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Venezia 2015, venerdì 11 settembre: Behemoth da Leone d’Oro, chiude Gaudino – è il giorno di Vasco e Go With Me

Il ‘dantesco’ Liang Zhao si è abbattuto sul Concorso a pochi metri dall’arrivo. Leone d’Oro per Behemoth?

pubblicato 11 Settembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 13:10

di Federico Boni

Penultima giornata di Festival al Lido di Venezia con altri due film in Concorso presentati alla stampa. Il primo di questi, Remember di Egoyan, ha raccolto tiepidi applausi da parte della critica. Mattatore assoluto uno splendido Christopher Plummer, da subito diventato tra i favoriti per la Coppa Volpi, affiancato da Martin Landau, Dean Norris, Bruno Ganz, Jürgen Prochnow ed Heinz Lieven. Un film sulla memoria, storica e non solo, e sui sopravvissuti, sia vittime che carnefici. La pellicola racconta la storia di Zev, anziano rimasto vedovo nonchè smemorato causa demenza senile che parte alla ricerca della guardia nazista che sterminò la sua famiglia nei campi di sterminio. L’obiettivo? Ucciderlo. Prende così vita un lungo viaggio attraverso l’America tra ricordi passati e sconcertanti verità che lentamente vengono a galla. Tolto Plummer e un finale ‘shock’ a cui Egoyan si aggrappa con le unghie e con i denti, rimane poco o niente.

Applausi sentiti, invece, per La Calle de la Amargura del maestro messicano Arturo Ripstein, titolo presentato fuori Concorso che cavalca il grottesco iperrealista mettendo in scena disperazione e orrore, dolcezza e dolore. Tra le vie sudice di un quartiere malfamato si incrociano le esistenze di diversi ‘freaks’ contemporanei, tra anziane prostitute, papponi innamorati del travestitismo, figlie ingrate, madri da far elemosinare, genitori sfruttatori e nani luchadores. Mostri neorealisti dal terribile passato e dal presente segnato. Un Universo di orrori, disprezzo e abbandono quello dipinto con tragicomico tocco da Ripstein, sceso in strada al fianco dei propri protagonisti per dar vita ad uno spaccato di desolazione e malinconia.

Pomeriggio in Orizzonti al fianco di Vincenzo Marra con La Prima Luce, film interpretato da Riccardo Scamarcio. Un titolo sui figli contesi, tema sempre più attuale in questo mondo globalizzato che vede i matrimoni crollare rapidamente, e sulle difficoltà riscontrate in particolar modo dai padri nel riuscire ad averla ‘vinta’ nei confronti delle madri. Marra, qui anche autore del soggetto e co-sceneggiatore, ha scandagliato la realtà per dar vita a quest’opera dannatamente imperfetta, in cui a non funzionare pienamente sono la coppia-scoppiata Scamarcio-Ramirez (vedi ‘motivazioni’ della rottura) e a seguire il poco credibile impianto giudiziario che tramuterà la seconda parte del film in una sorta di Forum cileno.

Prima serata con il penultimo film in Concorso, infine, ovvero Behemoth del cinese Liang Zhao. Un’opera ispirata a Dante con Inferno, Paradiso e Purgatorio in Terra, tra esplosioni, pale, camion e lavoratori che giorno dopo giorno portano avanti sfiancanti attività minerarie, cancellando di fatto i verdi pascoli della Mongolia. Decenni passati a respirare polvere di carbone, giorno dopo giorno, tanto da condurli alla più ingiustificabile delle morti. Dall’inferno delle cave al purgatorio di una vita che non andrà incontro a nessun Paradiso. Un trionfo di dolorose ed affascinanti immagini, quelle realizzate da Zhao, per un’opera completamente priva di dialoghi e interamente affidatasi ai suoni della natura e di quelle mostruose macchine che stanno contribuendo alla sua distruzione. Una meditazione critica sulla civiltà moderna, quella dipinta dal regista, che continua ad accumulare ricchezza mentre l’uomo perisce. Attenzione a Behemoth in ambito Leone d’Oro.

Ultimissimo giornata di proiezioni prima dell’assegnazione dei premi, quella di oggi, con il nostro Giuseppe Gaudino incaricato di chiudere il Concorso con Per amor Vostro, 4° ed ultimo titolo italiano in gara. A seguire occhio a Go With Me di Daniel Alfredson, fuori Concorso e con protagonisti Anthony Hopkins, Julia Stiles, Ray Liotta e Alexander Ludwig. Prima serata con Lao Pao Er di Hu Guan, film di chiusura fuori Concorso, mentre Rossi farà tremare il Lido grazie al Decalogo di Vasco, doc di un’ora diretto da Fabio Masi. Il tutto con incontro pubblico e gratuito che vedrà il rocker ‘condotto’ sul palco da Vincenzo Mollica. In chiusura, per non farci mancare niente, butteremo un occhio anche su Afternoon, titolo fuori Concorso di Tsai Ming-liang. Poi domani, come detto, gran finale con serata di premiazione da seguire in diretta su Cineblog. In attesa dei nostri pronostici!

