Home Notizie Courmayeur 2014, domenica 14 dicembre: Black Sea trionfa al Noir, mentre Blade Runner lo chiude

Courmayeur 2014, domenica 14 dicembre: Black Sea trionfa al Noir, mentre Blade Runner lo chiude

Noir in Festival 2014: Black Sea si aggiudica il Leone Nero del pubblico. A Blade Runner tocca invece chiudere il Festival; sperando sia di buon auspicio per l’anno prossimo

pubblicato 14 Dicembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 19:50

Pare ieri che abbiamo messo piede a Courmayeur, mentre poche ore ci separano dal rientro a casa. Un Festival che già nell’ultimo nostro aggiornamento abbiamo definito “a formato ridotto”: meno film, quindi meno giorni. Un concorso risicato, con appena sette film, la maggior parte dei quali di buon livello, ma nessuno indimenticabile. Non c’è infatti stato il titolo che ha colpito, l’evento che ha scosso. Non un Enemy, né un Juan de los Muertos, giusto per restare alle due precedenti edizioni.

A breve scriveremo un resoconto un po’ più dettagliato, evidenziando pro e contro di una manifestazione che, per quanto ci riguarda, rappresenta un punto fermo, oltre ad essere importante in ottica di salvaguardia di un genere (il noir) e con esso, in fondo, tutti gli altri, specie in un’epoca in cui gli spettatori (come ha detto Salvatores) i generi gli frequentano davvero poco. O forse niente. Il periodo è senz’altro infausto, ma ci auguriamo che già dalla prossima edizione si ritorni ad un evento più corposo; mentre l’impressione è che tocchi essere grati per il solo fatto che il Noir in Festival ci sia.

Ad ogni modo, due le notizie. Anzitutto il Leone Nero, andato a Black Sea, film che, come abbiamo scritto il giorno dopo la proiezione, il pubblico ha dato prova di gradire più di tutti gli altri – e dire che subito dopo la premiazione è venuto fuori che il film di Macdonald ha rischiato di non esserci affatto qui a Courmayeur, e solo un’operazione congiunta di più persone ha permesso di convincere Focus Entertainment a dare il via libera. Ha dunque vinto il film migliore? Beh, ha vinto quello che è piaciuto di più, il più adatto a superare con meno ammaccature il giudizio del pubblico, rispetto ad altri che, al di là del valore, era facile prevedere meno nelle corde. Certo, sarebbe interessante conoscere chi è stato il secondo e a quanto ammonti lo stacco. Perché oggi è stato proiettato quello che si è dimostrato forse l’unico altro film in grado di insidiare Black Sea. Parliamo di The Salvation.

Western tradizionale, costellato di vendette e capovolgimenti di fronte, col ritmo giusto e un discreto cast. Anche qui, però, l’eccellenza sta altrove, ed in fondo questo film danese fa il suo senza correre alcun rischio. Ne deriva un buon prodotto, che ha certamente un suo pubblico, non per forza specializzato, anzi. Pensate che per un attimo abbiamo creduto che White God avesse potuto fare uno scherzetto, zitto zitto; ed invece lo straniante film ungherese non ha attecchito tanto quanto è riuscito a fare a Cannes, sia per quanto riguarda la giuria che molti critici i quali hanno amato questo lavoro di Mundruczó.

A chiudere il Festival ci ha pensato però quello che a parere di chi scrive è il miglior film di fantascienza di tutti i tempi. Presentato ieri in pompa magna, con un’anteprima europea che si svolge oggi a Londra, la Final Cut di Blade Runner si prepara ad invadere i nostri cinema a partire dalla prossima primavera. In sostanza si tratta della versione uscita nel 2007, quella che, a sentire Ridley Scott, mette la parola fine sull’interminabile diatriba relativa alle altre sei versioni che circolano da anni. Per l’occasione ci pare giusto dedicare un articolo apposito, dato che, comunque la si pensi di tale operazione, questo Blade Runner “rinforzato” sul grande schermo è una meraviglia. Pare fatto ieri, sia per qualità che per contenuti, a sigillo di un’opera intramontabile, sempre attuale e sempre lì a dare del filo da torcere a tutti gli altri. Che hanno voglia… certe vette sono fatte per essere guardate dal basso, fossero anche pochi metri più giù.

