Home Premio Oscar Birdman ha preso il suo pesante bottino di Oscar e corre via col vento

Birdman ha preso il suo pesante bottino di Oscar e corre via col vento

Le vittorie si possono discutere ma quando sono numerose, e senza troppe resistenze, significano qualcosa di più… e cioè che sono standard

pubblicato 26 Febbraio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 17:47

Non c’è bisogno di raccontarlo, il film. I giornali hanno seminato il campo del gioco cinema con battage da mesi, il grano è cresciuto a febbraio, tappando le bocche e gli occhi. Chi vince l’Oscar ha sempre ragione. Gli Oscar creano la storia del domani, specie quando la memorie diventa più debole. Però. Ero andato ben disposto. Inarritu aveva seminato sul tavolo del set alcune carte vincenti. Ad esempio, il nome di Raymond Carver e del suo racconto “Che cosa intendiamo quando parliamo d’amore”. Ricordo che anche il grande Robert Altman di “America oggi” ne aveva tenuto conto. Trattamenti diversi, sto con Altman.

Inarritu, che è un americano acquisito a Hollywood Corporation come abile professionista, è un messicano con una grande storia alle spalle. La famiglia passò dalla ricchezza alla quasi miseria, poi si riprese e Alejandro Gonzales a sua volta prese il volo e diventò birdman, salvatore di se stesso. Tutto quanto Alejandro Gonzales Inarritu fa, è sensazionale. Lavori e successi. Piccoli film vissuti da una genialità a fontana, dopo affrettati studi compresi quelli della comunicazione nel suo Messico. Una attività impulsiva, energia, intelligente, calda. Ce ne fossero da noi ragazzi così che amano il cinema senza farsi avvilire da critici che impongono per il nostro glorioso cinema un destino impossibile, quello di “autori per forza” senza avere nulla da dire o di “autori comici usa e getta”. Una montagna di comici, di fronte la quale Totò e la banda degli onesti della comicità made in Italy trema di lacrime d’orrore.

Inaurritu in “Birdman” ha dimostrato una grande scioltezza e la capacità di assemblare la storia esemplare di uno birdman pentito che vuole dimostrare a se stesso e al mondo di poter fare bene il teatro a Broadway e pulirsi dalle scorie del bird che gli sono appiccicate alle ali. Non voglio raccontare o ri-raccontare un film noto e di successo. Voglio dire che ha un gran piglio (piglio e porto a casa) nell’esporre la sua merce squillante tra una forma veloce e tecnicamente evoluta, e sentimenti predicati (la coscienza sede del bird, la sua anima da pulire). Voglio dire che sono conquistato dalla sua capacità, confermata, di andare al sodo con immagini sfogliate con buone intenzioni. Edificanti.

Ma Inarritu dimostra ormai la strada che ha scelto e che percorrerà in modo agevole dopo la cascata di nomination e di Oscar: la strada del successo confezionato che richiama figure della mitologia hollywoodiana, made in Usa. Birdman abita nell’olimpo delle figure della tradizione che non fanno nulla di male, anzi sono molto attraenti, giustizia fai da te, per noi. Figure come Superman, Batman, Captain America, eccetera, sono tutti salvatori della patria, paladini del giusto, nemici dell’ingiusto e del crimine. In fondo, tutti Angeli molto abili, palestrati, mascherati, doppio tra realtà e sogno di attacco e vittoria, in lotta con i demoni della vita, nella nazione più potente nel mondo e soprattutto di New York, la più fantastica e miracolosa realizzazione di vita glamour di massa.

Angeli nel fascino dell’impero, colpita a morte l’11 settembre, pronta alla riscossa. Un’America piena di Angeli di vario tipo, persino John Travolta si è trasferito dalla discoteca nelle squadriglie di uomini con le ali. Questa America racconta sempre la stessa cosa: battersi e migliorarsi, perire, solo in apparenza, anche perché l’ex Birdman si lancia da una finestra, la figlia ha paura e si affaccia alla finestra, ma non c’è alcun cadavere del padre o del bird, insieme sono una sola persona, essi stanno volando nel cielo, dopo la volenterosa ricerca di un riscatto dalle storie di ali, eroi droni di Hollywood.

Al servizio del racconto, che a poco a poco perde fascino e cerca il finale, uno stile standardizzato, nutrito da uno storytelling che trionfa. Ovvero, forme e soluzione conclusiva sono al servizio non di un tema (scontato) ma di un sensazionalismo tra sorrisi e codici: i giochi del sesso e della scena, un teatro che non stupisce e anzi ci propone un retroscena in cerca di spiritosaggini, grottesco, per compensare l’ansia e lo struggimento della storia in cui un bird vuole diventare semplicemente un uomo; ma al momento buono, egli vola e torna bird.

Dunque, abilità di regista e di manipolatore di valori. Tranquillo, sereno, rapido ed eccitato. Dice solo questo all’Academy e al pubblico che in parte casca nelle spire del serpente narrativo senza vibrazioni, che spegne tutti i fuochi. Edificante. Via col vento degli Angeli mascherati.

Premio Oscar