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I migliori film del 2015 secondo Cineblog

Ci siamo. È tempo di sottoporvi il meglio visto in sala nel 2015 secondo noi. Cinque liste/classifiche stilate da altrettanti redattori di Cineblog

pubblicato 24 Dicembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 10:33

Et voilà! I tempi sono maturi, con Gesù Bambino alle porte, per stilare anche noi le nostre immancabili liste/classifiche di ciò che si è visto di meglio in sala nel corso di questo 2015. Un appuntamento per noi irrinunciabile, al di là della foga da liste di cui l’internet è piena stracolma. È un modo anche per fare bilanci, forzandoci a ragionare su quel che è stato.

E sapete che c’è? Siamo soddisfatti. I flop di ieri hanno rappresentato una prima parte di questo nostro viaggio conclusivo, che culmina con ciò che, al contrario, ci ha scaldato, emozionato, colpito, rapito e chi più ne ha più ne metta. Con in più la convinzione che almeno alcuni tra i titoli citati ce li porteremo ben oltre quest’annata. Vedremo.

Nelle pagine che seguono trovate le cinque liste/classifiche per altrettanti redattori di Cineblog. Noi, come sempre, restiamo in attesa di sapere cosa ne pensate, ciò che vi piace così come ciò che v’indigna; nessun problema, accettiamo tutto. Non ci resta che rivolgere i più sentiti auguri per un sereno Natale a voi tutti e alle vostre famiglie da parte dell’intera redazione di Cineblog. Risentiamoci, mi raccomando!

FEDERICO

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1) Mad Max: Fury Road di George Miller: poche pagine di sceneggiatura e una storia ridotta all’osso, per quello che è stato il blockbuster dell’anno. Blockbuster di qualità grazie ad un maestro della settima arte come George Miller, 70enne visionario riuscito a ricreare un futuro post-apocalittico dai colori abbaglianti e dalla regia coreografata, correndo a mille all’ora in sella ad una macchina da presa tanto ispirata quanto esageratamente folle. E dannatamente sublime. Perché intrattenimento e classe possono andare d’accordo.

2) Inside Out di Pete Docter e Ronnie del Carmen: il ritorno della Pixar dopo almeno 5 anni di ‘tentennamenti’. Deciso, coraggioso, sorprendente, iconico, emozionante, commovente, a tratti geniale, sicuramente adulto. L’ennesimo passo per arrivare a quella perfezione assoluta a cui solo loro, i genitori di Toy Story, possono ambire. Ripetersi dopo Up era quasi impossibile, ma Pete Doctor è riuscito nell’impresa.

3) 45 anni di Andrew Haigh: una storia solo apparentemente semplice, quella di due anziani innamorati pronti a festeggiare i 45 anni di nozze. Ma con il dimenticato passato che torna improvvisamente a farsi strada, rovinando un’esistenza che appariva inattaccabile. 4 anni dopo il meraviglioso Weekend il 42enne Andrew Haigh sbarca di nuovo in sala e spiazza, grazie ad un film dalla potenza disumana impreziosito da due attori in stato di grazia: Tom Courtenay da una parte e soprattutto Charlotte Rampling dall’altra, semplicemente miglior attrice di tutto il 2015. Checché ne dica l’Academy.

4) Taxi Teheran di Jafar Panahi: censura e paura, realtà e finzione, denuncia cinematografica e coraggio produttivo, a bordo di un taxi che si fa oasi democratica in un Paese dai limiti strutturali e culturali. Il folgorante ritorno di Jafar Panahi, mai tanto cinefilo come in questo caso nonché innamorato di un Paese che continua a limitarlo e a soffocarlo, senza però riuscire ad annientarne l’animo d’artista.

