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Timbuktu: il fondamentalismo islamico, dal cinema all’Oscar 2015

Aspettando Timbuktu di Abderrahmane Sissako con curiosità e trailer, da Cannes 2014 agli Oscar 2015, passando per il cinema

di cuttv
pubblicato 10 Febbraio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 18:39

Come Marco Polo mi metto in viaggio per la Timbuktu di Abderrahmane Sissako, con uno sguardo sulla repressione islamica che condanna ogni genere di fondamentalismo, tra ribellioni represse nel sangue, partite di calcio senza pallone e donne senza velo.

Non lontano da Timbuktu, occupata dai fondamentalisti religiosi, in una tenda tra le dune sabbiose vive Kidane, in pace con la moglie Satima, la figlia Toya e il dodicenne Issan, il giovanissimo guardiano della loro mandria di buoi.

In paese le persone soffrono sottomesse al regime di terrore imposto dai jihadisti determinati a controllare le loro vite. Musica, risate, sigarette e addirittura il calcio, sono stati vietati. Le donne sono state obbligate a mettere il velo ma conservano la propria dignità. Ogni giorno una nuova corte improvvisata emette tragiche e assurde sentenze. Kidane e la sua famiglia riescono inizialmente a sottrarsi al caos che incombe su Timbuktu.

Ma il loro destino muta improvvisamente quando Kidane uccide accidentalmente Amadou, il pastore che aveva massacrato Gps, il bue della mandria a cui erano molto affezionati. Kidane sa che dovrà affrontare la nuova legge che hanno portato gli invasori.

Un film drammatico che non ignora un libro di pace come il Corano e l’ironia di certe mistificazioni messe in scena con il finto filmato “jihadista”, diretto da Abderrahmane Sissako, sceneggiato con Kessen Tal, interpretato da Ibrahim Ahmed aka Pino, Toulou Kiki, Abel Jafri, Fatoumata Diawara, Hichem Yacoubi, Kettly Noël, Mehdi AG Mohamed, Layla Walet Mohamed, Adel Mahmoud Cherif e Salem Dendou.

L’opera cinematografica che siscaglia contro ogni forma di fondamentalismo prodotta da Les Films du Worso, Dune Vision con Arches Films, ARTE France Cine?ma e Orange Studio, la partecipazione di Canal+, Cine? +, ARTE France, Le Pacte, TV5 Monde, Centre National du Cine?ma et de l’Image Anime?e, In associazione con INDE?FILMS 2, Se?bastien Birchler, con il supporto di Doha Film Institute.

Il ‘Timbuktu’ ambientato in Mali e girato in Mauritania, già passato e recensito in anteprima alla 67esima edizione del Festival di Cannes, distribuito al cinema da Academy2 da giovedì 12 febbraio 2015, in attesa dell’87ª edizione della cerimonia degli Oscar che si terrà al Dolby Theatre di Los Angeles il prossimo 22 febbraio, dove Timbuktu di Abderrahmane Sissako è candidato all’Oscar 2015 come miglior film straniero.

Colonna sonora

“TIMBUKTU parla di spezzare le catene, rompere i divieti. I musicisti continuano a far musica anche se e? strettamente proibita, i bambini giocano a pallone nonostante i divieti… Ho cercato, con la musica, di esprimere questo: la musica cerca di superare le convenzioni, mescolando strumenti della tradizione con le armonia e le tessiture dell’orchestra […] E? il messaggio universale del film. E la musica cerca di esprimerlo: gli strumenti etnici, fusi con i colori orchestrali, rafforzano e arricchiscono l’emozione.” – Amine Bouhafa

Tracklist

1 Shooting The Statues 2 Timbuktu Fasso
3 Football Without A Ball 4 The Spiritual Dance
5 The Lake 6 Run
7 Destiny 8 Zabou
9 Timbuktu Fasso 10 Killing GPS
11 The Fisherman 12 Timbuktu Fasso

Il compositore Amine Bouhafa ha realizzato una ricca tavolozza di colori fondendo il suono di voci e strumenti africani e extraoccidentali (kora, duduk, n’goni, flauto bansuri, oud, percussioni) ed europei (piano e clarinetto, affidati allo stesso compositore) con lo sfondo affidato all’Orchestra Filarmonica della Citta? di Praga.
Amine Bouhafa e? compositore, musicista e direttore di orchestra, ha all’attivo numerose colonne sonore per film e serie televisive (come il fortunatissimo TV show egiziano ‘The First Lady’ con Ghada Abd Errazik, campione d’ascolti nei paesi di lingua araba). La sua notorieta? e? legata specialmente alle sue collaborazioni con due registi, l’egiziano Adel Adib e il tunisino Mohammed Zran.

