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Padri e figlie di Gabriele Muccino: Recensione in Anteprima

L’amore, il dolore di una perdita, l’evoluzione di un rapporto, la paura di amare. Gabriele Muccino si fa regista dei sentimenti in Padri e Figlie, suo nuovo film ‘americano’

pubblicato 24 Settembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 12:27

3 anni dopo lo sbertucciato Quello che so sull’amore, distrutto dalla critica Usa, autentico flop dal punto di vista degli incassi e in qualche modo ‘rinnegato’ dallo stesso regista, Gabriele Muccino è rimasto ad Hollywood per risalire la china, provando così a replicare il boom ottenuto nove anni or sono con The Pursuit of Happyness. Per riuscire nell’impresa si è affidato a 3 attori premi Oscar (4 statuette vinte e complessivamente 14 nomination all’interno del cast) e ad una sceneggiatura grondante sentimenti scritta da Brad Desch.

Padri e figlie non è altro che una toccante e drammatica storia d’amore delineata nell’arco di 25 anni tra un padre, ovvero Russell Crowe, e la sua amata figlia, interpretata dalla straordinaria Kylie Rogers e dall’autodistruttiva Amanda Seyfried. Il film procede infatti su due piani paralleli, spostandosi avanti e indietro tra gli anni ’80 e i giorni nostri. Un tempo affermato romanziere premio Pulitzer, Jake Davis rimane gravemente segnato da un incidente che cambierà tanto la sua esistenza quanto quella di Katie, bimba di 5 anni. Il trauma subito lo porterà a dover combattere con un serio disturbo mentale, mentre gli zii materni provano a strappargli la figlia, i debiti si accumulano e la critica massacra il suo ultimo romanzo. O forse dovremmo dire penultimo, perché Jake ha in canna il capolavoro, dedicato proprio alla sua ‘patatina’. Una bambina ormai cresciuta, quella che vediamo 25 anni dopo, divenuta giovane donna e aspirante psicologa nel cuore della New York del 2015, ma con non pochi problemi affettivi. Perché Katie, a causa di quegli indimenticabili traumi vissuti 1/4 di secolo prima, proprio non riesce a riempire quel vuolo d’amore che ancora oggi la fa soffrire, tanto da sfuggire alla vita di coppia perché terrorizzata dall’idea di doverla vivere, seminando uomini ‘usa-e-getta’ sul suo cammino. Tutto questo per non doversi tormentare, ancora una volta.

C’è tutto il cinema di Gabriele Muccino in questo Fathers and Daughters, non a caso da lui difeso con le unghie e con i denti persino durante la sua lavorazione. Un ‘ricerca della felicità’, quella a cui va incontro Amanda Seyfried, da afferrare tra una botta e via, tra un ‘ricordo’ indelebile e una stuggente canzone che puntualmente fa tornare in superficie dolori mai dimenticati. Un film a medio budget da 22 milioni di dollari che ha riportato a galla il regista romano, pochi anni fa affondato con Playing for Keeps. Stilisticamente parlando Padri e figlie ha tutte quelle caratteristiche che hanno reso celebre Muccino, tanto in Italia quanto negli Usa, vedi macchina a spalla che insegue i suoi attori, un accenno di Jovanotti (pochi secondi di un’inedita canzone in una casa newyorkese) e lunghi e complessi piani-sequenza in cui immortalare le immancabili scene di ‘isteria di coppia’, per un progetto emotivamente scosso con forzata enfasi, tanto da poter quasi parlare di ‘disonestà sentimentale’. Ma intelligente perché garbata, elegante e funzionale ad un quadro di genere onestamente impeccabile per piacere ad un certo tipo di pubblico.

Facendosi largo tra trame e sottotrame, personaggi secondari (troppi) e piani temporali, Muccino parla d’amore, dell’amore assoluto. Quello tra genitori e figli, tra un padre e una figlia rimasti soli l’uno dinanzi all’altra, nudi di fronte alle proprie debolezze, che in qualche modo plasmano il nostro futuro e ci affiancano durante la nostra crescita. Un’evoluzione, quella vissuta su due binari paralleli da Crowe e dalla Seyfried, che entrambi cavalcheranno in egual misura, anche se diversicati nel ‘ruolo’. Da una parte un padre innamorato della propria figlia, dall’altra una figlia innamorata del proprio padre. Nel mezzo il dolore della perdita, l’elaborazione del lutto, la paura di un addio.

Gettati alle ortiche due dive premio Oscar come Jane Fonda e Octavia Spencer, a causa di due ruoli davvero troppo limitati e limitanti, il film poggia le proprie fondamenta sulle forti spalle di un imbolsito e troppo spesso ‘esagerato’ Russell Crowe, soprattutto nella macchiettistica rappresentazione della ‘crisi psicotica’, sui giganteschi occhi che trasudano bisogno d’affetto di una Seyfried incapace di arrendersi all’amore e sui dolci sorrisi di una baby attrice di disarmante bravura. Quella Kylie Rogers, 11 anni appena, scelta da Steven Spielberg per il televisivo The Whispers. E’ lei a bucare lo schermo, tanto da far ombra persino al padre Gladiatore. Il lussuoso cast si concede poi ulteriori ‘regali’, vedi quella Quvenzhané Wallis 3 anni fa nominata agli Oscar con Re della terra selvaggia, una cinica, egoista e ubriacona Diane Kruger, un rapido cameo di pochi minuti targato Janet McTeer ed un dolce, saggio, centrato e ambizioso nonché innamorato Aaron Paul, che porterà di fatto Katie, ovvero la Seyfried, sulla strada della vita.

Una confezione patinata il giusto, ammaliante fuori e farcita con sdolcinate lacrime dentro, quella impacchettata dal regista nostrano, a cui va dato il merito e perché no persino il coraggio di non essersi arreso, dopo la batosta del 2012, tanto dall’essere tornato con una storia hollywoodiana nella drammatica impalcatura, mucciniana nella struttura visiva e universale nei geni. Perché anche se non ancora padri tutti, ma proprio tutti, siamo comunque figli, nonché il risultato delle nostre infanzie.

[rating title=”Voto di Federico” value=”6.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Antonio” value=”4.5″ layout=”left”]

Padri e figlie (Fathers and Daughters, Usa, drammatico, 2015) di Gabriele Muccino; con Russell Crowe, Amanda Seyfried, Aaron Paul, Diane Kruger, Quvenzhané Wallis, Bruce Greenwood, Janet McTeer, Kylie Rogers, Jane Fonda, Octavia Spencer – uscita giovedì 1 ottobre 2015.