5) Birdman (o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza) di Alejandro González Iñárritu ex aequo Whiplash di Damien Chazelle: ovvero i due trionfatori da Oscar della stagione passata, visti nei cinema d’Italia solo nel 2015 ed entrambi meritatamente rimasti nell’immaginario collettivo. Inarritu da una parte, il talentuoso e folgorante Damien Chazelle dall’altra. Quando una sceneggiatura si fa partitura, dando vita ad una perfetta Jam session.

6) Sicario di Denis Villeneuve: Disturbante, senza un attimo di tregua, contemporaneo e contemplativo. Emily Blunt, Benicio del Toro, Josh Brolin e Jon Bernthal, letteralmente guidati da una mano che tramuterebbe in oro qualsiasi cosa. Denis Villeneuve sbalordisce, ancora una volta, sin dai primissimi dirompenti miniuti, dando vita al miglior thriller degli ultimi anni.

7) Babadook di Jennifer Kent: viene ancora una volta dall’Australia il miglior horror di stagione, e con una donna in cabina di regia. Babadook della debuttante Jennifer Kent rilancia il mito dell’uomo nero sul grande schermo ma con eleganza, omaggiando e citando l’espressionismo tedesco per poi concentrarsi sul rapporto madre-figlio, tutt’altro che semplice e pieno d’amore. Anzi.

8) The Walk di Robert Zemeckis ex aequo Il ponte delle spie di Steven Spielberg: ovvero lo straordinario ritorno di due immensi registi che hanno segnato la storia del cinema degli ultimi 30 anni. Il primo in bilico su un filo a centinaia di metri d’altezza e l’altro su un muro che ha diviso l’Europa per anni, tra Torri Gemelle e Guerra Fredda, colpo impossibile e trattativa di una vita, effetti speciali da mozzare il fiato e pacchetto registico vecchio stampo. Zemeckis e Spielberg, due marchi di fabbrica.

9) Mia Madre di Nanni Moretti ex aequo Non essere Cattivo di Claudio Caligari: il primo inspiegabilmente tornato a mani vuote da Cannes, il secondo inspiegabilmente tenuto fuori dal concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Nanni Moretti e Claudio Caligari, registi dei due migliori film italiani di stagione, tanto differenti eppure così incredibilmente pieni di cinema e vita.

10) Amy di Asif Kapadia: come raccontare l’esistenza della più chiacchierata, triturata, talentuosa e combattuta icona musicale degli ultimi decenni, senza realizzarne un insipido e fuori luogo santino bensì mostrandocela per quello che era. Debole, sola, autolesionista, unica. Il documentario dell’anno.

CUT-TV’S

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Star wars VII – Il risveglio della Forza di J.J. Abrams: il risveglio pop(oplare) di forza e nostalgia per la saga che arriva da mondi lontani lontani non si è ancora affievolito, quindi è il candidato ideale per dominare la mia classifica di appassionata della settima arte e tutti i suoi giocattoli, stilata tutta d’un fiato e senza badare troppo alla numerazione.

Mad Max: Fury road di George Miller: raramente guardo i Blockbuster al cinema ma la corsa nel deserto desolato e sconfinato dell’ultimo capitolo della saga apocalittica di Mad Max (con la furia di Charlize Theron), ha meritato la fila al botteghino e al bancone dei popcorn, facendo mangiare la polvere a qualsiasi altro film americano del 2015.

Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di Roy Andersson: è bastato il titolo a farmi entrare il cinema, il nonsense a conquistarmi, l’ironia del destino umano a farmi ridere e piangere. Un film per tutti i Don Chisciotte in viaggio.

Non essere cattivo di Claudio Caligari: l’ultimo afflato di Caligari è un grido e riecheggia nell’oblio destinato a lambire l’esistenza dei ragazzi di vita pasoliniani che non lasceranno mai Ostia. Disperato, doloroso, tossico e potente come il suo cinema.

Whiplash di Damien Chazelle: la batteria batte il ritmo Jazz di un dramma folgorante, difficile da dimenticare, come lo stato d’animo scatenato dalla musica.