[accordion content=”deludono Skolimowski e la Anderson – è il giorno di Egoyan e Moshuo” title=”Venezia 2015, giovedì 10 settembre”]

di Federico Boni

Giornata molto attesa al Lido di Venezia, quella di ieri, grazie all’arrivo del vero favorito della vigilia: Jerzy Skolimowski con 11 Minutes, titolo che ha diviso la critica suscitando dubbi e generalmente poco entusiasmo. Di ritorno alla Mostra 5 anni dopo il Gran Premio e la Coppa Volpi a Vincent Gallo vinti con Essential Killing, il 77enne regista polacco si è in questo caso concesso una sorta di ‘gioco’ alla Final Destination in cui incrociare 10 esistenze, tra vite ed amori che si confondono, in un fiume di punti di vista che ‘osservano’ gli 11 minuti del titolo nel cuore di una caotica metropoli. Registicamente impeccabile, il film ha il difetto di trascinare lo spettatore verso un finale tanto esplosivo quanto povero di contenuti, limitandosi di fatto ad una ricca e ineccepibile riuscita estetica. Troppo poco, probabilmente, avendo seminato improbabili tracce ‘mistiche/aliene’ nel proprio adrenalinico percorso.

Altro titolo particolarmente atteso Heart of a Dog, ritorno al cinema dopo 30 anni di Laurie Anderson. Più che un film una videoinstallazione, quella dell’artista avanguardista, involontariamente finita nella Biennale sbagliata. Un racconto di ‘storie’ che va ad esplorare temi universali come la morte, l’amore, il linguaggio, un fiume di ricordi lasciati scorrere senza freni con la voce della stessa Anderson in modalità narratrice. Tracce di memoria legate all’infanzia dell’artista, alla morte dell’amata madre, al decesso dell’adorato cagnolino Lolabelle, alla New York pre e post 11 settembre, tra filmati in 8mm e immagini, frasi, grafiche e disegni, sviscerando concetti tanto filosofici quanto politici. Non a caso prodotto dal network franco-tedesco Arte, l’esistenzialista Heart of a Dog è uno di quei titoli che solitamente dividono non solo il pubblico ma anche la critica, tra chi apprezza queste ‘incursioni’ di sfacciata arte visiva all’interno della Mostra Cinematografica di Venezia (è in corsa per il Leone d’Oro…) e chi le osserva con infastidito distacco, chiedendosi se questo sia effettivamente ‘Cinema’. Chi scrive, nel caso in cui non l’abbiate capito, rientra in questa seconda categoria.

Pomeriggio poco incisivo con Tempete, titolo francese incentrato su un marinaio ‘costretto’ ad abbandonare l’amato mare aperto per stare con i figli adolescenti, contesi dalla madre. La primogenita Mailys, infatti, è rimasta incinta, tanto da portare Dom a fare una scelta. Famiglia o lavoro? Nulla di nuovo sotto il sole in casa Samuel Collardey, per un titolo dalla confezione pulita e quadrata ma anche particolarmente banale, per non dire già vista. Un riempitivo in Orizzonti. Prima serata con Concorso, invece, grazie a Desde Allà, film venezuelano a tinte queer. Titolo si riferisce a quella ‘lontananza’ che porta il protagonista Armando, anziano boghese dai modi algidi ma gentili, a guardare ma ‘non toccare’ ciò che più lo attrae, vedi giovani da pagare profumatamente per arrivare all’orgasmo. Guardanoli nudi, di spalle. E nient’altro. Tutto cambia quando Armando incontra Elder, affascinante delinquentello di strada che inizialmente lo rapina dopo averlo picchiato in casa sua. Un ‘rifiuto’ che paradossalmente ‘attrae’ l’uomo a tal punto da farlo riavvicinare al ragazzo, diventato nel frattempo un’autentica ossessione. Il rapporto tra i due, inizialmente di puro interesse per Elder, si fa però sempre più intenso a causa di due passati ugualmente tormentati. Padri e figli passati e presenti che si incontrano, tra sessualità mai del tutto accettate, rancore, orgoglio e sentimenti. Splendidi protagonisti per Lorenzo Vigas, ovvero il gigantesco Alfredo Castro e il giovane ma convincente Luis Silva, per una pellicola dal malinconico finale e dall’evoluzione tanto ‘classica’ quanto incisiva. Chiusura di giornata, infine, con lo spagnolo El Desconocido, action-thriller alla Speed ambientato in una cupa Madrid. Protagonista un direttore di banca che un mattino, mentre accompagna i figli a scuola, si ritrova con una bomba sotto il sedile. Nessuno dei passeggeri può abbandonare l’auto, pena l’esplosione. Ma chi ha piazzato l’ordigno sotto il macchinone dell’uomo, e soprattutto cosa vuole da lui? Adrenalinico al punto giusto, il film di Dani de la Torre si perde malamente nella parte conclusiva, a causa di una serie di ridicoli eventi che mostreranno gli agenti incaricati di risolvere la complessa questione in un branco di imbecilli. Evitabile anche la tutt’altro che velata critica al mondo bancario, dipinto come un mostro a tre teste assetato di sangue umano.

Tra gli ultimi colpi in canna da Leone d’Oro in arrivo oggi, invece, occhio a Remember di Atom Egoyan e a Beixi Moshuo di Liang Zhao, mentre fuori Concorso spicca la presenza dello spagnolo La Calle de la Amargura, titolo diretto da Arturo Ripstein. Nella sezione Giornate degli Autori, infine, spazio a La prima Luce di Vincenzo Marra, con Salò e le 120 giornate di Sodoma di Pierpaolo Pasolini immancabile classico restaurato da recuperare.

[accordion content=” Anomalisa è un gioiello, Bellocchio apprezzabile – Anderson e Skolimowski in giornata” title=”Venezia 2015, mercoledì 9 settembre”]

di Antonio Maria Abate

Trattasi della giornata, quella di ieri, la più scarna che abbiamo trascorso fino ad ora. Solo tre film, vuoi per un calendario che, come al solito, concentra troppo in determinati giorni e troppo poco in altri, vuoi perché avevamo qualcosa da recuperare in termini di lavoro. Tuttavia tre film non si buttano via, specie quando due di questi sono in Concorso ed uno è Anomalisa.

