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Fabrizio Corona, Metamorfosi: recensione in anteprima del documentario sull’ex re dei paparazzi

Metamorfosi: recensione in anteprima del documentario su Fabrizio Corona nei cinema da giovedì 10 settembre.

di grazias
pubblicato 9 Settembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 12:55

“Tenga, per lei ho un lipsa*“.
“Eh?”
“Sa, un tempo si diceva burrocacao ma Fabrizio è un figo e così…”

Ed eccovi la conversazione di benvenuto intercorsa tra me e una sorridente hostess quando sono entrata al cinema Odeon di Milano per la proiezione in anteprima del film Metamorfosi, documentario scritto e girato da Jacopo Giacomini e Roberto Gentile, sulla vita di quel figo di Fabrizio. Fabrizio Corona.

E che Fabrizio Corona sia un figo l’hanno capito anche i più distratti nel momento in cui si sono visti consegnare un fazzolettino di stoffa brandizzato #sipuede. Ogni eventuale ulteriore dubbio, poi, è stato fugato a proiezione ormai avviata, quando l’ex marito di Nina Moric ha fatto il suo ingresso in sala, con il benestare di Don Mazzi e scortato da una mezza dozzina di bodyguard tra i flash dei fotografi e gli applausi scroscianti di una folla che sembrava essere lì solo per vederlo, per vederlo da vicino quel figo di Fabrizio Corona.

E vediamolo, allora. Vediamolo pure sul grande schermo in Metamorfosi, un’accozzaglia di riprese girate nel 2011 che immortalano un inconfutabile dato di fatto: Fabrizio Corona oltre ad essere bello come il sole, ha un cuore, un cuore grandissimo. Le immagini mostrano chiaramente come l’ex re dei paparazzi avesse provato, anche grazie all’aiuto dell’amico Jacopo Giacomini, a redimersi, a smussare quell’atteggiamento da bullo che porta mamma Gabriella a dire: “Magari un po’ di galera gli farebbe bene. Non troppa, però“.

Ecco, Metamorfosi, tra una seduta di rebirthing interpersonale (?) e una di integrazione posturale (??), cerca di raccontare proprio questo sforzo, questa tensione qui. Che quel figo di Fabrizio ha avuto, evidentemente, poco prima di finire in gattabuia.

Io sono molto debole mentalmente, ma non lo do a vedere perché con la debolezza non si va da nessuna parte. Questa una delle massime pronunciate da Corona nel corso di Metamorfosi, ben lontana da quando, in Videocracy si paragonò a un moderno Robin Hood che rubava ai ricchi per dare a se stesso. Il cambiamento è così “evidente” da far commuovere perfino la dottoressa (?) Iole, esperta di rebirthing interpersonale, al punto da spingerla verso una netta presa di coscienza:

Ho percepito la fatica della celebrità e la sofferenza che provoca.

Fabrizio, il ragazzo che ammette candidamente che tra la normalità e la vita lui ha scelto la vita, appare come un boss severo coi suoi dipendenti, maniaco dell’ordine e dello smartphone. Un imprenditore sicuro di sé, sempre ben vestito e curato. Ma anche un uomo fragile che racconta ostentando serenità di come sia sempre più spesso vittima di attacchi di panico placati solo da 65 gocce di Xanax autoprescritte.

Il documentario, opera prima di due che al cinema fino all’altroieri ci entravano solo per vedere qualche cinepanettone, è di una noia mortale e raramente si riesce ad entrare davvero in contatto con il suo malcelato protagonista. La maggior parte delle volte quel figo di Fabrizio appare come un duro attanagliato da mille insicurezze ben nascoste sotto la sua aria da bulletto del quartierino che ce l’ha fatta.

A parte il numero imbarazzante di inquadrature completamente fuori fuoco (doveva esserci nebbia, non c’è altra spiegazione), il film procede stancamente fino a darci la definitiva certezza che si tratti di un’operazione commerciale volta a ripulire l’immagine di quel figo di Fabrizio. Sono qui anche per mio figlio dice lui non appena prende la parola in conferenza stampa. Bene, andarlo a trovare invece di stressarci l’anima per 94 minuti di pellicola totalmente insulsa? Se Corona avesse accettato domande, questa sarebbe stata probabilmente l’unica che gli avrei posto. Dal cuore. Ma non è finita qui…

Per concludere, vi consiglio la visione del video in apertura. Si tratta di Un uomo migliore, brano che il cantautore Niccolò Moriconi ha scritto ispirandosi alla travagliata vicenda giudiziaria di quel figo di Fabrizio facendosi aiutare perfino dalla voce di Giancarlo Giannini per un imprevedibile featuring che, alla fine di tutto, vi farà esclamare fortissimo:

E allora i marò?