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Liberaci dal male: Recensione in Anteprima

Dopo il fenomeno Sinister, Scott Derrickson torna al genere demoniaco con un thriller a tinte horror. Derivativo, ma a modo suo, Liberaci dal male predilige un ritmo rilassato e toni cupi, riuscendo parzialmente a convincere

pubblicato 19 Agosto 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 23:01

Una delle critiche che lascia sempre un po’ interdetti è quella che punta il dito sulla presunta mancanza di originalità. Tuttavia c’è una bella differenza tra il non essere semplicemente originali e fare invece sempre la stessa cosa. Ecco, Liberaci dal male non sarà originale, ma non si può dire che si limiti al collage, scopiazzando qua e là senza discernimento. Nell’epoca dei remake a tutti i costi sembra che ci si sia scordati che i bravi autori inventavano; ma erano i grandi autori quelli chiamati a reinventare.

Ora, prima che possiate leggere tra le righe di queste considerazioni qualcosa che non c’è, mettiamo in chiaro che non abbiamo dinanzi alcun film spartiacque. E qualora si possa anche solo pensare di infilare Liberaci dal male tra i migliori horror del 2014 sino ad ora è solo perché il genere in quest’annata ha latitato. Almeno in sala.

Ma se leggete altrove Derrickson si è macchiato del peggior film degli ultimi anni perché… Ecco, perché? Perché il protagonista è un padre prima ancora che un poliziotto, perché ci tiene alla famiglia, perché il suo vero partner sul lavoro è un prete post-moderno che alterna lo spagnolo al latino (qualcuno ha scritto che siccome il tizio è ispanico deve conseguentemente essere gesuita…), perché invece di far “saltare in aria come si deve” parla anche di Dio e roba tendenzialmente demoniaca, peccato aggravato dall’indirizzo specificatamente confessionale. Altri, più onesti, diranno che si aspettavano un horror ed in tal senso Liberaci dal male non corrisponde quanto avrebbe dovuto qualora fosse stato un horror tout court – il che è vero, nel senso che come film su possessioni e dintorni in senso stretto potrebbe risultare un po’ deboluccio.

Volete il genere? Eccovelo: è un thriller. Sì, tutto converge in un punto, sia le componenti ben riuscite sia quelle che deludono o lasciano quantomeno perplessi; e quel punto è un esorcismo bello e buono, vecchia maniera ma con tanto di breve intervallo sulle note di Break On Through dei Doors. Potenzialmente altro punto in meno per Derrickson e soci, i quali verranno tacciati di oscurantismo bigotto per il reiterato ricorso alla celeberrima band associata al caso su cui lavora Sarchie (Eric Bana): quando si diceva che il rock, tutto il rock, veniva dal demonio (uuuuhhh). Ed è su misure di questo tipo che regista e sceneggiatore avrebbero forse dovuto lavorare con più attenzione, prevenendo certi “rimproveri” così telefonati.

Anche perché, se si va al di là di certe plausibili rimostranze, in realtà qualcosa di buono la si trova. Senza nemmeno scavare troppo. Partirei dal lavoro encomiabile di Scott Kevan, che su schermo ti ricrea quel clima asfissiante, uggioso in esterni, angusto in interni, mediante una fotografia preparata con criterio, tanto da ricordare l’eccellente Darius Khondji di Seven – e proprio in virtù degli ambienti qualcuno penserà al film di Fincher: giusto un pochino, anche perché siamo comunque altrove. Liberaci dal male si atteggia a thriller per buona parte della storia, infarcendo di tanto in tanto qualche scena con quel vecchio trucchetto delle persone che appaiono all’improvviso per appena un fotogramma; che è poi il cliché principe, probabilmente l’unico, di cui Derrickson si serve con una seppur contenuta prodigalità.