Attesissimo lo stop-motion d’animazione di Charlie Kaufman, che per chi scrive è il migliore visto in Concorso fino ad oggi. Dubito nel Leone d’Oro, ma un Premio della Giuria non penso sia assurdo pensare possa scapparci. È il Kaufman di sempre, quello kafkiano, rintanato nella ripetizione coatta quale schema esistenziale. Però quanto amore nel consegnarci un film sentito, contraddistinto da una tecnica notevole, roba che non si trova così facilmente in circolazione. Alcuni hanno storto il naso, sostenendo che Anomalisa, a conti fatti, non vada da nessuna parte. Minchia! Basterebbero anche solo due scene per incenerire certe considerazioni: la prima è Lisa che canta a cappella Girls Just Want to Have Fun, sia in inglese che in un improbabile italiano. La seconda è tutta l’intera scena di sesso, dai preliminari alla sigaretta, credibile e d’effetto come non lo sono nemmeno certe “reali” in altri film. D’altronde si vede che Kaufman stia ancora prendendo le misure nella veste di regista; a dispetto della scelta tecnica, è una regia molto più sobria questa rispetto a quella del suo esordio con Synecdoche, New York. Ed ora non si può fare a meno di aspettare il terzo, fermo restando che Anomalisa stia in piedi benissimo a prescindere. Qui c’è una recensione in cui si tenta di spiegarvi il perché.

Ma ieri è stato anche il giorno di Marco Bellocchio, con Sangue del mio sangue. Altro film talmente facile da stroncare che invece lo salvo. Non per puro spirito da bastian contrario, ma perché non riesco a restare indifferente dinanzi ad regista con quarant’anni di carriera alle spalle che prova, se non a reinventarsi, quantomeno ad uscire da una certa confort zone. Questo suo ultimo lavoro è imperfetto, sbilanciato a priori per via delle due storie stipate in un solo film… tutto quello che si vuole. Ma questo amore così viscerale per le proprie origini mi è caro, e quando il maestro fa dire ad uno dei suoi personaggi che «Bobbio è il mondo» si ha pure un sussulto. Certo, tolte gli ottimi brani di repertorio (da brivido la cover di Nothing Else Matters), insopportabili sono certi motivetti tesi ad enfatizzare dei momenti più leggeri. Lasciano perplessi due bravi attori come Timi e la Rohrwacher, il primo un finto pazzo, la seconda una vergine allupata. Ma si tratta di note personali, che non incidono sulla libertà di un film per cui ci si prende dei rischi e che non ha bisogno di difese per essere tenuto quantomeno in considerazione. Poi, è chiaro, a dire che un film è brutto per x motivi ci si mette sempre poco. Da questa parte, invece, si preferisce guardare a quelle opere al cui cuore giace qualcosa, una fiamma che magari è scintilla e non incendio, ma va bene così. A chiudere questo martedì ci ha pensato invece De Palma, il documentario di Noah Baumbach sul regista americano di origini italiane. In questo caso di rimandiamo alla recensione senza passare dal via.

Attenzione alla giornata di oggi. Quattro film, di cui tre in Concorso e tre tra i miei più attesi tra quelli presenti alla Mostra. Tutto in solo giorno. Si parte con 11 Minutes di Jerzy Skolimowski alle 9.30. Due ore dopo esatte è il turno di Heart of a Dog di Laurie Anderson. Nel pomeriggio From Afar di Lorenzo Vigas. Questo per quanto concerne il Concorso. In serata ci ritaglieremo uno spazio per Franco Maresco, Fuori Concorso col suo Gli uomini di questa città non li conosco. Vita e teatro di Franco Scaldati.

Sappiate inoltre che, come avrete modo voi stessi di vedere, sono online gli episodi mancanti del nostro videodiario, compreso l’ultimo. Così, magari ne avete sentito la mancanza.

[accordion content=” Gitai ed Alper rompono gli equilibri – oggi Bellocchio, Kaufman e Baumbach” title=”Venezia 2015, martedì 8 settembre”]

di Antonio Maria Abate

Siamo al giro di boa, con il primo fine settimana oramai alle spalle. Giornata intesa quella di oggi, che al di là del numero dei film ci ha messo alla prova per altro. Film impegnativi oggi, sebbene la giornata sia cominciata con Non essere cattivo, titolo postumo a pochi mesi dalla morte di Claudio Caligari. Tema per lo più archiviato, quello della droga e dei giovani che la consumano; ma il progetto risale a metà anni ’90, quando l’accesso agli stupefacenti era divenuta oramai alla portata di tanti. Caligari mantiene perciò quell’ambientazione lì, ossia la Ostia del ’95. Non il solito dramma, sebbene le dinamiche non si discostino più di tanto. A bilanciare il tutto ci sono ottime prove d’attori, non solo l’ottima coppia formata da Luca Marinelli ed Alessandro Borghi, ma anche da parte delle due donne, Silvia D’Amico e Roberta Mattei.

È stato però Rabin, The Last Day a farci iniziare la salita. Ricostruzione dell’attentato al primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, quest’ultimo lavoro di Amos Gitai pretende attenzione nonché interesse verso non solo la vicenda ma forse l’intera questione, che è quella del Medio Oriente. Abbiamo tra l’altro una recensione, alla quale prontamente vi rimandiamo.