13 dicembre: i cani-zombie di Mundruczó invadono il PalaNoir

È fatta. Un Noir che quest’anno ci è scivolato via senza quasi accorgercene. Forse perché, quando lo si trascorre bene, il tempo passa in fretta. Ma non voltiamoci dall’altra parte. Il Festival di Courmayeur quest’anno è stato light, una versione leggermente ridotta di una rassegna che comunque ha come prerogativa quella della festa, dell’incontro e della celebrazione di un genere trasversale come il noir; quindi la durata e la quantità non sono mai state priorità. In più, queste sono considerazioni da conclusioni vere e proprie, mentre ancora manca un giorno, un film in Concorso ed uno a sorpresa (che già sappiamo ma che non vi diciamo. Chi vi scrive, però, è felice come un bimbo, pur consapevole di che operazione si tratti).

Si parla di film però, ed allora spazio ai due in Concorso ieri, rispettivamente terzultimo e penultimo. Nel pomeriggio è toccato all’italiano In the box, che purtroppo conferma la non esaltante tradizione di film nostri qui al Noir. L’anno scorso si salvò in calcio d’angolo Neve, mentre Vinodentro risultò essere uno dei lavori peggiori visti nel corso dell’intera annata. Ecco, a In the box va per lo meno riconosciuto di cimentarsi in qualcosa di più particolare, interamente ambientato in un garage, da cui la protagonista, una donna, tenta in tutti i modi di scappare. Già solo la coraggiosa spavalderia nel proporre un simile progetto ci sembra a suo modo ammirevole, ma il film è lì e ahinoi troppi sono gli aspetti che non convincono. Un thriller che non avvince, tantomeno quando pone dilemmi morali a buon mercato; si va avanti per inerzia, assecondando un format a cavallo tra un Saw e un Buried, troppo sfilacciato però per risucchiare lo spettatore nel vortice di questa situazione disperata.

In serata si è passati a White God, vincitore dell’Un Certain Regard a Cannes, e che a dire il vero avevamo già visto. Senza scriverne però; recupereremo. Intanto le impressioni restano quelle di maggio, e laddove in molti ci hanno visto una satira addirittura sarcastica nelle sue pieghe grottesche, noi preferiamo stazionare un po’ più in basso e sorridere di questi cani novelli zombie che attaccano Budapest per non si sa bene quale motivo. Al di là della “critica sociale”, di fatto presente, se non addirittura in primo piano, il cambio di registro dell’ultima parte, sul parodistico andante, può lasciare in due modi soli: o contrariati, o divertiti. Eppure noi ci poniamo a metà strada, perché effettivamente quell’epilogo appare fastidiosamente conciliante, non bastasse che di cani si tratta. Non solo. Di cani maltrattati. C’è chi ha pianto durante e dopo.

Due parole vorremmo spenderle anche per altri due accattivanti appuntamenti ai quali abbiamo partecipato in giornata. Tanto per cominciare la prima puntata di Fargo, serie TV che approderà a breve su Sky Atlantic. Che dire? Mancherà l’inimitabile tocco dei Coen, ma l’indirizzo è quello: umorismo nero a gogo, per una serie che si presenta piuttosto bene, e non solo per i nomi. Il mood è analogo, il contesto identico; per il resto tutto o quasi cambia. Speriamo bene. Sei donne per l’assassino, di Mario Bava, è un cult, perciò chi non l’ha visto lo recuperi. Quello che ci preme di più menzionare in questa sede è l’eccellente lavoro di restauro da parte della Cineteca di Bologna. Un 2K limpido e sgargiante, per un film che è difficile immaginare tirato a lucido meglio di così. Non passano infatti inosservati nemmeno ad occhi meno smaliziati non solo l’ovvio incremento di definizione, ma perciò dei colori netti, specie in un film dall’atmosfera così barocca. Ne è valsa la pena insomma.

Ultimo giorno. Ma questo lo sapete già. Ci sarebbe Big Hero 6, ma voi che ci seguite non avete bisogno di sapere altro fino all’uscita del film visto che la nostra recensione ve l’abbiamo sottoposta a tempo debito. Che altro? Beh, l’ultimo del Concorso, quel The Salvation che, detto tra me e voi, a Cannes non riuscii proprio ad infilare nel fittissimo programma che mi ero preparato (né in quello improvvisato). È un western, e tanto basta. Poi. Oh poi. C’è il film a sorpresa, che nemmeno sbattendo ripetutamente la testa a muro, o in stato di trance, riuscireste a scoprire di che si tratta. Quando mi è stato comunicato il titolo quasi non ci ho fatto caso, per poi esclamare: «ancora un altro?!». Sì, ancora. E ancora di nuovo!

