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Backstreet Boys: Show ‘em What You’Re Made Of – Recensione in Anteprima

Nick Carter, Howard Dwaine Dorough, Brian Thomas Littrell, Alexander James McLean e Kevin Scott Richardson al cinema per 2 giorni. Arriva Backstreet Boys: Show ‘em What You’Re Made Of

pubblicato 7 Luglio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 14:29

Sono passati poco più di 20 anni da quando Lou Pearlman, ispirato dal successo dei New Kids on the Block, decise di riunire 5 bei giovanotti bianchi per trasformarli in boyband. Fu così che si ritrovarono Nick Carter, Howard Dwaine Dorough, Brian Thomas Littrell, Alexander James McLean e Kevin Scott Richardson, un tempo poco più che ragazzini e nel giro di pochi anni finiti in vetta alle classifiche di tutto il mondo. Il fenomeno Backstreet Boys esplose esattamente due decenni fa, quando l’omonimo disco d’esordio pubblicato solo fuori dagli Usa vendette qualcosa come 14 milioni di copie. Per circa 9 anni questi 5 ragazzi sconvolsero il Globo, vendendo poco più di 130 milioni di album. Nel 1995 il boom in Europa, nel 1997 il bis americano, nel 2000 l’exploit con il disco Millennium, l’anno dopo il buco nell’acqua targato Black & Blue. Qui qualcosa si ruppe, dopo quasi un decennio passato a mille all’ora. Kevin Scott Richardson, il più grande dei 5, abbandonò la band, i 4 rimasti provarono a far funzionare le cose ma il nuovo che avanza, vedi N’Sync, si portò via tutto. Fama e dollaroni. Poi nel 2012, improvvisamente, la reunion pensata per il ventennale, con Richardson nuovamente all’interno del gruppo. Nuovo disco, nuovo tour internazionale e un documentario, questo Backstreet Boys: Show ‘em What You’Re Made Of, pensato per ‘raccontare’ il passato dei 5 incrociandolo al loro presente che li vede nuovamente sul palco, e all’inevitabile futuro.

Diretto da Stephen Kijak, il docu-concerto in uscita in Italia con Microcinema distribuzione il prossimo 14 e 15 luglio ci riporta nei primi anni ’90, tra vhs sgranati e look improponibili, tra urla isteriche di ragazzine dall’ormone impazzito (le mamme delle ‘directioners’ di oggi) e agenti senza scrupoli che disossarono Nick, Howard, Brian, Aj e Kevin dopo averli ‘plasmati’ e lanciati. Un punto di vista inedito sull’industria musicale di un tempo, che di fatto formava e indirizzava le boyband come meglio credeva. Prodotti commerciali e poco più. Peccato che Kijak non sia riuscito a trovare una strada precisa nel raccontare una storia fatta di successi e cadute, di amicizie e rivalità, di confessioni e resurrezioni. Perché in Show ‘em What You’Re Made Of c’è tanto e al tempo stesso troppo poco. E’ la confusione a regnar sovrana, volendo legare i ricordi passati della boyband alla loro proiezione futura, passando per la realizzazione del disco inedito del 2013 (In a World Like This) con relativo tour. Un documentario che si fa dietro le quinte che si fa concerto, spaziando tra continue degressioni temporali ed evitabili grafiche ‘auto-celebrative’ alla MTV.

Cosa fai quando sei un uomo adulto in una boyband?‘. Questa la domanda da cui i Backstreet Boys sono partiti nel 2012, prima di ritrovarsi dopo anni di lontananza. Nel farlo, e soprattutto nel raccontarlo a Kijak, non sono però riusciti a dare un senso di ‘credibilità’ alle proprie storie, di sincerità, di onestà. Vederli piangere mentre raccontano agli altri compagni aneddoti della propria infanzia, con la telecamera puntata in viso e un ‘copione’ che sembra quasi farsi strada dinanzi a loro, infastidice, più che commuovere. Perché tutto sembra sempre posticcio, artificioso, costruito ad arte. Se con lo splendido Spandau Ballet – Il Film George Hencken aveva letteralmente ‘riaperto’ vecchie ferite storiche tra i componenti della band riportando in auge l’epoca degli anni ’80, Kijak ha qui solo accennato al perché della scomparsa dei Backstreet Boys, più o meno avvenuta nel 2002. L’addio di Kevin e la rehab di A.J., eventi impossibili da tralasciare, per poi fermarsi sul più bello, sull’orlo di un burrone che avebbe forse scoperchiato verità mai raccontate. Se non fosse che a questo, e solo a questo, dovrebbero servire operazioni simili. Tolto Brian, che con coraggio e ovviamente in lacrime confessa di aver perso la propria voce causa disfonia, qui nessuno osa realmente togliersi sassolini dalle scarpe. Tornati nei luoghi d’infanzia di Carter, Richardson, Littrell, McLean e Dorough, il doc prende ovviamente vita dalle origini della boyband, dai mesi passati in un magazzino a provare le coreografie ai tour nelle scuole d’America per farsi conoscere, passando per l’improvvisa ‘Backstreet Boys Mania’ esplosa in Europa (Germania in particolare) tra il 1994 e il 1995 e la celebrità sorta in patria causa Paese sull’orlo della depressione post Guerra del Golfo, fino agli screzi con lo storico agente Lou Pearlman (23 milioni di dollari per liberarsi di lui, poi arrestato nel 2007), successivamente vendicatosi creando gli N’Sync, ovvero coloro che contribuirono al declino dei BSB.

Didascalico nella sua costruzione, altalenante dal punto di vista temporale e mai chiaro nella direzione da voler prendere (oscillando continuamente tra doc storico/celebrativo e dietro le quinte di una reunion), Show ‘em What You’Re Made Of paga dazio anche in termini di originalità, visiva e di scrittura, a causa di una regia piatta e con pochi reali spunti al suo interno. Ciò che traspare nell’osservare le confessioni odierne dei 5 cantanti è una sintonia di facciata, un’amicizia di plastica, una sorta di ‘obbligato’ ritrovo per tornare a far soldi, 15 anni dopo l’ultimo concreto successo discografico. Impressioni che Stephen Kijak, è evidente, mai e poi mai avrebbe voluto trasmettere. Eppure se osservato dall’esterno, ovvero da un punto di vista che si stacca dallo sguardo medio del fan-base (che sicuramente apprezzerà l’operazione), questo è quel che viene a galla con Show ‘em What You’Re Made Of.

[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]

Backstreet Boys: Show ‘em What You’Re Made Of (Doc, Usa, 2014) di Stephen Kijak; con Nick Carter, Kevin Scott Richardson, Brian Littrell, A.J., McLean, Howie Dorough – uscita martedì 14 luglio 2015.