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Big Eyes: Recensione in Anteprima del film di Tim Burton

Un Tim Burton decisamente contenuto ci racconta la storia vera di Margaret e Walter Kane. In modo asciutto, diretto, il regista si concentra sulla vicenda, con benefici non indifferenti. Tra tutti, la sua incisività

pubblicato 16 Dicembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 19:36

Walter, sei mai stato a Parigi?

Si osservino i colori. Big Eyes è un film coloratissimo. Si dirà che il periodo è quello, la gente si circondava e finanche si copriva di colori sgargianti. Ne aveva bisogno d’altronde. Al di là dei riferimenti, però, sono proprio i colori, come sempre nel cinema di Tim Burton, a ricordarci che lì, dietro l’angolo, c’è una parentesi, una licenza poetica dal cinema burtoniano duro e puro (ammesso che tale definizione significhi qualcosa, ma tant’è). Era successo con Batman – Il ritorno, con Mars Attack, ultimamente con Dark Shadows: tutti film che, pur innestandosi a pieno titolo nell’ambito di un percorso, rappresentano delle scosse, come se di volta in volta lo stile di Burton ne dovesse uscire in qualche modo diverso, ridimensionato addirittura. Eppure quello è ancora Burton, per quanto ciascuno di questi film siano unici.

Big Eyes riversa nei colori, e pressoché solo in quelli, tutto ciò che lo stile burtoniano ha da dire. Per scelta. Non è un caso se quello che abbiamo davanti è un film che tratta la vicenda su cui è incentrato in modo asciutto, diretto. Il regista di Ed Wood (altro film biografico) abdica ai suoi tratti distintivi praticamente ovunque, fuorché in quella paletta cromatica così ampia, che è una componente che paradossalmente nemmeno gli apparterrebbe. Scelta coraggiosa, a dispetto di un lavoro che invece scende giù senza intoppi, come fosse un bicchiere d’acqua.

Walter Kane è un tizio che a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 divenne famosissimo per dei dipinti la cui peculiarità erano dei bambini e delle bambine con degli occhi giganteschi. Non importa quanto fu ostracizzato dalla critica, perché il pubblico dimostrò un gradimento talmente spropositato che fece di Kane un uomo ricchissimo; certo, non senza il suo fiuto per gli affari, l’avere previsto con anni d’anticipo che il mondo dell’Arte stava cambiando, sulla scia della «riproducibilità tecnica» di Benjamin, accelerando i tempi. I veri soldi Kane infatti non li fece con i quadri, quanto con le stampe, le quali contribuirono all’edificazione di un vero e proprio impero commerciale. Ma come tutte le storie inerenti a grandi fortune, dietro ce n’è sempre un’altra ancora più interessante.

L’artista non era Walter Kane, bensì la moglie Margaret. Un segreto che ha attraversato un decennio, e attorno al quale si snoda Big Eyes. Qualora non fossimo stati abbastanza eloquenti con la nostra premessa in apertura, rincariamo la dose: se cercate l’opera meno burtoniana di Burton, forse è a questo film che bisogna rivolgersi. Il “forse” è a ragion veduta, perché l’impressione è talmente forte, la realtà talmente palese, che tendiamo a diffidarne noi in primis. Eppure è così. È un Burton con le mani legate, contenutissimo, ma proprio per questo più incisivo. Pochi fronzoli, spazio alla storia e principalmente a quella; a Burton viene concesso il titolo del film, questo sì molto affine alla sua indole.

Ripescando una struttura da cinema classico, che qui viene riadattata e resa appetibile anche a un pubblico meno avvezzo, in Big Eyes si ha modo di concentrarsi sugli eventi senza troppe o nessuna distrazione. Tanta è la cura per la scenografia, che riesce a catapultarci in quel periodo, in quella San Francisco mercato multietnico a cielo aperto, quegli interni così kitsch, le capigliature; tutti elementi che il pubblico percepirà senza però accorgersene, perché di essi non se ne fa sfoggio asserviti come sono alla narrazione. Tutto converge verso la vicenda di Walter e Margaret, di questo loro tormentato rapporto, senza studi o introspezioni di alcun genere. Il tono è una delle componenti che denotano maggior equilibrio, dato che Burton riesce a girare il tutto come fosse una commedia, a tratti nera a tratti seriosa, senza però mai sfociare nel dramma.

Lavora sui suoi personaggi ma soprattutto sulle loro interpretazioni, funzionali (sì, ancora una volta) alla storia. Esagera Christoph Waltz nella sua performance in più punti caricaturale? Certo che lo fa. Ma Walter è un personaggio spregevole di suo, viscido, e se in questo film non ci fosse stato somministrato come un cattivo sì geniale ma anche un po’ buffone nei suoi frequenti impeti teatrali, ecco che Big Eyes sarebbe stato un’altra cosa. In tal senso il personaggio di Amy Adams (molto brava), Margaret, è a sua volta un surrogato di luoghi comuni e stupidità, con quella sua perenne condizione da sottomessa spesso fastidiosa, forse addirittura irrealistica, ma che inserita nel contesto ha un suo perché. In una storia così strutturata non possono che essere loro il centro gravitazionale di tutto, perciò Big Eyes sta o cade sulla resa di Walter e Margaret, più singolarmente che come coppia.

L’abilità di Burton, da par suo, è quella di non cedere alla tentazione del surrealismo, di costruirci sopra scenari grotteschi, sebbene talvolta sembra quasi impossibile farne a meno. Perché grottesca lo è di per sé la circostanza di un uomo che riesce a gabbare il mondo intero spacciando per suoi i dipinti della moglie, con il beneplacito se non addirittura la benedizione di quest’ultima. Una situazione dagli equilibri così precari non è dunque facile da mettere in scena, perciò l’apparente fluidità con cui scorre altro non è che una conferma riguardo alla perizia degli autori. Per il resto ci sono i colori, gli stessi con cui abbiamo aperto questo nostro scritto.

I colori ed il titolo, che non a caso danno adito alla misura più burtoniana del film, quando Margaret, sempre più sola ed alienata, comincia a vedere le persone con gli stessi occhi dei suoi quadri. Enormi, sproporzionati. In queste piccole cose va scorto il tocco esplicito del regista, che per il resto si mette da parte lasciando quasi che gli eventi si raccontino da sé. Ma sappiamo che non è così semplice, poco importa che questo sia un film di Burton o meno. È un buon film; e nel suo genere se ne fanno sempre di meno, perciò prendiamolo e teniamocelo così per com’è. Anche se col tempo magari tenderemo a non ricordarcelo come tanti altri.

Voto di Antonio: 7
Voto di Federico: 5.5
Voto di Gabriele: 5

Big Eyes (USA, 2014) di Tim Burton. Con Christoph Waltz, Amy Adams, Krysten Ritter, Jason Schwartzman, Danny Huston, Terence Stamp, Stephanie Bennett, Heather Doerksen, Andrew Airlie, Jon Polito, Elisabetta Fantone, Emily Fonda, James Saito, Vanessa Ross, Steven Wiig, Jill Morrison e Emily Bruhn. Nelle nostre sale da giovedì 1 gennaio 2015.