Un thriller, dicevamo, tendenzialmente a sfondo investigativo, salvo che tutt’al più si tratta di scoprire quale sia il movente di alcuni crimini efferati compiuti da persone tra loro collegate. Tutto inizia in Iraq nel 2010, quando tre soldati americani entrano in una caverna dove trovano delle iscrizioni in persiano misto a latino; poi l’agguato di una miriade di pipistrelli e basta più. Al ritorno negli States qualcosa è cambiato; un soldato in particolare, tale Santino (Sean Harris), sembra essere a capo di questo sparuto gruppo di invasati che fanno cose strane, come camminare a quattro zampe ed emettere versi di gatti in assetto difensivo – ma anche crocifiggerli, i gatti. Altro elemento a rischio, perché effettivamente questa trovata potrebbe distrarre, nella più malaugurata delle ipotesi far sorridere, anche se nel nostro caso non è avvenuta né l’una né l’altra cosa.

Liberaci dal male però, sebbene non senza qualche affanno, va aprendosi poco alla volta, giungendo gradualmente al succo del discorso. Un film che per certi versi si prende sul serio, ma mai troppo, muovendosi lungo il confine dell’imponderabile che talvolta è mistero talaltra parrebbe svogliatezza in sede d’approfondimento. Nondimeno i suoi personaggi, specie padre Mendoza, hanno un loro perché. Che non vengano caricati di caratteristiche e storie parallele ci sembra funzionale al racconto, che in fondo vuole dar ragione della possibilità che certi fatti, così atroci ed inspiegabili, possano avere una radice ben precisa. Eppure il film (non sappiamo se è lo stesso anche per il libro da cui è tratto), che si basa su una storia vera, con tutti gli aggiustamenti del caso, non impone alcunché, e senza troppa timidezza ci conduce sino al tutto sommato esaltante climax finale – ché se ci guardiamo attorno e valutiamo la pletora di film a tema usciti di recente, qui abbiamo forse uno tra i più interessanti esorcismi degli ultimi anni (giusto per dire qual è ahinoi il livello).

In tutto questo c’è pure spazio per un dialogo senza troppe pretese ma tuttavia “alto”, dove il prete, sigaretta tra le dita mentre sorseggia qualcosa di forte e lancia occhiate tutt’altro che caste al culo della cameriera, lascia scivolare messaggi en passant al suo interlocutore in merito al perché del Male e come Dio c’entri e non c’entri con tutto questo. Vi pare poco…

Tirando le somme, Derrickson non tocca le vette del sorprendente Sinister, forse il miglior horror dello scorso anno (al peggio secondo, dietro The Conjuring, anche se…), ma confeziona comunque un’opera onesta, senza dubbio meno di pancia rispetto a quanto in tanti avrebbero desiderato, ma non per questo meno incisiva. Non mancano le crepe, ma dopo averle soppesate restiamo comunque moderatamente soddisfatti. Perché, tra le altre cose, non vi abbiamo ancora detto che Liberaci dal male è pure girato discretamente, tanto da, in qualche modo, compensare a quanto manca sul versante tensione: la quale non si taglia a fette però e palpabile. E tutto ciò non può essere così secondario, o addirittura irrilevante. Ah, quasi dimenticavo: tra i “contro” ipotizzabili, mettiamoci pure che il film è prodotto da Jerry Bruckheimer. Non tutti saranno disposti a passarci sopra, ritenendo a questo punto che la misura sia colma. Pazienza.

Voto di Antonio: 6,5
Voto di Federico: 5

Liberaci dal male (Deliver Us From Evil, USA, 2014) di Scott Derrickson. Con Eric Bana, Edgar Ramirez, Olivia Munn, Sean Harris, Joel McHale, Dorian Missick, Antoinette LaVecchia, Scott Johnsen, Valentina Rendón, Daniel Sauli, Olivia Horton, Chris Coy, Mike Houston, Sean Bennett, Lolita Foster, Sean Nelson, Lulu Wilson e Raiden Integra. Nelle nostre sale da domani, mercoledì 20 agosto.