Note di Regia

Timbuktu di Abderrahmane Sissako

Il 29 Luglio del 2012 ad Aguelok, una piccola citta? nel nord del Mali, un crimine inspiegabile ebbe luogo. Un crimine sul quale i mezzi di comunicazione di tutto il mondo chiusero gli occhi. Una coppia di due trentenni, genitori di due figli, sono morti lapidati.
La loro unica colpa era di non essere sposati. Il video del loro assassinio, che e? stato pubblicato sul web, e? mostruoso. La donna muore colpita dalla prima pietra, mentre l’uomo butta fuori un urlo disperato. Poi silenzio.
Aguelok non e? Damasco o Tehran. Non e? trapelato niente di questa storia. Tutto quello che racconto e? orribile lo so, non voglio usare un fatto cosi? atroce per promuovere il film. Ma non posso dire che non sapevo e testimonio quello che e? accaduto, nella speranza che nessun bambino debba mai piu? imparare che i propri genitori sono stati uccisi perche? si amavano.

Intervista a Abderrahmane Sissako

Timbuktu di Abderrahmane Sissako

La storia della jihad che racconta e? tragica, una realta? che non si dimentica e comune a molti luoghi. Come ha intuito la potenzialita? di questa storia, molto specifica ma allo stesso tempo riconducibile a molteplici situazioni in altre parti del mondo?
Due cose mi hanno colpito in particolare, l’assurdita? e la violenza degli atti che i jihadisti hanno commesso quando sono entrati a Timbuktu e soprattutto la lapidazione di quella coppia che e? avvenuta proprio a Timbuktu. Ho voluto raccontare subito quella storia per mostrare che in quel luogo e in quel momento quello che stava capitando era assolutamente paradossale. Tutte le cose anomale, non normali vengono spesso taciute, non menzionate. Restiamo in silenzio quando le vittime sembrano cosi? lontane e diverse da noi.

Timbuktu e? una citta? simbolica e la prova che gli e? stata inflitta dall’occupazione jihadista e? anch’essa simbolica?
Qualche anno fa (nel 2006) ho girato una sequenza di un film western Bamako, con Denny Glover, questa sequenza e? stata girata a Timbuktu che era, in quel periodo, un luogo straordinario di tolleranza e scambi. Giravamo proprio davanti la moschea e nessuno si e? sentito minacciato o offeso da questo, di tanto in tanto fermavamo le riprese per lasciare passare le persone che andavano a pregare. E? questo il vero Islam ed e? per questo che l’occupazione di Timbuktu, da parte di persone provenienti da altri luoghi e? simbolica. Timbuktu e? un luogo mitologico, tutti ci sentiamo feriti dalla sua occupazione. L’occupazione della citta?, nel 2012, e? durata un anno. Un anno durante il quale tutta la popolazione e? stata presa in ostaggio. Un anno durante il quale i media si sono soprattutto focalizzati sugli ostaggi occidentali rapiti in questa parte del mondo.