12 dicembre: Black Sea piace al pubblico del Noir

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Giornata un tantino più densa di appuntamenti quest’oggi, almeno per noi. Dopo il Raymond Chandler Award di ieri, infatti, Jeffery Deaver si è oggi prestato al pubblico presso il Jardin de l’Ange, dove ha scambiato quattro chiacchiere con Giambico Carofiglio, il cui Una mutevole verità si è aggiudicato il Premio Scerbanenco di quest’anno. Una discussione piuttosto interessante quella con Deaver, che ha discusso in merito ad argomenti importanti come il suo metodo di lavoro, la possibilità di trasmettere la capacità di scrivere o se dipenda per lo più dal talento. Scopriamo inoltre che lo scrittore americano ritiene fondamentale oggi confrontarsi con la cosiddetta cross-medialità, ovvero quella pratica che unisce più media in un solo prodotto.

Per esempio non sapevamo che Deaver fosse stato contattato da Rockstar Games, creatori di Grand Theft Auto, per lavorare su un videogioco. Ma nonostante tutto il diretto interessato si mostra un po’ più conservatore, specie quando qualcuno cerca di strappargli un’opinione sui film tratti dai suoi romanzi: «io ho il limite, o il dono, a seconda da quale prospettiva la si guardi, di essere uno scrittore. Lascio perciò che delle sceneggiature per i film se ne occupino professionisti».

Ovviamente è stato anche il turno di altri due film, come dicevamo ieri ancora anglofoni. Ed entrambi inglesi, per l’esattezza. Snow in Paradise (recensione) ha debuttato a Cannes lo scorso maggio, e dalla Croisette i segnali non furono certo incoraggianti. Hulme ha dalla sua la freschezza di chi si cimenta nel suo primo film, senza curarsi troppo di non strafare. E qui il regista effettivamente un po’ strafà. Titolo però unico, come in fondo ciascuno dei (pochi) film sin qui visti. O al massimo rappresentanti di un gruppo nel gruppo; noir sì, ma chi magari vira verso la commedia dark lievemente impegnata (Calvario), chi si pone come indipendente americano (Things People Do) e chi invece opta per un prodotto che deve far cassa (Black Sea).

Esatto, è il film di Macdonald l’ultimo visto ieri in tarda serata. «Volevamo fare un film come quelli che piacevano a noi, sporchi e cattivi», dice lo sceneggiatore Dennis Kelly, ed infatti i rimandi sono piuttosto evidenti. Sulla falsa riga di certi film anni ’80 divenuti di culto, un po’ L’ultimo attacco di John Milius, un po’ qualcos’altro, ma sempre legato a quel periodo. Titolo che non a caso il pubblico ha apprezzato parecchio, congedandosi con degli applausi immediati e sinceri, sebbene non scroscianti. E Black Sea ha in effetti i suoi momenti, riuscito nella sua struttura high-concept come direbbe Michael Hauge, aiutato anche da un discreto cast, in cui Jude Law, figura centrale, resta comunque al proprio posto, senza svettare più di tanto sugli altri – se non nel finale.

Oggi? Beh, oggi giornata ricca. In mattinata intervistiamo Kelly riguardo a Black Sea, mentre nel pomeriggio cercheremo di ritagliarci uno spazio per la serie TV tratta dal film dei fratelli Coen, Fargo. In serata tocca invece a In the box, unico italiano in Concorso, ed al vincitore dell’ultimo Un Certain Regard, ossia White God.

11 dicembre: un prete e un padre di famiglia al Noir in Festival

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Dato l’arco ristretto entro il quale si svolge il Noir in Festival, non deve sorprendere che a ventiquattr’ore dall’inizio si sia già nel vivo. Due i titoli mostrati, entrambi anglofoni, uno dal Regno Unito, l’altro dagli USA. Calvary di John Michael McDonagh e Things People Do di Saar Klein. Pubblico apparentemente schierato per il sì nel primo caso, più tiepido nel secondo.

Calvary è un film particolare, lento ma con un suo stile specifico. Pone tanti e alti quesiti, ma la didascalia è dietro l’angolo. Piace come tratta i suoi personaggi, di cui il più riuscito, manco a dirlo, è il prete interpretato dall’ottimo Brendan Gleeson. L’aspetto interessante è che dispone di una doppia lettura, quella da mistery, in superficie, e quella che tenta un approccio decisamente più ambizioso: parlare di Dio, su Dio, partendo dalla vita pratica. A McDonagh non resta che mantenere gli equilibri, senza caricare troppo un racconto di per sé complesso, ed in fin dei conti l’unico vero momento in cui rischia qualcosa è quando si butta a capofitto sulla metonimia (la Chiesa in fiamme). In generale il giudizio è positivo.

