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I vichinghi: Recensione in Anteprima

Tra mito e leggenda, la storia di un gruppo di vichinghi braccati in terra straniera. Un viaggio contrassegnato da più di qualche difetto ne I vichinghi di Claudio Fäh

pubblicato 25 Novembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 20:13

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Vichingo. Da “wig”, “zona commerciale” o “porto commerciale”. Un’altra ipotesi vuole che derivi da un antico termine nordico, “vikingr”, o dalla parola “pirata”. Ma oltre alla storia c’è la mitologia, che a torto o a ragione, ha influenzato la nostra cultura e dunque la nostra concezione di questo così antico popolo.

Siamo in Scozia. IX secolo. Diretti verso la Gran Bretagna, un gruppo di vichinghi esiliati dal proprio Re approdano nelle lande scozzesi a seguito di un naufragio. L’accoglienza non è delle migliori: dopo aver scalato un dirupo, ecco un folto gruppo di soldati attaccare lo straniero, su cui non ha la meglio. Così comincia l’avventura, a tratti epica, di questi uomini in terra straniera. Così come epica è se vogliamo la struttura, la quale ci parla di un ritorno, un viaggio che inizia e finisce nello stesso punto, a condizione ribaltate.

Qui Asbjorn e i suoi uomini incappano in Lady Inghean, figlia del Re Dunchaid. Il regista Claudio Fäh cerca di toccare più tematiche, pur con lo sguardo fisso sulla natura del prodotto I vichinghi, che è vuole rimanere appetibile a un range decisamente ampio. Il film ci mette infatti a parte di un periodo ostile di per sé, in cui vivere fuori dalle mura cittadine significava sopravvivere, diversamente la morte. In più la sfera sacra, comunemente accettata e messa anacronisticamente in discussione da alcuni, più nei modi che altro: «a Dio non interessa di noi, ha altro da fare», tipica espressione smaccatamente hollywoodiana, alla cui tradizione I vichinghi intende attingere a piene mani.

Ed è, come spesso accade, in questo che un film del genere finisce con lo smarrirsi. Perché checché se ne dica, mantenere certi equilibri è affare di pochi, tanto è ardua l’impresa; perciò laddove il contesto lascia timidamente emergere situazioni e temi potenzialmente interessanti, il tutto viene quasi sistematicamente vanificato dalla necessità di uniformarsi a uno schema, di non trascenderlo mai questo schema, costi quel che costi.

Argomenti forti, dunque, come amicizia, onore, appartenenza, finiscono con il ricoprire il ruolo di ingombranti contorni, per una storia che non registra chissà quale capovolgimento, né tiene desta l’attenzione per via di alcun escamotage. Ci si scanna un po’ a vicenda, mentre le due fazioni che vengono a formarsi coltivano questi scontri incrociati tra i vari personaggi. Ed ecco un’altra, rilevante nota dolens. I personaggi.

Incredibilmente scialbi, appiattiti dal pallottoliere di Hollywood, quello che sforna profili standard il cui unico pregio, ammesso che ne abbia uno, è quello di adattarsi ad ogni storia e situazione. Abbiamo perciò il leader, il rinnegato, la ribelle, la risorsa, lo stronzo redento etc. Descrizioni che non aiutano, né vengono aiutate a loro volta, da prove incredibilmente sottotono, quando non vere e proprie parodie, come quella del mercenario Hjorr (Ed Skrein).

D’altra parte non è certo facile costruire una buona storia su personaggi così privi di mordente, e viceversa. L’impressione resta tuttavia che una maggiore attenzione sul fronte caratterizzazione, sia in termini di scrittura che di recitazione, avrebbe senz’altro colmato molte crepe. Non tutte, ma molte sì. Anche perché per il resto su I vichinghi c’è poco da recriminare: la confezione non è certo misera, anzi. Girato nella suggestiva cornice di Capo di Buona Speranza, un po’ tutte le location hanno un che di magico, misticheggiante; ambienti ai quali la fotografia corrisponde decorosamente.

Peccato pure perché in funzione della sua vocazione all’action duro e puro non sempre riesce a mantenere un livello accettabile: i vichinghi sono giustamente (e fortunatamente) sudici e sporchi, corrono, fracassano teste e lasciano una cospicua mole di anonimi cadaveri lungo la loro strada. Ma quel senso di avventura, che è pericolo, esplorazione, terrore per l’ignoto, emana giusto pochi, estemporanei bagliori. Quando invece, probabilmente, era proprio su questo fronte che I vichinghi doveva battersi meglio. Non dico con più coraggio.

Voto di Antonio: 5

I vichinghi (Svizzera/Germania/Sudafrica, 2014) di Claudio Fäh. Con Tom Hopper, Ryan Kwanten, Ken Duken, Charlie Murphy, Ed Skrein, Anatole Taubman, Johan Hegg, James Norton, Leo Gregory, Bettina Kenney, Danny Keogh, Joe Vaz, Nic Rasenti, Darrell D’Silva, Richard Lothian, Daniel Janks e Mark Strepan. Nelle nostre sale da giovedì 27 novembre.