Lei viene dalla Mauritania ma il film e? girato in Mali. L’occupazione jihadista e? stata breve. E? ritornato a Timbuktu per girare quando si e? conclusa l’occupazione?
Quando Timbuktu e? stata liberata dalle truppe francesi, sono andato sul posto. Avevo intenzione di rivedere la sceneggiatura, incontrando la gente del posto. Mi avevano consigliato, per esempio, di parlare con una venditrice di pesce che aveva accettato di indossare il velo contro la sua volonta? ma aveva osato sfidare gli jihadisti. Loro erano rimasti cosi sorpresi dalla sua reazione che l’avevano lasciata tranquilla. E? il genere di personaggio che non si puo? immaginare scrivendo la sceneggiatura a Parigi. Ho visto anche quelle ragazze stuprate che chiamano vergognosamente “sposate con la forza”. Esattamente come le studentesse nigeriane rapite da Boko Haram.
Una di loro, di 19 anni, ha avuto il coraggio di raccontarmi che ogni sera, vedeva arrivare quattro uomini, dei quali non vedeva il viso. Ho raccolto tutte queste testimonianze, con attenzione, cercando di restituirle in modo genuino, pudico, senza amplificarle. A che serve aggiungere qualcosa, la realta? e? gia? di per se cosi terribile. La gente che incontravo parlava poco, voleva lasciarsi tutto alle spalle e passare oltre.
Avevo intenzione di girare li?, sul posto. Purtroppo c’e? stato un attentato suicida davanti alla guarnigione militare. Tre uomini in fuoristrada si sono fatti esplodere dopo essere stati a mangiare tutti insieme una grigliata. Hanno ammazzato due uomini che passavano di li con il carretto. Era estremamente rischioso portare una troupe a Timbuktu, e cosi? ho deciso di spostare le riprese di alcune scene in Mauritania, cercando citta? simili a Timbuktu, come Oualata. La difficolta? era di portare in quel luogo le persone di etnie che vivevano a Timbuktu e non in Mauritania: i Songhai, i Tuareg, i Bambara, i Peuls…
Abbiamo girato per sei settimane, nella tensione. Il luogo delle riprese era cmq in una zona pericolosa. C’erano francesi nella troupe. Eravamo protetti dall’esercito della Mauritania, ma anche se ci dicevano ogni giorno che nessuno sarebbe stato rapito e che la situazione era sotto controllo, non eravamo al riparo da qualche attentato suicida.

Mostra gli jihadisti come esseri ridicoli, fannulloni, falliti, imbecilli, ipocriti, che fumano di nascosto e hanno pulsioni…
Mostro anche che possono essere cortesi: restituiscono gli occhiali e i medicinali all’ostaggio europeo e gli offrono il te?. Un secondo dopo, magari lo decapiteranno… ma racconto anche come possono lapidare e ammazzare una coppia e flagellare una donna perche? ha cantato. Ma in ogni gruppo, e quindi anche nel loro, ci sono per forza tutti i tipi di individuo, il cattivo, l’intellettuale o anche un rapper. Tengo molto al personaggio del rapper, un giovane a cui hanno fatto il lavaggio del cervello, e che pensa che quando faceva musica, era nel peccato. Abbiamo saputo poi che l’uomo che ha tagliato la gola all’ostaggio americano James Foley era con ogni probabilita? un ex rapper londinese.

Lei riconosce un elemento di umanita? ai jihadisti?
Ogni essere umano e? complesso, ha il lato buono e quello cattivo. Un jihadista e? come noi, ma la sua vita e? cambiata tragicamente. Una persona che usa violenza sugli altri ha anche lui dei dubbi. Per questo io penso che ci sia anche in lui un lato umano.

Filma una scena splendida, una partita di calcio senza pallone, l’immaginazione e? piu? forte del divieto?
Si, l’immaginazione e? l’ultima arma che rimane a quella gente che ha appena perso ogni riferimento. E? tutto cio? che gli rimane, cio? che li mantiene in vita, perche? nessuno puo? ucciderla, e? l’ultima speranza. E quando ho immaginato questa scena, l’ho visualizzata esattamente come nel film, poi ha preso una dimensione, una forza che la rende fondamentale all’interno del film, anche grazie al lavoro dell’autore delle musiche.

La famiglia berbera che ci mostra e? molto simpatica e affiatata e il loro modo di vivere e? molto piacevole. Ha cercato di farci condividere piu? profondamente il dramma di queste persone e la loro vita insieme?
Per era importante raccontare un dramma umano e la vicenda di un uomo che sta per morire e lasciare la figlia orfana