Nel pomeriggio ci siamo divisi fra tre film. Wednesday, May 9 di Vahid Jalilvand tiene alta la bandiera di un Iran che anche l’anno scorso aveva ben figurato grazie a Melbourne. L’impressione è che da quelle parti abbiano davvero qualcosa da dire, e sanno pure come scriverla. Un film prezioso per tematica ma anche per costruzione; quando gli iraniani evocano certi limiti, certi problemi dell’ambiente in cui vivono, non avverti mai rabbia, dolore, ma nemmeno rassegnazione, connivenza. La loro è una posizione di partenza che denota un’onestà intellettuale rara, con in più la capacità di riuscire a trattare pressoché ogni fattispecie con acume e rispetto. Wednesday, May 9 chiaramente, a suo modo, denuncia uno stato di cose in Iran; ma non si pensi a rivoluzioni, sconfessioni e quant’altro: la prima frase che si legge a schermo nero è un ringraziamento ad «Allah il Misericordioso». Non si tratta di una piazzata, buttata lì per convenienza; specie dopo aver visto il film puoi credere che chi ci ha lavorato non intende abiurare alcunché. Solo, ci si chiede, come una società di questo tipo possa affrontare una contemporaneità che quasi dovunque oramai ha messo in soffitta certe abitudini.

Dopo è stato il turno di Frenzy, film turco in Concorso. Ebbene, c’è una differenza sostanziale tra quei film che non capisci, di cui non cogli quasi nulla perché semplicemente non ha nulla da dire e lo dicono in modo confuso per coprire questa mancanza, e tra i film di cui invece sì non riesci ad intercettare ogni cosa (o anche solo poche cose) ma di cui avverti la forza. Frenzy rientra in questa seconda categoria; un viaggio attraverso la follia di un uomo con un piede nelle sue allucinazioni ed un altro nella quotidianità. Film che si svolge interamente in un via, perciò nel giro di pochi metri. Eppure è pieno d’idee, ispirato, con un lavoro sul sonoro da far venire i brividi. Non so cosa ma finirà a premi. Se proprio dovessi scommettere, direi Regia o Gran Premio.

La mia giornata si è chiusa con Interruption in Orizzonti, film greco rigorosissimo, altra sfida per gli spettatori che, non a caso, hanno abbandonato la sala anzitempo. È un po’ la risposta greca a Birdman, che però incontra Funny Games. In un teatro si sta tenendo la rappresentazione di una Tragedia; improvvisamente irrompe sul palco un gruppo di ragazzi che, in un clima surreale, prende in mano la situazione e continua a gestire lo spettacolo a modo proprio. Al di là del mai tramontato discorso relativo a finzione e realtà, dentro e fuori il palcoscenico, c’è molto anche sul Mito (cosa sarebbe l’uomo senza il Mito?), e volendo pure sull’attualità. Non è un caso che la new wave greca si distingua per i suoi toni macabri, cupi, anche laddove tenti la strada della commedia, che è sempre e comunque nera.

Oggi i film da me più attesi sono senz’altro due. In primis Anomalisa, film d’animazione in stop-motion da cui ci si aspetta davvero tanto. Poi De Palma, documentario di Noah Baumbach sul celebre cineasta italo-americano. Ovviamente siamo pure curiosi sull’ultimo film di Bellocchio, Sangue del mio Sangue, che a conti fatti apre le danze. Per chiudere v’informiamo che il videodiario tornerà a breve. Seppur offline per ora, i video già ci sono tutti.

[accordion content=” fischi per Guadagnino e Hermanus, convince El Clan – è il giorno del Caligari postumo” title=”Venezia 2015, lunedì 7 settembre”]

di Federico Boni

Weekend impegnativo, quello appena vissuto al Lido di Venezia, con 10 pellicole viste nell’arco di 48 ore. Ai sei titoli di sabato se ne sono infatti aggiunti altri 4 la domenica, tra fischi, applausi, risate e sconcerto. Tutto ha avuto inizio alle 9 del mattino con l’attesa e ‘temuta’ proiezione stampa di A Bigger Splash, ritorno alla Mostra di Luca Guadagnino 5 anni dopo la rumorosa accoglienza ottenuta da Io sono l’Amore. Peccato che anche in questo caso, per il regista di Melissa P., siano piovute una grandinata di critiche al vetriolo. La sua ‘opera rock’, remake di un film francese di fine anni ’60, ha infatti lasciato interdetti nella sua indifendibile evoluzione, tra migranti ad orologeria, tirati rapporti di coppia e ridicole forze dell’ordine. Partito sorprendentemente, il 4° film di Guadagnino si è presto perso per strada, lasciando dietro di se’ tante perplessità e ululati di scherno. Vedremo se la stampa estera, come avvenne nel 2010 con I Am Love, ribalterà l’opinione critica tricolore.

Tutt’altra accoglienza è stata invece riservata a El Clan, titolo argentino diretto da Pabrlo Trapero e in corsa per il Leone d’Oro. Tratto da un’incredibile storia vera, il film di Trapero ha raccontato i fatti avvenuti nei primi anni ’80 in una tipica villetta famigliare nel caratteristico quartiere di San Isidro. Qui, lontano da occhi indiscreti, un’apparentemente tranquilla famiglia composta da padre, madre e 5 figli portò a termini rapimenti milionari ed efferati omicidi. La famiglia Puccio. Trascinato da uno strepitoso, inquietante e diabolico Guillermo Francella, immediatamente diventato il favorito per la Coppa Volpi insieme al Fabrice Luchini de l’Ermellino, El Clan è un trionfo di suspense e verità storica, dipingendo con coraggio gli ultimi anni della dittatura argentina, poco prima del ritorno alla democrazia.

