Home Festival di Cannes Sils Maria: Recensione in Anteprima del film di Olivier Assayas in Concorso a Cannes 2014

Sils Maria: Recensione in Anteprima del film di Olivier Assayas in Concorso a Cannes 2014

A due anni da Qualcosa nell’aria, Olivier Assayas torna a un Festival con Sils Maria, elegante ma a tratti semplicistica riflessione sul ruolo dell’Arte nella vita e viceversa

pubblicato 24 Maggio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 01:26

Ci siamo. Con Sils Maria si chiude il concorso di questo Festival di Cannes 2014. Un film passato un po’ in sordina volendo, sebbene Olivier Assayas rientri tra quei mostri sacri che Fremaux e soci non si sono proprio voluti far mancare, quest’anno più che mai. Un film destinato a dividere a priori, ancora di più dopo la prima visione (che infatti ha diviso).

Maria Enders è un’attrice famosa che si sta dirigendo verso la Svizzera per ritirare un premio dedicato al suo mentore, quel Wilhelm Melchior che vent’anni prima la sdoganò nel mondo dello spettacolo, rendendola famosa con il ruolo di Sigrid nella pièce teatrale Maloja Snake. Uno di quei momenti fondamentali nella vita di un’artista, ma anche soltanto di una donna. Durante il tragitto Maria scopre che Melchior è appena morto, ed allora sorgono i primi scompensi. A conti fatti il discorso approntato sin dalle primissime battute da Assayas non cela nulla, mostrando immediatamente le proprie carte. Sils Maria si sofferma su queste due esistenze parallele, quelle che ogni artista sperimenta senza spesso avere modo di cogliere i confini tra l’una e l’altra, sempre sfocati.

Il registro è infatti surreale. A Maria giunge la proposta di interpretare il ruolo di Helena, l’altra protagonista di Maloja Snake. Corre l’obbligo di qualche cenno relativo alla trama della pièce; basti dire che la storia è incentrata su questo ambiguo (ma neanche tanto) rapporto tra due donne, separate da vent’anni di differenza. Viene qui innescato il primo corto circuito di Assayas, che mette Maria nelle condizioni di doversi confrontare con una parte che conosce molto bene ma che al tempo stesso non ha mai davvero considerato. La verità è che l’affascinante ma non più giovanissima attrice è rimasta intrappolata in quel ruolo che le diede così tanto, a tal punto che ora, con vent’anni in più sulle spalle, stenta nonostante tutto a riconoscersi in un ruolo che nella vita sta già interpretando.

Tutt’altro che sottile, l’andamento di Sils Maria resta comunque molto elegante, aspetto per cui si distingue a più livelli. La segretaria di Maria, Valentine (Kristen Stewart) è infatti un punto di riferimento per lei; oltre a curare in toto le pubbliche relazioni, anche a livello puramente personale si tratta di una persona che ha assunto un ruolo importante nella vita di Maria. Ma Maria tutto questo lo ha realizzato? A quanto pare per mettere in chiaro determinate questioni l’unica è ricorrere all’Arte. Nel momento in cui Maria e Valentine prendono in mano il libro di Melchior per dare modo alla prima di provare la parte di Helena, qualcosa comincia irrimediabilmente a smuovere tutto.

Una scossa tellurica che investe entrambe, costrette a doversi confrontare con una reiterata ma a questo punto improcrastinabile serie di non detto, che contrassegna buon parte del film. D’altronde la tensione, sessuale e narrativa, aleggia per costantemente, praticamente sino alla fine, senza mai risolversi definitivamente del tutto. È un gioco delle parti nel quale però la gerarchia è invertita rispetto all’anagrafe, laddove la giovane (Valentine/Sigrid) è l’unica realmente consapevole, mentre alla più anziana (Maria/Elena) non resta che lasciarsi trasportare da quelle sensazioni che non riesce a realizzare coscientemente per lungo tempo.