Come ha selezionato gli attori?
La maggior parte non sono attori professionisti, non e? stato semplice. Per esempio, il giorno in cui ho girato la scena del giudizio di Kidane, il mio assistente mi presento? un uomo per recitare la parte del giudice, e mi accorsi subito che non andava bene. Dissi allora ad un tecnico della troupe che sarebbe stato lui a recitare la parte del giudice; non ebbe nemmeno il tempo di riflettere sulla parte, indosso? subito l’abito… E si rivelo? di una forza incredibile!
Per Kidane, il tuareg, era impossibile trovare un attore di teatro… mi ricordo di aver visto un tipo su una fotografia, un musicista che viveva a Madrid, con cui ho avuto solo un colloquio telefonico; mi sono fidato ciecamente di lui, non gli ho fatto fare neanche un provino. Ed e? fantastico! E? questa la fragilita? del cinema ed il suo miracolo. Alla fine giriamo le scene della morte del pescatore. E? a 20 chilometri da Kifa, l’unica distesa d’acqua non prosciugata che abbiamo trovato. Il pescatore deve parlare Songhai o Bozo, una lingua con cui puo? comunicare con l’allevatore tuareg. A Timbuktu, la gente parla almeno tre lingue! Per questo faccio vedere che gli jihadisti si muovono con degli interpreti. Il mio assistente mi fa vedere una foto del pescatore che e? stato selezionato; non mi va bene per niente. Il personaggio deve morire, la sua presenza e? molto breve, deve comunicare qualcosa, serve che abbia carisma. E non e? il caso dell’uomo che mi propongono. Allora mi preparo ad improvvisare, a immaginare di girare la morte del pescatore senza il pescatore.
La scenografia e? pronta. E li?, tra quelli che stanno sulle piroghe, vedo un uomo. Viene da Timbuktu, mi racconta che e? scappato dagli jihadisti, che e? rifugiato li? da un anno; parla songhai, bambara, tamachek (la lingua tuareg); la pesca e? la sua passione, ha capito tutto del mio discorso, e? pronto a fare tutto cio? che gli chiedo! Nuovo miracolo: e? perfetto! Al cinema, il regista e? solo un traghettatore. Il suo lavoro e? solitario, ma beneficia di un inconscio collettivo. E? questa magia che mi appassiona.

Quando ha deciso di diventare regista?
Ho deciso molto presto che avrei intrapreso questa professione. Avevo 14 anni e non ero un cinefilo e neanche un amante del cinema, avevo visto veramente pochi film. Mia madre ebbe un figlio prima di me, dal precedente matrimonio e il padre di questo bambino fuggi? portandolo via con se. Erano in Algeria e per 25 anni lei non riusci? a rivedere suo figlio. I miei fratelli e le mie sorelle crebbero con il pensiero, con l’idea che questo fratello fosse sparito per sempre. Mia madre parlava di lui tutti i giorni. Noi crescemmo e lui non era con noi. Una volta lo incontro? in Senegal mentre era in macchina. Quando torno? a casa, ci racconto? che l’aveva visto e che l’aveva fotografato. Mi racconto? che egli stava studiando cinema e mi parlava di questo tutti i giorni. Ed e? questa la ragione per cui ho iniziato a fare film, per mia madre.

Dove ha studiato?
Mi sono trasferito a Mosca quando avevo 19 anni e ho studiato li?. Il mio primo cortometraggio, preparato come saggio finale del corso, si intitolava The game ed e? stato selezionato al Festival di Cannes nel 1991. Ha avuto molto successo e fu comprato dalla televisione. Grazie a questo io ho potuto realizzarne un altro October. Con questo cortometraggio sono ritornato al Festival di Cannes nel 1993.

Come e? riuscito a finanziare Timbuktu?
Non ho girato film per sette anni, ma era arrivato il momento di girare questo film e ho trovato i fondi abbastanza facilmente.

Che reazioni ha suscitato in Mauritania la nomination all’Oscar?
C’e? una grande attesa, e? una cosa straordinaria per il popolo della Mauritania ma non solo, e? importante per l’Africa, per tutto il continente. Un fatto cosi? coinvolge tutti i paesi dell’Africa dal Senegal al Marocco, perche? l’Africa viene vista in modo positivo. Tutti sanno che l’Africa e? un continente magnifico, anche se ha dei problemi, ma e? un luogo poco conosciuto ai molti, nessuno parla seriamente della sua bellezza e complessita?. Ogni volta che qualcuno lo illumina di una luce positiva, questo tocca e commuove le persone.

08 Timbuktu di Abderrahmane Sissako - poster

Via | Academy two

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