Pomeriggio di risate e secchiate di scorretta genialità, invece, grazie a Pecore in Erba di Alberto Caviglia, mockumentary pensato e realizzato per rimarcare l’assurdità e la follia dell’antisemitismo attraverso il paradosso dell’antisemifobia, vedi il disprezzo nei confronti di chi vuole semplicemente ‘odiare’. Ridicolizzando l’ipocrisia e il pregiudizio nei confronti del tema, il regista ha giocato con la Storia e la cultura pop, affidandosi a volti celebri dello star system nazionale per dare ancor più credibilità a questa sua realtà ‘reinventata’ di sana pianta. Chiusura con grandinata di fischi, infine, per il sudafricano The Endless River, melò che si tramuta in thriller tra silenzi, verità taciute e improbabili svolte di scrittura. Il perché sia in Concorso, e in gara per il Leone d’Oro, rimane il vero punto interrogativo di giornata.

Inizio settimana assai ricco, quello in arrivo oggi, grazie all’attesissimo Non essere Cattivo, film postumo di Claudio Caligari, e di Robin, the Last Day, nuova fatica di Amos Gitai. Pomeriggio con Madame courage di Allouache, poi, per passare a Frenzy di Alper in prima serata. Non perdeteci di vista.

[accordion content=” Spazio alle donne, Binoche e Vikander a contendersi la Coppa Volpi – bene anche lo spassoso Fabrice Luchini” title=”Venezia 2015, domenica 6 settembre”]

di Antonio Maria Abate

In una giornata dal meteo schizofrenico (freddo/caldo/gelo), noi l’abbiamo in parte fatta franca rimanendo in sala. La giornata di ieri si è aperta con un film che in tanti attendevano con ansia, anche perché da qui potevano essere diramati i primi indizi in vista degli Oscar. Quali che fossero le aspettative generali, chi scrive trova The Danish Girl semplicemente un film di Tom Hooper. Basta questo. Un lavoro che non presenta nemmeno una sbavatura, fiero come il compagno di classe perfettino che ha finanche l’orlo delle maniche impeccabile. Già sento gli strali: «questi critici non sono mai contenti». No, il punto è che andava controbilanciata la tematica, nonostante tutto delicata; perciò si opta per incipriare una storia che invece immaginiamo più “sporca” di così. Ma la notizia è Alicia Vikander, già sulla cresta dell’onda, ma che, dopo la sua Gerda, si ritroverà con la casella di posta intasata per un po’. Gerda è la vera danish girl, non, banalmente, perché donna, ma perché alla fine della fiera i momenti più toccanti, forti, riguardano lei e non Lili.

E se de L’attesa di Piero Messina ho già trattato in sede di recensione, ciò che non vi ho ancora detto è quanto mi ha colpito The Childhood of a Leader, anch’esso opera prima, di Brady Corbet. Inquietante, con una fotografia sontuosa, ma soprattutto centrata (il film è girato in 35mm). Corbet, va detto, si mostra un po’ presuntuosetto, ma ciò non toglie che il suo esordio è di quelli che si ricorderanno. Davanti a noi abbiamo un ragazzo, classe ’88, che pur scimmiottando autori affermati (su tutti PTA), riesce a girare, e bene, un film politico per nulla scontato. L’infanzia travagliata di questo futuro dittatore, cresciuto in uno dei periodi più tristi della storia europea e mondiale, quello in cui, tra gli altri, venne concluso il Trattato di Versailles. Un’idea audace, il cui sforzo viene ripagato da un film che evoca molti più argomenti di quello che sembra, oltre che fantasmi con cui non vorremmo mai più avere a che fare. Ma, ehi… l’uomo del primo novecento non è poi tanto diverso da quello di oggi.

Terzo ed ultimo film in Concorso della giornata, il gradevole L’hermine, con un esilarane Fabrice Luchini, altro serio candidato alla Coppa Volpi. Un giudice, presidente di una Corte d’Assise, si divide tra l’ennesimo processo ed il corteggiamento di un’avvenente medico. Un po’ romance, un po’ courtroom, L’hermine tiene botta fino alla fine, attraversato da una semplicità che riscalda. Luchini fa ridere con un gesto o un’ordinaria risposta, mentre la vicenda diventa anche passerella per alcuni ‘tipi’ della Francia odierna. Pure toccante, per certi versi tenero. Se Marguerite ci è piaciuto, quest’altro francese se la gioca tranquillamente.

Che dire invece della proiezione di mezzanotte? Roba che non si vedeva da anni a Venezia, tanto che forse non ho fatto neanche in tempo a conservarne il ricordo. La Mostra ha infatti omaggiato Wes Craven con la proiezione di Nightmare. Un tuffo nel passato totale, con tanto di coppiette appartate a fare le cose sconce nei punti meno affollati della Sala Darsena.

Oggi tocca a Guadagnino, che apre le danze di una giornata oltremodo densa: nel mio programma personale conto sei film. Oltre ad A Bigger Splash, c’è El Clan di Pablo Trapero, Janis (che Federico ha visto e a breve arriverà la recensione), Man Down di Dito Montiel, The Endless River di Oliver Hermanus e, se ce la facciamo, ci scappa pure Amarcord restaurato. Vi farò sapere.

[accordion content=”delude Equals, mentre si parla di Coppa Volpi per Marguerite – oggi è il giorno di The Danish Girl” title=”Venezia 2015, sabato 5 settembre”]

di Antonio Maria Abate

Altro giro, altra corsa. La giornata di ieri ha avuto inizio con una piacevole sorpresa. Marguerite, il film di Xavier Giannoli piace. Il che è una doppia buona notizia, sia per la cosa in sé, sia perché i francesi in Concorso quest’anno avevano bisogno di partire bene, dopo un’annata generalmente modesta la scorsa edizione, eccezion fatta per il delizioso Le dernier coup de marteau (peraltro premiato con il Mastroianni).

