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San Andreas: recensione in anteprima

San Francisco, moderna Sodoma, crolla su sé stessa sotto i colpi di una serie di terremoti devastanti. Disaster movie semi-apocalittico? Anche. Ma soprattutto rivisitazione biblica in chiave contemporanea come solo certa Hollywood può e sa fare

pubblicato 26 Maggio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 15:31

Una catastrofe si abbatte sulla faglia di Sant’Andrea: alcune rilevazioni hanno messo in allerta i sismologi, per via di alcune scosse di alta magnitudo. Onde evitare di addentrarci in tecnicismi che non ci competono, la situazione è tanto chiara quanto terrifica: metà della superficie californiana rischia di scuotere in maniera devastante tutto ciò che vi si poggia sopra.

Essere sarcastici verso film come San Andreas è troppo facile, mentre anche i meno avvezzi alle bocciature fanno in certi casi fatica a destreggiarsi pur di non parlarne (troppo) male. Il punto è che questo non è semplicemente uno di quei film senza né capo né coda, ma è anche espressione di una tendenza un po’ particolare. Checché ne dicano le locandine, quello che ci troviamo di fronte è un film biblico alla maniera protestante, i cui epigoni ad Hollywood non mancano. Per la precisione, è un riadattamento dell’episodio di Sodoma e Gomorra in chiave contemporanea e a suo modo fantascientifica.

In altre parole un’opera blasfema, frutto del sola scriptura tipico di certi ambienti cristianisti, che a forza di difendere una cosa finiscono col fornire ulteriori ragioni per attaccarla. Stavolta si tratta di una sit-com su ampia scala, catastrofista, familista, la cui unica ambientazione non è una stanza bensì un’intera metropoli in macerie. È San Francisco, città gay-friendly per eccellenza, distrutta dalla forza della natura senza apparente ragione, con tanto di tsunami finale (d’altronde l’acqua è simbolo di purezza).

Ma per raccapezzarci meglio basta seguire le vicende della famiglia Gaines. Ray (Dwayne Johnson) è capo dei pompieri (uhm), stimato sul lavoro ma anche in procinto di divorziare con la moglie Emma (Carla Cugino). Quest’ultima sta per trasferirsi nella lussuosa villa del compagno, un ricco mediatore che opera nel settore degli immobili, per lo più grattacieli – e che si rivelerà un coglione, giusto per integrare anche un briciolo di pauperismo a buon mercato. Con loro vive Blake (Alexandra Daddario), giovane e bella ragazza che ha dovuto affrontare il trauma di perdere la sorella; lutto che a conti fatti ha spaccato la famiglia Gaines.

Che i 100 milioni di budget siano stati investiti è fuor di dubbio: gli effetti speciali sono di prim’ordine, credibili e tutto quanto. Sulla genuinità del loro inserimento in questo contesto concedeteci di dubitarne. San Andreas ci parla anzitutto di questa famiglia che, dopo aver faticosamente elaborato un lutto, finendo quasi col restarne schiacciati, si ricongiunge nella più rocambolesca e assurda delle situazioni. Anziché porsi come un ordinario ed iper-pompato distaster movie, preferisce costruirci sopra una parabola come solo a certi livelli sanno fare, ossia pervertendone le ambizioni.

Dialoghi tremendi, nemmeno da b-movie, con il personaggio della Cugino che, osservando la sconfinata distesa di macerie che è San Francisco esclama «che disastro!», come una casalinga a cui di lì a poco toccherà dare una sistemata. Eh beh. The Rock ci mette un’ora esatta a scagliare il primo pugno, e quando arriva si avverte in pieno che il momento è liberatorio, quasi che la sua presenza improvvisamente assumesse un significato. Quanto alla Daddario, beh… non è poi così complicato immaginare. Niente nudi, per carità, ma anche qui l’azione è strutturata, concepita in maniera tale che quando si toglie la giacca e resta con la maglietta smanicata abbia timbrato il cartellino. Paul Giamatti è invece il sismologo sfigato, quello del «ve l’avevo detto» di cui a quel punto non frega più a nessuno; innesto pressoché inutile ai fini della trama, che di siffatto messaggero di sventure non sa cosa farsene, oppure non sa come collocarlo.

Al di là della blasfemia perciò, pure una palese mancanza di rispetto verso lo spettatore, che si vede dare dello stupido una scena dopo l’altra. Non c’è sospensione dell’incredulità che tenga, dato che lo “sforzo” richiesto non lo si può neanche lontanamente pretendere alla luce di una sceneggiatura non semplicemente ridicola ma, come già accennato, per certi aspetti pure offensiva, a prescindere dal soggetto. Perché quando lo spettacolo non riesce a farsi intrattenimento, allora è più facile far sembrare chi ti guarda un demente piuttosto che ammettere di non avere idee. In questo senso c’è da sperare (per loro) che la gente non si accorga che questo non è l’adattamento dell’omonimo capitolo della saga videoludica Grand Theft Auto, ché magari qualche esperto tale possibilità l’avrà pure considerata.

Banalizzazione di argomenti d’attualità scottante, perché certi sedicenti credenti quando ci si mettono sanno essere blasfemi come nessun altro. In cosa sta qui il difetto più volte menzionato? Nel servirsi di una mole ingente di quattrini pur di girare un rifacimento dell’episodio di Sodoma, isolandolo e decontestualizzandolo col solito prurito di certuni, che nella Bibbia ci vedono per lo più un manuale d’istruzioni. Non capendo che così continueranno ad ottenere gli effetti opposti, perché all’incirca chiunque è oggigiorno capace di manomettere simili bluff, senza particolari difficoltà peraltro.

Tolto questo, restano una serie di involontarie risate alle quali dubitiamo gli autori aspirassero, ché questo non è Sharknado. Guardando San Andreas pare proprio che non vi sia via d’uscita e che determinate produzioni debbano dunque per forza di cose essere assurde, inconsistenti, oltre che poco oneste. Viene da credere a quella proporzione per cui più alto è il budget più demenziale e vuoto è il film. È ancora la Hollywood che non riesce a liberarsi da sé stessa, o meglio, dai cliché che la riguardano. Come quelli che si apprestano a cadere su un burrone a bordo di un’auto senza freni ed anziché trovare un modo per scendere spingono a tavoletta. Ora sale pure in cattedra la parte più conservatrice dell’industria, quella che scimmiotta il testo biblico senza menzionarlo. D’altra parte non è questo il periodo. Finché non tocca a The Rock prendere atto del disastro e, alla domanda «che faremo adesso?», rispondere «ricostruiremo tutto da capo». Speriamo di no.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”1″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”4″ layout=”left”]

San Andreas (USA, 2015) di Brad Peyton. Con Dwayne Johnson, Alexandra Daddario, Art Parkinson, Colton Haynes, Carla Gugino, Hugo Johnstone-Burt, Archie Panjabi, Ioan Gruffudd, Kylie Minogue, Will Yun Lee e Paul Giamatti.