Home Festival di Cannes La legge del mercato – La Loi du Marché: recensione del film in Concorso a Cannes 2015

La legge del mercato – La Loi du Marché: recensione del film in Concorso a Cannes 2015

Ricominciare a cinquant’anni. È ancora possibile? Stéphane Brizé propone un un ritratto a cavallo tra horror e realismo con un azzeccato Vincent Lindon in La Loi du Marché

pubblicato 20 Maggio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 15:43

Thierry (Vincent Lindon) sta disperatamente cercando di reinserirsi nel mondo del lavoro. Ha appena portato a termine un corso che, beffardamente, non gli serve a nulla: «avrebbe dovuto informarsi prima su quanto le sarebbe tornato utile». La prima parte di La Loi du Marché è attraversata da questo costante senso di frustrazione, una mortificazione dopo l’altra. Ad un certo punto Thierry si trova nel bel mezzo di una situazione che lo vede assorbire critiche da tutti i lati; in uno schermo è appena passata la registrazione di un suo colloquio, e quello che segue è una sorta di forum di discussione su come il nostro si è comportato secondo gli intervenuti: passaggio di una pesantezza incredibile, con il cinquantenne costretto ad incassare interventi il più delle volte superflui, non importa fino a che punto espressi in buona fede. In un altro gli viene fatto notare, così… en passant, che il suo curriculum è scritto male.

Molti qui al Festival hanno parlato di già visto, alcuni addirittura di un argomento che non c’interessa. Mi pare invece che la storia di Thierry sia di un’attualità disarmante, e Brizé si dimostra piuttosto abile nel cogliere certi momenti chiave. La Loi du Marché è infatti strutturato su episodi, che servono per lo più a descrivere una condizione che a raccontare una storia con un inizio ed una fine. Inquadrature strette, asfissianti, con un Lindon chiamato ad una prova non facile, perché gli occhi sono sempre su di lui, pronti a notare il seppur minimo cenno di cedimento. Che non arriva, sebbene si trovi sottoposto a situazioni umanamente provanti.

Ma Brizé non cerca compassione, né si accoda alla trita retorica del «i veri eroi sono i padri che arrivano a fine mese»; Thierry opta per delle scelte alle volte “sconsiderate” viste da fuori, come quando contratta per la vendita della sua roulotte per le vacanze: il potenziale acquirente comprende il disagio dell’altra parte, e ne approfitta tirando sul prezzo. Di lì a poco, con uno scarto di qualche centinaio di euro, Thierry mette da parte il bisogno anteponendogli la dignità, non l’orgoglio: basta, la roulotte non si vende. Siamo ancora nella prima parte.

Senonché il lavoro arriva, e veniamo catapultati nella seconda parte. Dopo averci mostrato che vita conduce Thierry e la sua famiglia, ossia la moglie ed il figlio con un handicap, tra cucine Ikea, scuole di ballo e prestiti nell’ordine di somme risibili, i ruoli s’invertono: ora è lui a dover assistere alle umiliazioni altrui, in un capovolgimento che bisogna ammettere non appare forzato affatto, anzi. Assunto da un supermercato come guardia, succede di tutto e di più. Come dice un suo collega, «il ladro non ha età né colore», mentre si prodiga nel diffondere la scienza su come acciuffare gli arraffoni, quelli che con la scusa di dare uno sguardo alla merce se la ritrovano in una tasca a caso come se non fosse successo nulla.

È una prospettiva interessante, che nulla ha a che vedere con quella di (uno a caso) Due giorni, una notte, che sarà sempre un’opera intrisa di sociale, ma con un discorso che va a parare altrove. La Loi du Marché pone dei quesiti terribili, senza astrazioni di sorta: è possibile salvaguardare la propria integrità e al tempo stesso restare a galla in un mercato come il nostro? La storia di Thierry si svolge in Francia, ok, ma un italiano non fatica a sentirla vicina, possibile, verosimile. Tanto che a tratti sembra di assistere a un horror, misto al realismo di scene in cui il montaggio interviene pochissimo, lasciando che la macchina da presa registri a mo’ di documentario.

Non è poi così difficile capire come mai un film del genere non abbia attecchito a dovere, perché in fondo la storia che racconta l’abbiamo vista tante volte, che siano i Dardenne o effettivamente Cantet. Né Brizé dal canto suo dimostra di essere interessato a cose dell’altro mondo, ostentando un’originalità che proprio non gli appartiene. Eppure La Loi du Marché colpisce, perché, pur nel suo reiterare discorsi già fatti, aggiunge un personaggio che vale la pena conoscere. E se alla fine andrà come sembra, ossia con la Palma a Lindon, non si potrà gridare ad alcuno scandalo: il film è lui, in tutto e per tutto.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”5.5″ layout=”left”]

La Loi du Marché (Francia, 2015) di Stéphane Brizé. Con Vincent Lindon, Karine Petit de Mirbeck e Matthieu Schaller.

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