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Brooklyn: recensione in anteprima del film con Saorsie Ronan

Da un piccolo villaggio in Irlanda alla grandezza di Brooklyn: oltreoceano, lontano dagli affetti, una ragazzina è costretta a cominciare una nuova vita. Ma la distanza gioca brutti scherzi… Un film limpido, composto, pure troppo: eppure commovente. Forse il miglior ‘cinema per signore’ che si puo’ chiedere. In anteprima al Torino Film Festival.

pubblicato 17 Novembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 11:30

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C’è un tipo di cinema medio, molto educato e pulito e lineare, che si potrebbe definire in modo molto sbrigativo e un po’ maleducato ‘cinema per signore’. Quello che si guarda solitamente a casa, meglio se di pomeriggio, e che fa consumare tanti fazzoletti per asciugar lacrime. Un cinema col quale in fondo non si sa bene che cosa dovremmo farci, figurarsi oggi in cui il clima cinico è dilagante.

Eppure con Philomena, che è il miglior ‘film per signore’ degli ultimi anni, ce lo siamo fatti tutti un piantino, e fortunatamente non ce ne siamo vergognati ad ammetterlo. Anche perché, se si resta indifferenti con una storia del genere – ma soprattutto di fronte alla scrittura con cui viene raccontata -, forse il sospetto che si ha un po’ il cuore di pietra dovrebbe venire. Sospetto, mica certezza, per carità…

Brooklyn è molto più Philomena che C’era una volta a New York, con il quale condivide un plot di partenza simile. Ma per tono, regia ed evidentemente intenzioni è un altro mondo, un altro cinema. Brooklyn ad esempio, come Philomena, è poco interessato a creare un mondo attraverso la regia e gli elementi puramente cinematografici, e questo perché Stephen Frears e soprattutto John Crowley non sono James Gray e non ne hanno le aspirazioni.

Crowley è invece chiaramente innamorato con tutto il cuore della sua storia, e quindi decide di raccontarla nell’unico modo possibile: girando in modo chiaro e lineare, lasciando che sia appunto la storia – come in un romanzo (e mica è un caso che Brooklyn sia basato su un romanzo) – a raccontarsi. Cinema semplice, si direbbe.

Anche piatto? Non mi sembra. La storia di Brooklyn, come nel miglior ‘cinema per signore’, riduce tutto a poche cose, essenziali e dirette. Perché questa è una storia che parla direttamente ai sentimenti, ed è una questione di cuore. La vicenda di Eilis, che abbandona il suo villaggio in Irlanda per trovare fortuna nella Brooklyn degli anni 50, può magari colpire di più chi qualcosa del genere l’ha vissuta, ma ha un carattere universale che è difficile non cogliere.

Costretta ad abbandonare madre, sorella e amici per andare oltreoceano in un’epoca in cui si comunicava ancora via lettera e il telefono non era così diffuso, Eilis si trova a vivere come un’estranea in un mondo nuovo. Il primo consiglio che le viene dato è di “pensare come un Americano”: ci mette ovviamente un po’, versa lacrime a casa e sul lavoro, ma poi newyorkese ci diventa davvero (ci si mette poco, a NYC…).

La solitudine viene man mano meno grazie all’incontro con Tony (Emory Cohen: faccia da schiaffi, e anche per questo perfetto), un ragazzo di origini italo-americane che le fa subito la corte. E proprio nel momento in cui Eilis ricomincia a vivere, e il suo cuore torna a battere, rientra dalla finestra a gamba tesa nella sua esistenza quella distanza che la separa da casa e dalle sue origini.

Se c’è appunto qualcosa che Brooklyn mette a fuoco benissimo, nonostante la confezione curatina e le troppe lunghezze, è proprio il concetto di distanza. Centra il senso di sofferenza, divisione e soprattutto impotenza (di poter partire, o di restare, o semplicemente di fare la cosa giusta al momento giusto) così bene che ci si perde volentieri fra i suoi fotogrammi. E sì, le lacrime arrivano da sole.

Saoirse Ronan ha ovviamente il volto bello e giusto per dar vita a un personaggio che, anche se anche piange persino troppo (oh, se piange…), porta con sé un carico di dolore e dubbi ed emozioni che sono tipici di chi è forzato a fare qualcosa che non vorrebbe. Ma queste sono anche tutte le emozioni fragili che si provano nel passaggio all’età adulta.

In fin dei conti, con Brooklyn assistiamo a un coming-of-age di una ragazzina che diventa adulta e viene chiamata a strappare un cordone ombelicale più duro da spezzare di quel che si può pensare. Brooklyn alla fine di questo ci parla: della ricerca della propria identità, di un angolo di mondo assai agognato e che ci faccia finalmente star tranquilli.

[rating title=”Voto di Gabriele” value=”7″ layout=”left”]

Brooklyn (Irlanda / Gran Bretagna 2015, drammatico 105′) di John Crowley; con Domhnall Gleeson, Saoirse Ronan, Emily Bett Rickards, Julie Walters, Jim Broadbent. Uscita in sala il 17 marzo 2016.

Torino Film Festival