlo attira Mark in pericolose abitudini, tradisce la sua fiducia e lo spinge in una spirale autodistruttiva.

Foxcatcher è a tutti gli effetti l’incontro tra Truman Capote – A sangue freddo e L’arte di vincere. Del secondo prende ovviamente la tematica centrale, quello sport a cui ruota attorno tutto il resto, ad iniziare da una parabola umana che è destinata al fallimento. Del primo prende invece le atmosfere, che erano assai più cupe e gelide de L’arte di vincere, un biopic sportivo intelligentemente declinato in tagliente commedia da Aaron Sorkin.

Si diceva che Foxcatcher ha tutto per essere un robusto prodotto americano da Oscar: un regista lanciatissimo e già nominato, attori conosciuti e che si mettono alla prova (Carell e Tatum in primis, mentre per Ruffalo è un gradito ritorno a certo cinema più impegnato), campagna premi già avviata. Eppure c’è qualcosa che lo rende speciale: è il suo andamento irregolare, un po’ slabbrato, frutto di molti silenzi e di un montaggio ordinario e cronologico e allo stesso tempo poco canonico.

Si respira poi un’arietta e un disagio ben palpabili per tutto il film. Se il rapporto tra i due fratelli sta a metà strada tra la commozione e un pizzico di disagevole morbosità, quello fra gli Schultz e i du Pont è davvero inquietante. I paragoni con The Master si sprecheranno, visto che du Pont diventa una figura paterna per Mark, al quale sembra con metodi neanche troppo nascosti fare il lavaggio del cervello (“Sei più che il fratello piccolo di Dave”). Il lato più inquieto e angosciante di una tipica parabola (triste) americana.

La casa di du Pont è poi più che altro una vera e propria dimora, e pare uscita da un film della Hammer. Carell stesso, con protesi, ricorda quasi Nosferatu, e ci sono momenti in cui fa davvero paura. Foxcatcher stesso ha dettagli e sottigliezze che fanno paura, e quando meno te lo aspetti ti fa venire i brividi lungo la schiena. Come quando credi di star vedendo la faccia di una persona nascosta dietro a una finestra e poi, con un gioco d’illuminazione geniale, scopri che è un quadro.

Voto di Gabriele: 8
Voto di Antonio: 7

Voto di Federico: 8
Voto di Carla: 8

Foxcatcher (USA 2014, drammatico 130′) di Bennett Miller; con Steve Carell, Mark Ruffalo, Channing Tatum, Sienna Miller, Anthony Michael Hall e Vanessa Redgrave. Prossimamente in sala grazie a Bim.

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