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Black Sea: Recensione in Anteprima del film con Jude Law

Noir in Festival 2014: da playboy iconico a padre ritrovato. È questo il “nuovo” Jude Law dell’avventuroso Black Sea, diretto da Kevin Macdonald

pubblicato 13 Dicembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 19:43

Robinson (Jude Law) è un esperto marinaio che manovra sottomarini. Sono undici anni che lavora per la stessa compagnia, finché un giorno, di colpo, un assegno di circa ottomila sterline è il biglietto con il quale viene rispedito a casa. Black Sea attinge da più parti, cavalcando a suo modo la cronaca, quella che vuole una fetta importante di lavoratori tagliata fuori perché semplicemente superflua al giorno d’oggi. In tutto questo, che fine può mai fare uno che di mestiere guida sottomarini?

Bisognerebbe davvero chiedere a Macdonald come mai un soggetto del genere, che rimanda per certi versi a quel prurito, in modo particolare nella letteratura di fine ‘800, per l’avventura verso luoghi esotici o addirittura ignoti. E se rispetto al Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne viene qui meno il mostro marino, non significa che delle affinità non ci siano. Perché Black Sea mescola svariati elementi, senza predominanza alcuna, optando piuttosto per degli agganci, pezzi di codice estrapolati dai generi e disposti in maniera grossomodo organica.

Ma il film di Kevin Macdonald è anzitutto un heist movie; o per lo meno, così nasce e cresce. E lo diventa nel momento in cui Robinson ed altri due ex-colleghi s’incontrano in un pub: discutendo del più e del meno viene fuori che a largo delle coste georgiane, sul fondale, giace un sottomarino nazista con un cospicuo bottino. Una soffiata che ricostruisce un presunto accordo sottobanco tra Hitler e Stalin, andato in fumo perché quell’oro non è mai arrivato a destinazione. Qual è allora l’idea? Formiamo una squadra e andiamo a diventare ricchi.

Qui Black Sea tenta un po’ di discostarsi dal genere, laddove in un ordinario film su una rapina organizzata la fase di arruolamento ha sempre una sua rilevanza. Non qui. Due/tre accorgimenti di montaggio, sovrapposizioni diegetiche e via: il gruppo, i cui membri vengono velocemente passati in rassegna, si avvia a bordo di un pulmino verso la nave subacquea. A questo punto il film può cominciare.

Alludevamo poco sopra ai registri, ed effettivamente Kelly, lo sceneggiatore, si muove con discreta disinvoltura in un contesto dove, da un certo punto in avanti, a farla da padrone sono le dinamiche di gruppo, con blandi accenni psicologici, fazioni ed altro materiale offerto dal ventaglio di possibilità. A più riprese sembra di tornare indietro di almeno trent’anni, quando certe produzioni erano la regola ed almeno due generazioni si sono formate in esse e con esse. L’occhiolino a taluni film cult è evidente, ed ognuno scelga quale titolo estrarre dal cilindro; per quanto ci riguarda, e non sapremmo dire nemmeno perché, la pellicola è L’ultimo attacco di John Milius, che è pur sempre storia di un’irruzione in territorio ostile, come Black Sea.

Di diverso c’è il trattamento dei russi, non più ubriaconi ebeti tutto muscoli e niente cervello, sebbene vengano inseriti per motivi analoghi: creare divisione. Perciò si può ben dire pure che Black Sea non si fermi all’avventura, che è la vocazione principe di questo lavoro, sconfinando in quel territorio che sonda tematiche più profonde. Il gruppo e le sue dinamiche offrono infatti spunti notevoli, anche in relazione al singolo. Il menù dei vizi e delle debolezze umane è piuttosto assortito, sebbene ci si lavora con attenzione, onde evitare di trasformare un action/adventure in un thriller psicologico, ché Black Sea non è lì che vuole andare a parare.

Ed è per qualche strano motivo interessante anche il relazione alla figura centrale di questa storia, ossia Robinson/Law. Da consumato playboy, Jude Law apre le porte al Jude Law 2.0, quello che oramai ha un’età e che forse è tempo per lui di indossare un’altra maschera. Robinson accetta infatti di dirigere questa sconsiderata missione di recupero solo per il figlio. Forse. Non è perciò un caso se il rapporto con Tobin, diciottenne coinvolto nella spedizione sott’acqua, assurge un po’ a emblema del conflitto interno al vecchio lupo di mare (forse che questa espressione vale solo per chi naviga in superficie?). E ritorna il leitmotiv di cosa un padre sia disposto a fare per i propri figli, fino a che punto possa spingersi al netto dei suoi difetti e lacune.

Al di là infatti del velato appello sociale, che ci parla di un’emergenza oramai insopprimibile, ci pare comunque che Black Sea lavori meglio sul caso particolare, in specie quello di un uomo che per trovare sé stesso deve immergersi nelle profondità marine, metafora che si conclude con una risalita dal retrogusto sarcastico, beffardamente caustico ma sincero, verosimile – mentre di davvero realistico in tutto il film c’è per lo più l’ambiente, soprattutto in relazione alla claustrofobia che riesce a suscitare. Dosando le varie nature, il film di Macdonald può dirsi un lavoro interessante, potenzialmente affine a più palati. Dunque non ci si aspetti il cult, come alcuni sarebbero legittimamente tentati a credere. Black Sea non è quel tipo di opera lì, cercando piuttosto di proporsi nella maniera più mainstream possibile. Il segreto sta forse nell’equilibrio.

Voto di Antonio: 7

Black Sea (Regno Unito, 2014) di Kevin Macdonald. Con Jude Law, Scoot McNairy, Jodie Whittaker, Ben Mendelsohn, Grigoriy Dobrygin, Michael Smiley, June Smith, Karl Davies, Paulina Boneva, Konstantin Khabenskiy, Daniel Ryan, Branwell Donaghey, Bobby Schofield, Stephen McDade e Georg Nikoloff. Nelle nostre sale da giovedì 26 febbraio 2015.