Marguerite Dumont (una Catherine Frot per cui si è già paventato una Coppa Volpi) è una ricca signora dell’alta borghesia parigina. La musica per lei è tutto, ed il canto, più che un sogno, è una passione che coltiva assiduamente. Peccato che i risultati siano tremendi: stonata come una campana, grazie al suo fidato maggiordomo personale riesce a vivere in questa finta bolla che la protegge, non consentendole di capire quanto sia negata. Un po’ per i suoi soldi, un po’ per una serie di escamotage, Marguerite è convinta di essere una cantante. Ma in realtà il film di Giannoli muove dalla love story, quella per nulla scabrosa o “interessante” di una moglie per il proprio marito. Con tutto un discorso sulla mediocrità che a tratti è struggente, sebbene Marguerite sia percorso da un costante filo d’ironia. E alla fine si ride e si piange quasi in egual misura.

La giornata prosegue con Black Mass, atteso ritorno da protagonista per Johnny Depp. Ebbene, se per quest’ultimo non si registrano particolari novità, dal film di Scott Cooper si trae qualche segnale interessante. Intanto l’ulteriore conferma che ad Hollywood siano tornati in voga gli anni ’70, quelli di un cinema più pulito, meno spettacolare ma fabbricato con criterio. Monito implicitamente lanciato già da Everest e Spotlight, s’intende, a cui Black Mass si accoda. E sebbene continui a preferire il tono e l’andamento del film di McCarthy, mi convince un pizzico di più il film con Depp, che eppure non eccelle e non a tutti terrà incollati forse. Con me ha funzionato però, Scorsese o non Scorsese.

Nel pomeriggio spazio all’israeliano Mountain, lavoro molto schematico ma con un finale devastante. Una donna devota, di religione ebraica, abita col marito e quattro figli accanto a un cimitero presso il Monte degli Ulivi, in Gerusalemme. Per caso scopre che la notte quell’area è frequentata da alcune prostitute che si danno sopra le bare. Comincia per la donna un percorso interiore intricato: da un lato la curiosità ed il prurito sessuale, dall’altro non solo la sua fede ma anche un marito che la trascura. La bella e giovane regista israeliana, Yaelle Kayam, accumula come una formichina per più di un’ora, spiegando poco, cercando di convincerci del profondo disagio vissuto dalla sua protagonista. Disagio che muta in frustrazione, fino a quel finale che lascia con un dubbio tremendo.

Di Equals ho scritto una recensione giusto qualche minuto fa, perciò non vedo cos’altro potrei aggiungere. The Event di Sergei Loznitsa è un breve documentario sul travagliato passaggio dall’Unione Sovietica alla Federazione Russa. Le ore dello scioglimento del Partito Comunista vissute per le strade dell’allora Leningrado. Un documento senza dubbio affascinante di quelle ore decisive non solo per i russi ma per il mondo intero.

Ricordandovi, qualora non aveste ancora preso l’abitudine, il nostro videodiario in apertura, ci congediamo con una rapida scorsa dei film che ci aspettano in giornata, che sono The Danish Girl, L’attesa (primo italiano in Concorso), The Childhood of a Leader e L’hermine. Appuntamento a domani.

[accordion content=”applausi per Spotlight e Francofonia – è il giorno di Johnny Depp” title=”Venezia 2015, venerdì 4 settembre”]

di Federico Boni

Seconda giornata di Festival al Lido di Venezia e primi sentiti applausi per due film mostrati nel corso delle 12 ore di proiezioni. Pronti, via e alle 9 del mattino tutti in sala Darsena per ammirare il secondo film in Concorso, Looking for Grace, diretto dall’australiana Sue Brooks. Un’opera a piu facce perché in grado di spaziare tra i generi, saltando dal road movie al dramma passando per la commedia dal taglio dannatamente sarcastico. Un prodotto godibile nel suo complesso ma tendenzialmente inutile. Quasi un riempitivo da Concorso.

Sezione dove non abbiamo trovato l’applauditissimo Spotlight di Thomas McCarthy. Ed è’ un peccato, perche nella corsa ai premi questo solidissimo ‘resoconto’ giornalistico su quanto avvenne in quel di Boston nei primi anni 2000, quando il Boston Globe scoperchio’ lo scandalo dei preti pedofili insabbiati dal Vaticano, avrebbe meritato altro spazio. Se ad Antonio non ha convinto, Spotlight ha invece conquistato il sottoscritto, grazie ad un’incalzante sceneggiàtura che letteralmente prende a pugni lo spettatore, mostrando lui le tante e complicate tappe che i giornalisti del Globe dovettero superare per completare l’inchiesta. Fermo agli inattaccabili ‘fatti’, McCarthy fa puro e semplice cinema d’inchiesta, impreziosito da un corale cast in stato di grazia. Digeriti i tanti applausi dedicati a Spotlight, nel pomeriggio si è’ cambiato decisamente tono con una commedia che definire ‘leggera’ e’ dire poco. Lolo di Julie Delpy, scivolata su un prodotto per lei inaspettatamente commerciale, tanto da recitare al fianco di Dany Boon, star della commedia transalpina. Gag poco incisive e sceneggiàtura stranamente poco frizzante per la regista francese, particolarmente piatta nello sviscerare un inedito ‘menage-a-trois’ tra il figlio ventenne da lei ossessionato e il suo nuovo fidanzato, ovvero un dolce buzzurro di campagna.