Il processo è finissimo, anzi, talmente fine che Assayas rischia di perdere qualcosa strada facendo. L’alternarsi, o addirittura il mescolarsi, della dimensione reale con quella fittizia ad un certo punto sembra non portare più da nessuna parte, costringendo a reiterare un discorso che a quel punto si mostra meno incisivo e profondo rispetto alle più che incoraggianti premesse. Premesse alle quali segue una realizzazione che ci sottopone la tragedia del crescere e poi dell’invecchiare, nonché le crisi derivanti dalla mancata accettazione del tempo che passa. E con esso tutto il resto.

Ma in fondo Sils Maria è un film che vive anche di piccole cose, le stesse che, in maniera tutt’altro che velata, rimandano a critiche aspre contro sistemi veri e propri: Hollywood tanto per cominciare, con l’ingresso in scena di Jo-Ann (Chloe Moretz), la giovane chiamata a ricoprire il ruolo di Sigrid, lo stesso che fu un tempo di Maria. Anche qui torna si torna ad un gioco delle parti in cui all’affermata attrice tocca relazionarsi con un’epoca che non è più la stessa in cui pretende di vivere, tanto per lei quanto per il mondo dell’intrattenimento. E si allude con ironia all’ultimo film sui supereroi che ha interpretato la giovane e controversa Jo-Ann; si osserva quest’ultima in TV e poi dal vivo, costruita, imprevedibile, in altre parole diversa. Eppure la Sigrid di Maloja Snake è sempre stata la stessa, quella partorita a suo tempo dall’ispirazione di Melchior.

Che Assayas fosse un regista piuttosto versatile non siamo certo noi a scoprirlo, ed in Sils Maria si mostra ancora una volta sensibile al tema trattato, ma soprattutto a ciò che gli ruota attorno. Alla luce della rilevanza del dell’attore, intesa come maschera così come di colui che la indossa, diviene quasi una conseguenza impostare il tutto prendendo in prestito più che qualche cosa dal teatro, per certi versi più “attento” alla recitazione che non il cinema. Indirizzo che informa lo stile del film, girato e strutturato a mo’ di spettacolo teatrale. Anzitutto la suddivisione in tre atti, a sua volta concepita in maniera davvero particolare; poi tutta una serie di soluzioni in cabina di montaggio, le quali portano per esempio in dote continue dissolvenze in nero come se un sipario stesse calando sul palco. A questo, chiaramente, vengono integrate scelte prettamente cinematografiche, come le numerose ed essenziali panoramiche su degli scorci di montagna stupendi, accompagnati, come in chiusura, dopo il significativo finale, ancora una volta dal ricorrente Largo di Handel.

Sils Maria è un progetto estremamente interessante, rischioso anche, certo, ma se all’altezza del tentativo non fosse un veterano come Assayas davvero non sappiamo a chi potrebbe toccare tale onere. L’impressione assillante, durante e dopo il film, è che non tutto regga in maniera impeccabile, e la seppur accurata scrittura non sia in grado di nascondere certe crepe che attengono alla trama, ai suoi risvolti. Che sono parecchi, e che, come spesso accade con i film del regista francese, ben si prestano a speculazioni che vanno oltre gli spazi molto (troppo) ristretti di una recensione. Per il momento non resta che congedarsi con la consapevolezza che anche in questo caso, così come per Leviathan, abbiamo assistito ad un lavoro che arriva nel momento meno propizio, ossia alla fine di un Festival – per di più provante, come quello che si svolge a Cannes. Contiamo assolutamente di tornarci. Per il resto, che vi stupisca o meno, non è la Binoche a farla da padrone, bensì una Stewart che porta a casa la prova migliore della sua carriera. Ed anche questo non può che essere sintomatico della portata di un film come Sils Maria.

Voto di Antonio: 7,5
Voto di Gabriele: 9

Voto di Federico: 8

Sils Maria (Clouds of Sils Maria, Francia, 2014) di Olivier Assayas. Con Juliette Binoche, Alister Mazzotti, Aljoscha Stadelmann, Angela Winkler, Brady Corbet, Chloe Grace Moretz, Claire Tran, Frank M. Ahearn, Gilles Tschudi, Hanns Zischler, Jakob Köhn, Jerry Kwarteng, Johnny Flynn e Kristen Stewart.

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