Birdman (o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza) di Alejandro González Iñárritu: raramente mi trovo in sintonia con le scelte da Oscar, ma “L’imprevedibile virtù dell’ignoranza” e il lungo piano sequenza della battaglia interiore messa in scena da Iñárritu e Michael Keaton hanno conquistato la mia ammirazione.

Vizio di forma di Paul Thomas Anderson: se adorate Thomas Pynchon, Thomas Anderson, Joaquin Phoenix, gli investigatori privati, trame bizzarre, risvolti ironici e quel pizzico di erotismo che non guasta … come la sottoscritta, questo è un film da non perdere.

Il racconto dei racconti di Matteo Garrone: il viaggio fantastico e visionario dal Racconto dei Racconti di Giambattista Basile a quello di Matteo Garrone regala tutta la miseria degli uomini folgorata dalla magia delle fiabe.

Bella e perduta di Pietro Marcello: il viaggio nel paese di Pulcinella, con un Sarchiapone da salvare, regala una visione poetica dell’Italia Bella e perduta, insieme a quella originale di un cinema decisamente originale.

Youth – La giovinezza di Paolo Sorrentino: i viaggi cinematografici di Sorrentino sono esplosioni silenti che si assaporano con il tempo come la ‘vitalità’ risvegliata a qualsiasi età.

PIETRO

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Star Wars VII – Il risveglio della Forza di J. J. Abrams: J. J. Abrams aveva il duplice compito di farci dimenticare una controversa trilogia prequel e riportarci in una “galassia lontana lontana” non deludendo i fan di lunga data e mostrando alle nuove generazioni la “Forza” di un franchise leggendario. Che altro dire se non missione compiuta e personale grazie da un “fanboy” di vecchia data.

Mad Max: Fury Road di George Miller: quando si tratta di reboot viene subito spontaneo storcere il naso poichè spesso e volentieri si vanno a toccare classici intramontabili, ma il quarto “Mad Max” di George Miller, regista dell’intera trilogia originale, ci catapulta in pieni anni ’80 tra scenari post-apocalittici, brutali combattimenti e un folle “road-movie” che ha tutto il sapore di un nuovo classico.

Babadook di Jennifer Kent: spesso e volentieri da patiti di horror, quello vero, andiamo fiduciosi in sala per scoprire invece “thriller” posticci che di horror non hanno davvero nulla, ma non è il caso di questo gioiellino australiano che pesca da incubi infantili e ci cala in un’atmosfera orrorifica in crescendo. La regista Jennifer Kent utilizza una intrigante prospettiva al femminile per creare un’atmosfera ansiogena di rara efficacia anche se bisogna dirlo per palati estremamente fini.

Avengers: Age of Ultron di Joss Whedon: in questo cinecomic in gran parte sottovalutato l’atmosfera si fa volutamente più cupa e il regista Joss Whedon paga lo scotto di aver “gigioneggiato” troppo con lo spettacolare primo film; così quando le cose si fanno serie gran parte del pubblico non lo segue in questa digressione apocalittica forse non abbastanza bilanciata tra serie e faceto, ciò non toglie che quello che si vede su schermo è sempre un grande spettacolo e una indubbia gioia per gli occhi.

Jurassic World di Colin Trevorrow: altro giro altro reboot, anche stavolta sul piatto un franchise che definire classico è un eufemismo. La supervisione di Steven Spielberg e la mano sicura del regista Colin Trevorrow tengono botta, su schermo rivediamo anche l’iconico T-rex dell’originale e gli effetti visivi sono all’altezza per un ritorno a Jurassic Park che sinceramente non credevamo potesse riuscire, ma lieti di essere stati smentiti.

Ant-Man di Peyton Reed: uno dei fondatori degli iconici “Vendicatori” debutta finalmente su schermo e la lettura in chiave “comedy” senza dubbio paga con un protagonista azzeccato ed effetti speciali puntuali. Con Ant-Man ci era stato promesso un cinecomic alternativo e così è stato, quindi non vediamo l’ora di vedere di nuovo Ant-Man al fianco degli Avengers e in un secondo film in solitaria.

