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Roma 2014 – Gli Invisibili (Time Out of Mind): Recensione in Anteprima

Roma 2014 – Oren Moverman dirige un inedito Richard Gere nel drammatico Time Out of Mind (Gli Invisibili)

pubblicato 19 Ottobre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 21:16

5 anni fa candidato agli Oscar per la sceneggiatura di Oltre le regole – The Messenger, da lui anche diretto, torna Oren Moverman con l’atteso Time Out of Mind (in italiano “Gli invisibili”), titolo presentato quest’oggi al Festival Internazionale del Film di Roma con Richard Gere presenza d’eccezione sul tappeto rosso. Una pellicola non poco chiacchierata nei mesi scorsi a causa del ‘ruolo’ interpretato dal sex symbol degli anni ’80 e ’90. Quello del barbone. Le foto di Gere senzatetto per le strade di New York, in un autentico set a cielo aperto e soprattutto all’insaputa dei passanti, hanno fatto il giro dei tabloid di mezzo mondo, prendendo ora forma cinematografica.

Con enormi riserve sulla riuscita finale. Il divo indossa gli sporchi abiti di George, uomo disperato che vaga per le strade della Grande Mela senza un preciso obiettivo. Da 10 anni senza casa, senza lavoro, senza un soldo e con una figlia che non vuole neanche vederlo, George è alla deriva. Non ha ancora accettato la propria condizione di senzatetto, si ostina a definirsi ‘momentaneamente’ in difficoltà, senza rendersi conto della realtà dei fatti. La vita si è dimenticata di lui. E’ un uomo invisibile, privo di documenti e quasi impossibilitato ad ottenerne di nuovi. Perché viene rimbalzato da ufficio ad ufficio, con richieste assurde che lui, non avendo niente, non può in nessun modo soddisfare. L’inverno è freddo, George non sa più dove andare, perché nessuna donna vuole più ospitarlo nel suo letto, e alla fine si decide. Chiedendo rifugio al Bellevue Hospital, il più grande centro di accoglienza per senzatetto di Manhattan. Qui entra in contatto con la devastante realtà degli emarginati. Di chi è come lui.

Un film con più facce, questo Time Out of Mind. Perché Moverman, ovviamente autore anche dello script, ha costruito una storia ‘senza storia’. Il regista semina domande senza concedere risposte. Sappiamo pochissimo del protagonista. Lo vediamo elemosinare, bere birra e ‘spiare’ la figlia che l’ha di fatto rinnegato. Il silenzio di Gere, la cui incisiva, toccante e profonda recitazione è fatta quasi esclusivamente di sguardi, e le parole di chi incrocia il suo cammino. Moverman ‘contempla’ il suo personaggio, osservandolo dall’esterno. L’occhio del regista pone sempre Gere al centro della scena, ma raramente in primo piano. Lo ammiriamo dalle finestre delle case, dai riflessi delle vetrine, da punti di vista inattesi e fascinosi. Soprattutto quando cala la notte su New York, il gelo si fa largo e l’unica fonte di calore disponibile è quel rosso fuoco che illumina il volto segnato dalla fatica, dalla vecchiaia, dalla sofferenza e dalla povertà dell’attore. Con la barba incolta, sbattuta, le borse sotto gli occhi e i capelli radi.

I centri di accoglienza della Grande Mela non sono altro che delle ‘prigioni’. Controlli all’entrata e all’uscita, porte blindate, poliziotti all’interno. Posti terrificanti che costano allo Stato milioni di dollari, tanto da preferire ‘pagare’ il viaggio verso altri lidi ai barboni che ne fanno richiesta. Tutto pur di non tornare a gravare sulle tasche dei contribuenti newyorkesi, e soprattutto sparire dalla loro vista. Perché questi fantasmi che trascinano borse dell’immondizia e carrelli della spesa pieni di cianfrusaglie sono sempre più, a causa della crisi che oltre 5 anni fa ha strozzato l’economina americana, e soprattutto ‘molesti’ con la loro semplice presenza fisica.

Obbligandoci a vedere ciò che solitamente chiunque di noi finge di non vedere, dedicandogli poco e infastidito tempo della propria esistenza, Moverman riesce a smuovere compassione nei confronti del suo protagonista. Senza però andare più a fondo, a causa di una sceneggiatura che esagera nel non dire effettivamente nulla. Limitandosi a mostrare la drammatica quotidianità di George. Tanto valeva realizzare un documentario, con barboni veri e storie di vita reale. Perché la rappresentazione messa in scena dal regista scivola invece nell’empatia che si fa annoiata indifferenza.

Voto di Federico: 5.5

Gli invisibili – Time Out of Mind (Usa, 2014) di Oren Moverman; con Richard Gere, Jena Malone, Danielle Brooks, Abigail Savage, Yul Vazquez

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