Folla delle grandi occasioni, invece, per Francofonia di Alexander Sokurov, 4 anni fa Leone d’Oro con Faust. Peccato che il regista russo abbia in questo caso ‘osato’ un po’ troppo nel tornare in Concorso al Lido, presentando un documentario di finzione sul rapporto tra la Seconda Guerra Mondiale e l’arte, soffermandosi in particolare modo sul Louvre e sulle bellezze architettoniche di Francia. Un progetto da Mostra ‘d’Arte cinematografica’, non a caso, pronto a finire nella programmazione di Sky Arte Hd, ma con tutti i suoi limiti di fruizione del caso. ‘Non vi siete ancora stancati di sentirmi pàrlare? Tranquilli, manca poco alla fine‘, annuncia ironicamente il regista allo sfiancato spettatore dopo oltre un’ora di immagini di repertorio-misto-finzione, perché neanche a dirlo consapevole della difficoltà di ‘digestione’ di un simile prodotto.

Giornata molto ricca quella in arrivo. Sul red carpet di Venezia scocchera infatti l’ora di Johnny Depp e di Black Mass, per poi lasciàr spazio al francese Marguerite, in Concorso, a In Jackson Heights, doc di oltre 3 ore di Wiseman, ad Equals di Drake Doremus e al russo The Event.

[accordion content=”Everest non scalda, conquista Beasts of No Nation” title=”Venezia 2015, giovedì 3 settembre”]

di Federico Boni

Primo giorno ufficiale alla Mostra del Cinema di Venezia, con il diario quotidiano che continua a farsi anche ‘video’ grazie alla novità delle nostre clip ‘riassuntive’, pronte ad allietarvi ad inizio post. Ogni giorno, tutti i giorni, fino a quando non abbandoneremo il Lido. Mattinata dedicata ad Everest di Baltasar Kormákur per la stampa internazionale, con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in serata sbarcato al Festival proprio per ammirare l’apertura ufficiale targata Universal Pictures.

Un film, quello diretto dal regista islandese, che ha gelato i presenti in sala Darsena, e non solo per le altissime temperature mostrate su grande schermo. Tanto spettacolare quanto scarsamente emotivo, Everest ha nettamente perso la sfida con i due titoli che inaugurarono le ultime due Mostre, vedi Gravity e Birdman. Altra stoffa, altra consistenza, altri gioielli. Persino il ricco cast, ovviamente presente in massa al Lido, è finito per scivolare lungo il dirupo scavato da regista e sceneggiatori, colpevoli di aver disegnato lineamenti di ‘ghiaccio’ per tutti i protagonisti. Due di questi, vedi Jake Gyllenhaal e Jason Clarke, sono stati da noi intervistati, con l’immancabile resoconto video in arrivo a breve.

Se nella tarda mattinata Antonio ha avuto il piacere di vedere il messicano Un monstruo de mil cabezas, in serata si sono fatti spazio Italian Gangsters e Beasts of No Nation. Il primo presentato nella sezione Orizzonti, il secondo ufficialmente in Concorso e in lizza per il Leone d’Oro. Documentario marchiato Istituto Luce, il film di Renato De Maria ha pennellato un vero e proprio affresco sull’Italia criminale degli anni ’40, ’50 e ’60, interessandosi ad alcuni volti celebri di quel preciso periodo storico, vedi la banda Cavallero, Ezio Barbieri, ‘il Dillinger bolognese’ Paolo Casaroli, Luciano De Maria, Horst Fantazzini e ‘il solista del mitra’ Luciano Lutring. Una docu-fiction a tutti gli effetti, quella realizzata dal regista de La vita Oscena, tra immagini d’epoca, scene legate al cinema di genere anni ’70 e romanzati racconti in prima persona ad opera degli stessi criminali, neanche a dirlo interpretati da sei attori. Di altro spessore e qualità, invece, la 3° fatica cinematografica del 38enne Cary Fukunaga, talentuoso autore americano esploso lo scorso anno grazie alla prima stagione del televisivo True Detective, da lui interamente diretta.

Tratto dal romanzo Bestie senza una patria (Beasts of No Nation) di Uzodinma Iweala, il film di Fukunaga, da lui anche fotografato e sceneggiato, passerà probabilmente alla storia per aver ufficialmente ‘sdoganato’ Netflix anche su grande schermo. Un’opera potentissima quella realizzata dal regista di Jane Eyre, legata allo straordinario volto del piccolo ed esordiente Abraham Attah, chiamato ad interpretare Agu, bimbo soldato nell’Africa Occidentale. Gli orrori della guerra visti con gli occhi di un ragazzino, strappato con forza da quell’adolescenza che nessuno potrà mai più dargli indietro. Tra scene belliche dal forte impatto visivo, piani sequenza e secchiate di violenza che vedranno il ‘mostruoso’ Comandante Idris Elba ‘forgiare’ questi piccoli per provare a vincere una guerra invincibile, Fukunaga si è confermato, casomai ce ne fosse ancora il bisogno, come uno dei registi più talentuosi della propria generazione. Malickiano nello spirito rappresentativo, Beasts of No Nation potrebbe serenamente tornare in patria con almeno un riconoscimento in saccoccia (premio Mastroianni), anche se l’essersi mostrato al primo giorno potrebbe alla lunga penalizzarlo.

Giornata molto ricca quella di giovedì grazie all’arrivo di Spotlight, atteso film sui ‘preti pedofili’ di Thomas McCarthy, presentato fuori concorso. In lizza per il Leone d’Oro ci sarà invece Looking for Grace di Sue Brooks, mentre nel pomeriggio spazio a Lolo di Julie Delphy. Serata dalle grandi occasioni, infine, con Francofonia di Alexander Sokurov, tra i favoriti per il trionfo finale, e In Jackson Heights, documentario di 190 minuti targato Frederick Wiseman. Non perdeteci di vista!

