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Woman in Gold: Recensione in Anteprima

Il regista di Marilyn per la storia vera di Maria Altmann, anziana e tenace ebrea che trascinò in tribunale il governo austriaco

pubblicato 1 Ottobre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 12:24

Due anni dopo i 100 milioni di dollari incassati in tutto il mondo e le 4 nomination portate a casa da Philomena, Harvey Weinstein ha fiutato l’odore del bis una volta scovata la sceneggiatura di Woman in Gold, firmata E. Randol Schoenberg e poi tramutata in lungometraggio dal britannico Simon Curtis, regista di Marilyn.

Tratta dall’immancabile storia vera, la pellicola racconta infatti l’incredibile e coraggiosa ‘battaglia giudiziaria’ intrapresa da Maria Altmann, rifugiata ebrea da decenni residente in America perché costretta a scappare dall’amato Paese causa Terzo Reich, alla ‘sua’ Austria. Il motivo? La restituzione da parte del Governo dei tanti beni di famiglia sequestrati dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, tra i quali spiccava l’iconico quadro di Gustav Klimt Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, zia della donna. Un’opera leggendaria e conosciuta in tutto il mondo che il governo austriaco, neanche a dirlo, si rifiutò di consegnare a Maria, costringendola di fatto a trascinare il proprio Paese natale fino alla Corte Suprema Americana.

Come detto, impossibile non pensare al titolo di Stephen Frears nell’ammirare questo Woman in Gold, se non fosse che Curtis non sia Frears e Schoenberg, soprattutto, non sia Steve Coogan. Se nel titolo del 2013 avevamo una ‘strana coppia’ pronta ad imbarcarsi in un lungo viaggio alla ricerca di una verità passata legata ad un figlio mai del tutto dimenticato e agli abusi della chiesa cattolica in un convento degli anni ’50, con Helen Mirren e Ryan Reynolds ci ritroviamo dinanzi a due protagonisti incaricati di scrivere la parola fine ad una lunga ingiustizia giudiziaria che ci porterà direttamente tra le persecuzioni razziali ai danni dei nazisti.

Similitudini di scrittura che vanno ad infrangersi dinanzi alla differente rappresentazione portata avanti dai due registi, con Curtis assai più romanzato nella messa in scena del dolore da parte di questa donna prima costretta a fuggire e poi derubata ed umiliata, una volta finita la guerra, dal proprio stesso Paese. Ad indossarne ‘l’accento’ con innegabile bravura la regale Helen Mirren, intensa e credibile negli abiti di questa anziana combattuta sul da farsi, soffocata dai ricordi di un tempo eppue riuscita nell’impresa di vincere una battaglia legale che ai più sembrava impensabile. Ad aiutarla un giovane avvocato alle prime armi qui interpretato da Ryan Reynolds, ingoffito per l’occasione ma come al suo solito, a lungo andare, poco variabile dal punto di vista espressivo. La ‘strana coppia’ che in Philomena fece furore, vedi Judi Dench e Steve Coogan, qui tende invece a pendere completamente da parte dell’attrice premio Oscar, che di fatto giganteggia di fronte ad un 38enne attore canadese che tolta la bellezza, oggettivamente parlando, ha davvero poco da dare al mondo del cinema.

Curtis, spaziando continuamente tra presente ‘legale’ e passato ‘nazista’, porta avanti la storia su due binari paralleli, esagerando nei toni di scrittura legati all’Austria del Terzo Reich. Limitato nei dialoghi che virano con enfasi verso lo stucchevole dramma, Woman in Gold cede poi all’ovvio, ovvero a quella rappresentazione giuridica alla ‘Davide contro Golia’ durata ben 8 anni, tratteggiata con crescente interesse eppure indirettamente ‘frenata’ dai duri, difficili ed enfatizzati ricordi che la protagonista dovrà per forza di cosa affrontare.

Tralasciata l’inutile presenza di Katie Holmes, il film nasce da un documentario sull’argomento visto dallo stesso Curtis, ‘Stealing Klit‘, trasmesso sulla BBC e in grado di invogliare il regista britannico alla realizzazione di un vero e proprio lungometraggio su Maria Altmann, morta nel 2011 all’età di 95 anni. Vinta la causa contro l’Austria nel 2006, la donna vendette Ritratto di Adele Bloch-Bauer a Ronald Lauder per 135 milioni di dollari, portando così il celebre dipinto di Klimt alla Neue Galerie di New York. Quasi tutti i soldi ricavati dalla vendita del quadro furono poi da lei dati in beneficenza. Una storia innegabilmente ‘da cinema’, abbracciando giustizia contemporanea e ingiustizie passate tra nazismo e memoria storica, che quel volpone di Harvey Weinstein ha confezionato per commuovere in lungo e in largo, toccando corde ancora oggi dannatamente sensibili. E i risultati, 56 milioni di dollari d’incasso in tutto il mondo dopo esserne costato 11, gli hanno dato ragione. Almeno dal punto di vista del botteghino.

[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”1″ layout=”left”]

Woman in Gold (Uk, drammatico, 2015) di Simon Curtis; con Helen Mirren, Ryan Reynolds, Daniel Brühl, Katie Holmes, Tatiana Maslany, Max Irons, Charles Dance, Antje Traue, Elizabeth McGovern, Frances Fisher, Moritz Bleibtreu, Tom Schilling, Allan Corduner, Henry Goodman, Nina Kunzendorf, Alma Hasun – uscita giovedì 15 ottobre 2015.