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Much Loved: recensione in anteprima

Nell’odierno Marocco la storia di quattro prostitute che tentano di sopravvivere in un ambiente estremamente difficile per la donna. Much Loved si perde in un eccesso di sguardi e ripetizioni che vanificano un discorso necessario, fra tematiche multiple e discorsi appena accennati. Malgrado una brava Loubna Abider

pubblicato 18 Settembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 12:36

In una Marrakesh dei nostri giorni, tre ragazze discutono attorno a un tavolo circa le loro vicissitudini sul lavoro. Ci si mette poco a capire che di mestiere fanno le prostitute, sebbene d’alto livello: niente strada, solo feste e serate di lusso, con emiri e facoltosi europei. Noha è evidentemente quella con più esperienza, oltre che la più simpatica; racconta dell’ultima volta che ha avuto a che fare con un nero e per sei mesi non ha potuto lavorare. Much Loved è stato presentato a Cannes in Quinzaine des Réalisateurs, diretto dal regista franco-marocchino Nabil Ayouch.

Film che ha riscosso aspre critiche in patria, con il divieto da parte del governo per lesa immagine del Marocco. Vero è, d’altra parte, che Ayouch non nasconde nemmeno per un istante le proprie intenzioni, che sono sostanzialmente quelle di fare denuncia. Il contesto del suo Much Loved è laido, contraddistinto da uno squallore peraltro verosimile. Ed il film parte bene, con la scena sopra citata che funge da apripista anche a quella che in fondo è la tematica aggiunta, ossia l’amicizia, unica componente a tenere a galla chi popola un così squallido ambiente.

Tuttavia è più avanti che il tutto mostra il fianco a delle critiche legittime; poco per volta emerge infatti un desiderio di mostrare certe situazioni che finisce con l’essere prevaricatore. Non so se sia del tutto esatto parlare di voyeurismo, eppure Much Loved a più riprese ci va molto vicino; basti pensare che le scene col maggior tasso d’intensità drammatica hanno a che vedere con amplessi mostrati sempre sotto forma di violenza, anche laddove le ragazze siano consenzienti, per un motivo o per un altro. Lungi da noi certi pruriti, ché non si tratta di vedere due persone che fanno sesso, un seno o un sedere: è il reiterato ricorso che fa storcere il naso, quasi che fosse questo l’unico modo per stabilire empatia con dei personaggi che effettivamente vivono una condizione difficilmente sostenibile.

Ma poi Ayouch calca la mano anche in altro, ovvero nel suo voler parlare di tutto e un po’. Al centro resta la prostituzione in quell’area geografica, sebbene attorno vi orbitino altri argomenti satellite che però, per forza di cose, il regista non ha mai davvero modo di esplorare. Ed allora certi accenni all’omosessualità, alla corruzione, all’arretratezza, al cosiddetto «ritardo culturale» finiscono col fare da contorno, malgrado si tratti di temi ben più complessi e articolati, per cui certi accenni stemperano il realismo al quale comunque aspira il film.

Verosimiglianza che, su tutti, si deve alla splendida Loubna Abidar, che spicca non solo per ruolo ma anche per bravura. La sua Noha attraversa una gamma piuttosto ampia di emozioni, ovvero si ritrova invischiata in episodi che la vedono ora incazzata, ora scherzosa, ora triste, ora amareggiata. Ed il bello è che l’attrice marocchina li regge tutti ed anche piuttosto bene. Finendo col mettere un po’ in ombra le altre protagoniste, che fanno il loro pur non sostenendo il passo.

Ma come abbiamo implicitamente rilevato poco sopra, non riguardano gli attori e le loro prove i limiti di Much Loved. Il cui tutto sommato nobile intento, teso a descrivere le dinamiche di un sottobosco scabroso, lercio e violento, si scontra con una foga che andava senz’altro tenuta a bada. Foga nel mostrare anzitutto, come se l’eccesso di esposizione contribuisse a rendere più chiari concetti francamente comprensibili senza bisogno di farci entrare ripetutamente in scene di sesso più o meno spinto; diversamente sembra che Ayouch non riponga la benché minima fiducia nella capacità di cogliere certi spunti da parte dello spettatore senza essere esplicito.

Ma foga anche nell’evocare questioni molto attuali, per certi versi pure urgenti, ma che non possono essere trattate efficacemente aprendole e chiudendole come l’anta di un armadio; meglio un vago accenno a questo punto, giusto per dire che certe realtà esistono, ci sono ma… insomma, stiamo parlando d’altro e non c’è tempo per approfondire come avremmo voluto. Elementi, questi, che finiscono col vanificare, anche se in parte, la resa di Much Loved, che non può certe reggersi sulla sola tematica; quasi che voler descrivere certe condizioni disumane fosse sufficiente a suscitare clamore. Con un simile fervore poi. Altrove forse, non al cinema.

[rating title=”Voto di Anotnio” value=”5″ layout=”left”]

Much Loved (Zin li fik, Francia/Marocco, 2015) di Nabil Ayouch. Con Loubna Abider, Halima Karaouane, Asmaa Lazrak, Sara El Mhamdi Elaaloui, Abdellah Didane e Danny Boushebel. Nelle nostre sale da giovedì 8 ottobre.

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