Things People Do è invece un titolo che i due direttori del Festival, ci dicono, hanno fortemente voluto – specie Marina Fabbri. Un padre di famiglia costretto a compiere rapine per mantenere la propria famiglia è la lettura più immediata, ma in fin dei conti il discorso verte sulla responsabilità, verso sé stessi e verso gli altri. Wes Bentley si dà da fare, e l’unico problema di questo esordio è probabilmente l’eccessiva lunghezza (110 minuti). Onde evitare equivoci, peraltro, Things People Do è di gran lunga meno familista di quanto la sinossi lasci intendere; anzi, fa buon gioco su una certa solitudine tipicamente contemporanea, approntando un discorso sulla famiglia che si pone a cavallo tra il vecchio e il nuovo, evitando pure di ripetere (fino a un certo punto) cose già sentite o già dette.

Prima della proiezione di quest’ultimo film, ieri è stato anche consegnato il Raymond Chandler Award 2014 ad uno degli giallisti più prolifici e di successo nel panorama internazionale, ossia Jeffery Deaver, che per l’occasione si è improvvisato showman a tutto tondo, cantando una canzone da lui scritta per la promozione de L’ombra del collezionista ed accettando il premio con un discorso per metà in latino, giusto per non essere da meno di John Grisham, che qualche tempo fa ricevette lo stesso premio tenendone uno in italiano. In più, in anteprima per il pubblico di Courmayeur, Deaver ha annunciato di essere già all’opera per il suo prossimo libro, previsto in uscita nel 2016. La notizia è che la storia si svolge in Italia.

Oggi ancora Concorso, e saremo già a metà strada. Si parte con Snow in Paradise di Andrew Hulme, per poi passare a Black Sea di Kevin Macdonald, a quanto pare uno dei più attesi. E siamo ancora in territorio anglofono, con tre film provenienti da Albione ed uno a stelle e strisce fino ad ora.

10 dicembre: Storie pazzesche apre il Festival, tra risate ed incredulità

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Noir. Nero. È il colore di Courmayeur, che oramai ne ha adottato i toni, il mood in questo periodo dell’anno, quando è tempo del consueto appuntamento col Noir in Fest. Ed anche quest’anno noi di Cineblog ci siamo, pronti a commentare soprattutto i film che passeranno da queste parti, ma non solo.

Qualche settimana fa il programma, che annunciava un Concorso piuttosto contenuto, con sette film in totale, alcuni dei quali non saranno certamente sfuggiti dal radar dei nostri lettori più assidui. Ci riferiamo anzitutto a Snow in Paradise, visto e recensito dalla Croisette lo scorso maggio. Fuori concorso, invece, l’evento principale sarà quello di Big Hero 6, ultimo film d’animazione Disney a sua volta recensito da queste parti.

Per il resto, cosa attendere? Beh, in realtà ci incuriosisce un po’ tutto, anche se non vogliamo nascondere il piacere di ritrovare qui a Courmayeur uno dei film persi nostro malgrado a Cannes, ossia The Salvation, western con Mads Mikkelsen. C’è pure un po’ d’Italia, con In The Box di Giacomo Lesina, mentre torna a distanza di un anno esatto Jude Law: l’anno scorso fu Dom Hemingway, quest’anno l’atteso Black Sea di Kevin Macdonald.

Ma il Noir non è solo “novità”, né solo cinema. Contestualizziamo. Non ci riferiamo ai gialli, a Jeffery Deaver, a cui va il Raymond Chandler Award 2014, o al consueto premio Scerbanenco per il miglior romanzo giallo degli ultimi dodici mesi. No. Parliamo di Mario Bava, della seconda stagione di The Blacklist o Fargo. Giusto per diversificare un’offerta che cerca di compensare ciò che manca in termini di quantità con una discreta o quantomeno eterogenea qualità.

Ieri sera è toccato a Storie pazzesche (Relatos salvajes) di Damián Szifron aprire questa edizione, la numero XXIV, film argentino che rappresenterà il proprio Paese ai prossimi Oscar, passato da Cannes qualche mese addietro (qui la recensione). Un film esilarante, alquanto centrato in questa cornice, visto l’umorismo smaccatamente dark, esasperato e a tratti fuori di testa che contraddistingue questo film composto da più storie completamente slegate l’una dall’altra. Il PalaNoir 1 era pieno e la gente ha gradito, sebbene all’inizio è sembrata essersi trovata un po’ spaesata da questo oggetto non identificato che come prima storia mette in scena una sorta di barzelletta. Dal canto nostro diciamo che il film regge discretamente anche una seconda visione, ed alcune trovate di Szifron ci appaiono fresche ora come a maggio.

Oggi si comincia a fare sul serio. Pronti via abbiamo Calvary alle 18.15 e Things People Do alle 21.30, entrambi in Concorso. Da segnalare anche la seconda stagione di The Blacklist al PalaNoir 2, ore 16.30. In attesa delle nostre recensioni, vi rimandiamo al prossimo aggiornamento di questo diario.