[accordion content=”Orson Welles inaugura, Everest apre” title=”Venezia 2015, mercoledì 2 settembre”]

di Antonio Maria Abate

[quote layout=”big” cite=”Otello – William Shakespeare]Il buon nome, mio caro signore, sia per l’uomo che per la donna / è il gioiello immediato delle loro anime. / Se uno mi ruba la borsa, ruba dei soldi; è qualcosa e non è nulla; / erano miei ora son suoi, come già furono di mille altri. / Ma chi mi truffa il buon nome, / mi porta via qualcosa e non arricchisce lui e fa di me un miserabile.[/quote]

William Shakespeare ed Orson Welles. Sono questi i due giganti a cui viene affidato il compito di (pre)aprire la Mostra di quest’anno. La numero settantadue; mica scherzi. Oltre settant’anni di storia, poco più di quanto ci è voluto per riesumare, attraverso un lavoro instancabile e certosino, Il mercante di Venezia di Orson Welles. Stralci che ci parlano di un tempo che non esiste più, di un cinema che non esiste più, ma soprattutto di un uomo che non c’è più.

Welles girò la commedia di Shakespeare in forma ridotta; il progetto era quello di tirarci fuori una serie televisiva incentrata proprio sul Bardo dell’Avon, o meglio, sulle sue opere. Come spesso, quasi sempre, accadde con l’enfant terrible di Quarto Potere, l’iniziativa deragliò miseramente, ed ad altri raccogliere i pezzi: la sceneggiature in Michigan, la partitura musicale a Roma e via discorrendo. Per la prima volta in assoluto la mezz’oretta de Il mercante di Venezia viene mostra ad un pubblico. E noi c’eravamo.

Il resto riguarda l’Otello, altro capolavoro del maestro, mostrato in Sala Darsena in una delle tre versioni, che è quella doppiata in italiano. Cronaca vuole che Orson Welles fosse in procinto di presentare il suo film proprio in occasione della Mostra del 1951, per poi scusarsi in conferenza stampa poiché il film non ce l’avrebbe fatta. Una gestazione travagliata, che stoppò più volte le riprese, dapprima a causa della bancarotta del produttore, successivamente per via del fatto che i soldi che Welles ci mise di tasca sua non furono sufficienti. Sta di fatto che nel 1952 il film viene presentato a Cannes e vince la Palma d’Oro, con una release statunitense che avvenne solo tre anni dopo. Ma d’altronde «nemo propheta in patria».

È oggi però che il Festival ha ufficialmente inizio. A breve troverete online la nostra recensione di Everest, film d’apertura dal quale francamente non ci attendiamo il medesimo clamore riscosso dai due che l’hanno preceduto (Gravity nel 2013 e Birdman lo scorso anno) ma che potrebbe a suo modo sorprendere. Federico l’ha già visto ma per questioni d’embargo non può esprimersi. Né ho inteso fargli alcuna pressione; aspettiamo e vediamo.

Attenzione perché in giornata c’è un altro film piuttosto atteso, ovvero Beasts of No Nation di Cary Fukanaga, alla sua prima uscita post-True Detective. Ma in generale, quali sono i film che più attendiamo? Parlo per me, se vorrà Federico avrà modo di dire la sua. Tre nomi su tutti, restano al Concorso: Sokurov (Francofonia), Skolimowski (11 Minutes) ed Anderson (Heart of a Dog). Dovessi scommettere anche solo un centesimo, direi che questi tre potrebbero serenamente andare a premi. Tolte però certe logiche, sono proprio le opere che aspetto di più. In assoluto? Beh, forse in assoluto no.

Tra Fuori Concorso e Orizzonti di titoli sul nostro radar ce ne sono. Solo solo in ambito documentari si segnala un’altra triade, ovvero Wiseman-Maresco-Tsai Ming-liang, seguito a ruota da De Palma di Noah Baumbach e Jake Paltrow. Ma poi non stiamo nella pelle per Anomalisa, il film d’animazione di Charlie Kaufman, c’incuriosisce l’esordio blasonato di Brady Corbet con The Childhood of a Leader, il documentario di Amy Berg su Janis Joplin, Spotlight di McCarthy. Quanto agli italiani, chi scrive intende spezzare una lancia, così… a pelle, a favore del film di Gaudino (Per amor vostro); dei quattro è quello su cui si chiacchiera meno, e forse è proprio il non avere idea di cosa aspettarmi che me lo rende intrigante. Poi, certo, mentirei se mi dichiarassi indifferente ai vari Amos Gitai ed Atom Egoyan, è chiaro; il primo si è fatto vivo in Concorso a Venezia di recente con Ana Arabia, più interessante quanto a sforzo tecnico (un pianosequenza di un’ora e mezza circa) che altro, mentre il secondo arriva da un disastroso The Captive, in Concorso a Cannes e non a caso coperto di critiche nient’affatto lusinghiere.

Insomma, di materiale ce n’è eccome. In più aggiungeteci quei titoli che magari usciranno fuori come funghi, specie dalle categorie minori come Settimana della Critica e Orizzonti, o magari pure dalle Giornate degli Autori. Dal canto nostro cercheremo di fare incetta di quanto più possibile, tenendoci e tenendovi informati sullo sviluppo di un Festival ancora una volta tutto da seguire, fiero della rotta intrapresa da due edizioni almeno e per questo, si spera, non meno pronto a sorprenderci.

AGGIORNAMENTO: siamo finalmente lieti di poter inaugurare il nostro videodiario, che trovate in apertura di questo aggiornamento. Poiché qui al Lido essere connessi è un lusso per pochi, non possiamo garantirvi che riusciremo ad essere regolari. Ma una cosa possiamo già promettervela… ci stiamo provando e continueremo a farlo!

Festival di Venezia