Crimson Peak di Guillermo del Toro: il film di Guillermo del toro è un’appassionata lettera d’amore al genere horror e al racconto gotico. Sontuosa e inquietante, questa storia di fantasmi d’altri tempi coinvolge e affascina sfruttando attori talentuosi e una casa che diventa un vero e proprio personaggio grazie a scenografie da Premio Oscar.

Pixels di Chris Columbus: lo sceneggiatore di Gremlins, Goonies e Piramide di paura sobilla il “nerd” che è in tutti noi e confeziona una spassosa commedia fantascientifica ispirata ai videogiochi anni ’80. Pixels funziona egregiamente nonostante sia stato ampiamente e ingiustamente sottovalutato, ma per il sottoscritto che ha ancora la voglia di dedicare del tempo ad un partita a Donkey Kong e Pac-Man il divertimento non è mancato.

Inside Out di Pete Docter e Ronnie del Carmen: il regista del delizioso “Monsters & co.” e del capolavoro “Up” torna per un flm d’animazione complesso e intrigante che su carta sembrava anche troppo ambizioso. Invece a conti fatti Pixar fa un altro centro e riesce a coinvolgere e a commuovere, anche se il bailamme emotivo messo in scena ci sembra un tantino troppo complesso e sbilanciato verso il pubblico più adulto rispetto ai più piccini, che comunque troveranno senza dubbio di che gioire.

Suburra di Stefano Sollima: il cinema di genere in Italia è ormai defunto, ma ogni tanto qualcosa si agita sul fondo e ci ricorda quello che il cinema nostrano era un tempo e a cosa potrebbe ancora aspirare. Suburra è un mix riuscito di contenuti, attualità e cinema di genere che ci piacerebbe vedere di più su grande schermo nonostante un panorama sempre più autoreferenziale.

GABRIELE

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01. Inside Out di Pete Docter e Ronnie del Carmen: a volte abbiamo semplicemente il bisogno di scoppiare in lacrime. La lezione più rivoluzionaria dell’anno arriva dalla Pixar.

02. Vizio di Forma di Paul Thomas Anderson: forse il capolavoro più importante denso romantico e spaventoso degli ultimi anni. Livello ‘Mulholland Drive’ e ‘Holy Motors’.

03. 45 Anni di Andrew Haigh: speculare a ‘Weekend’, dettagliato come ‘Looking’. Andrew Haigh è un maestro e un (nuovo) autore prezioso, e la Rampling alza il livello ancora di più. Smoke gets in your eyes…

04. Mia Madre di Nanni Moretti: il film più bello di Moretti da anni. Più della riflessione sul cinema, resta la commozione del più doloroso degli addii. Puro senza se e senza ma.

05. Mad Max: Fury Road di George Miller: azione rombi colori montaggio senza soluzione di continuità. Cinema entusiasmante.

06. Taxi Teheran di Jafar Panahi: il cinema come strumento di resistenza e lotta. Rabbia filtrata attraverso ironia, poesia e inventiva. Da togliersi il cappello seriamente.

07. Ex Machina di Alex Garland: sa usare tutti i topoi con sicurezza, resta prevedibile ma finisce per parlare di gender in modo inedito. Un ‘Barbablù’ per il 21° secolo.

08. ‘71 di Yann Demange: ennesima prova che il cinema inglese quando vuole mescolare genere e politica ha pochi rivali. Debutto tostissimo. E Jack O’Connell al solito brilla.

09. Sopravvissuto – The Martian di Ridley Scott: ha la leggerezza di un vero classico americano, eppure è nuovissimo. Da farci un double bill con ‘Il Ponte delle Spie’.

10. Il gesto delle mani di Francesco Clerici: è come essere accettati dentro una camera segreta per assistere a una magia unica.

