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Southpaw – L’ultima sfida: recensione in anteprima

Il pugilato fa da sfondo alla storia di Billy “The Great” Hope in Southpaw, blanda parabola prima discendente e poi ascendente. Nemmeno un buon Gyllenhaal basta a far emergere l’ultimo lavoro di Antoine Fuqua

pubblicato 28 Agosto 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 13:15

La storia di Billy “The Great” Hope (Jake Gyllenhaal) incarna un po’ il sogno americano: cresciuto in un orfanotrofio, scala la vetta fino a diventare campione indiscusso dei pesi massimi leggeri. Un pugile abituato ad incassare, zero difesa, eppure, pur conciato male, sempre l’unico a restare in piedi. Da dove attinge tanta forza? Non soltanto dalla “strada”, da quel passato in bilico da cui è stato tratto in salvo proprio grazie alla boxe; no, è anzitutto la moglie Maureen (Rachel McAdams) che è musa e ispiratrice. O per essere meno poetici, è colei che pensa a tutto ciò che c’è fuori da quel ring.

Succede che un giorno, dopo l’ennesima provocazione di Escobar (Miguel Gomez), altro pugile che intende sfidare Hope, in una colluttazione Maureen perde la vita a causa di uno sparo diretto accidentalmente a lei. È la fine. L’unico colpo davvero da KO, quello da cui Billy non riesce più a rialzarsi. Ma per certo stile di vita le spese non sono mai abbastanza, perciò s’ha da combattere ugualmente: solo che Billy “Il grande” non reagisce, infliggendosi una punizione dietro l’altra. Per ultima, la peggiore: farsi sottrarre la custodia della figlia Leila.

Southpaw è sostanzialmente la parabola discendente di questo pugile in disgrazia. Dalle stelle alle stalle e ritorno, verrebbe da dire. In apertura abbiamo descritto la sua storia come incarnante il sogno americano; ebbene, ciò che vale per il suo protagonista non vale per il film. Ad oggi solo uno è riuscito davvero ad alludere al buon vecchio “american dream” passando per la nobile arte, ossia Rocky, col primo della saga. Che, a scanso di equivoci, è ben diverso dal dire che là fuori non ci siano bei film, o addirittura grandi film, a tema: da Toro Scatenato a Million Dollar Baby, passando per The Boxer e Ali. Tutte opere più che dignitose, in certi casi filmoni, che però si sono confrontati con tematiche diverse, boxe a parte. Cinderella Man di Ron Howard è probabilmente uno di quelli che c’è andato molto vicino, solo che anche lì ci pare si optasse per altro.

Quell’“altro” che è in fondo il leitmotiv anche dell’ultimo film di Antoine Fuqua; per James Braddock/Russell Crowe era il latte («combatto per il latte», dice in una conferenza), che è un modo meno diretto per dire che i guantoni tornava ad indossarli per la propria famiglia. Billy fa lo stesso; può anche aver perso ogni interesse per sé stesso, ma c’è una bambina da crescere, che ha disperatamente bisogno del padre ora che non c’è più la madre. Situazione che è di per sé un cliché, uno di quelli che non lasciano quasi mai indifferenti, certo, ma pur sempre ripetuto. E non che Southpaw annoi, perché la storia la si segue, pur sapendo che dal punto A si arriverà al punto B entro la fine del film. Resta allora da lavorare sul percorso, ed è proprio lì che manca qualcosa.

Fuqua si limita al cosiddetto “compitino”, espressione che non ci gratifica granché ma che risulta ahimè efficace. A dispetto di un Gyllenhaal notevole, che tiene botta per l’intero film con il volto quasi sempre tumefatto, Southpaw non riesce ad essere all’altezza del suo protagonista. Sin troppo schematico, malgrado due ore non siano poche, a Fuqua non riesce di andare oltre l’applicare una formula senza alcun guizzo; tanto che alla fine di Southpaw non si può dire che ciò che racconta sia debole, bensì che il modo di raccontarla sia privo di mordente.

È il rischio che si corre pressoché sempre in casi analoghi, quando ci si rifà a contesti anche troppo familiari, per di più adottando dinamiche abusate: che in mancanza di un’idea chiara, potente, si possa dar vita a qualcosa di sostanzialmente piatto. Non del privo di vita, intendiamoci, ma senza quel cuore che alla fine ti fa ammettere che sì, ciò che hai appena visto era “necessario”, fosse anche per ampliare di poco la tua consapevolezza in merito ad un argomento, a dei personaggi, a delle storie che magari credevi di conoscere. Ed invece niente, si resta tiepidi, così come quando si sono spente le luci in sala. Non puoi definire un film come Southpaw una perdita di tempo (sic), o peggio, un brutto prodotto (arisic), ma non ti sarà rimasto abbastanza appiccicato per portarlo con te fino al giorno dopo.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”6″ layout=”left”]

Southpaw – L’ultima sfida (Southpaw, USA, 2015) di Antoine Fuqua. Con Jake Gyllenhaal, Forest Whitaker, Naomie Harris, 50 Cent, Oona Laurence, Rachel McAdams, Skylan Brooks, Beau Knapp, Victor Ortiz, Rita Ora e Miguel Gomez. Nelle nostre sale da mercoledì 2 settembre.