Runners-up: Il segreto del suo volto; Il Ponte delle Spie; Louisiana (The Other Side); Forza Maggiore; Sicario.

ANTONIO

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1. Inside Out di Pete Docter e Ronnie del Carmen: il rilancio col botto di Pixar. Un film che i bambini di oggi si ritroveranno quando saranno gli adulti di domani, dopo aver sperimentato che ciò che a ‘sto giro afferma la Pixar è genuino. Non a caso le lacrime più sincere in sala quest’anno me le ha strappate Bing Bong, io che amici immaginari da piccolo non ne avevo.

2. Sicario di Denis Villeneuve: ricordo sul treno di ritorno da Cannes un critico straniero che stimo e leggo con piacere cassarmi l’ultimo Villeneuve con un lapidario «is just a cheap Mann», un Mann da due soldi insomma. Boh, per me Sicario è come una sinfonia ipnotica, durissima, che mi ha colpito dalla prima volta (e ad oggi l’ho visto tre volte). Del Toro per il sottoscritto è L’attore del 2015 (visto anche un altro film che trovate più in basso), mentre nella goffa innocenza mista a tenera testardaggine della Blunt mi ci sono quasi trovato. Ma in generale Sicario tocca delle corde che praticamente nessun altro film è riuscito a raggiungere quest’anno. E se ancora penso a quella immensa panoramica in movimento sul deserto mentre passano le note di Johann Jóhannsson… ho ancora i brividi. Ah sì, perché questo film ha anche una delle migliori colonne sonore di quest’anno.

3. Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di Roy Andersson: me lo trascino da Venezia 2014, dove, a caldo, ne scrissi così: «Roy Andersson si sofferma sulla trasversale assurdità della vita in 39 quadri da Leone d’Oro». Ad oggi non ho ancora elaborato un pensiero più efficace riguardo a questo film. Forse perché non ne ho avvertito la necessità, posto che altri hanno scritto cose non meno interessanti.

4. Blackhat di Michael Mann: niente, anche stavolta ho avuto l’impressione che il dibattito si sia limitato a pro e contro Mann. Pazienza. Anche stavolta, infatti, ci si è soffermati su quanto fosse “sbagliato” Hemsworth, scarsa Tang Wei, debole la sceneggiatura e via cantando. Azzerando così la magia, che non ha nulla di esoterico o “magico”, essendo piuttosto frutto di un’artigianalità come non ce ne sono più. Ci meritiamo l’appellativo di beceri manniani per questo? Fate come volete, ma in giro opere intrise di un romanticismo così caloroso, anche per questo apparentemente naif, non ne trovo, e dopo la terza visione Blackhat non ha fatto che crescere e gonfiarsi.

5. Mad Max: Fury Road di George Miller: da maggio ho una domanda per i veterani di Cannes: in quanti hanno sconquassato il Grand Théâtre Lumière come Miller? Perché se pensate che il film sia spettacolare (e lo è), la prima alla Croisette è stata una delle esperienze più esaltanti e sopra le righe che il sottoscritto abbia mai avuto modo di sperimentare nel suo poco più di quarto di secolo. Un settantenne che sale in cattedra con in mano un fazzoletto talmente minuscolo da non potercisi nemmeno soffiare il naso (la sceneggiatura) ed insegna ai giovanotti cosa significhi fare un action nel 2015 (in realtà sempre) è da chapeau. Il divertimento in sala d’ora in avanti ha un nuovo metro di paragone. E l’asticella è alta eh.

6. Mia madre di Nanni Moretti: parlare di un nuovo Moretti mi sembra oltremodo fuori luogo, così come rievocare La stanza del figlio ci può stare ma fino a un certo punto. Questo è il film di un regista, o per meglio dire un autore, nel bene e nel male, maturo, che oramai non sbaglia nemmeno le virgole. Toccante ma nel verso giusto (qualora ne esista uno), forse perché, semplicemente, sincero. Perciò sembra aver detto tutto ciò che poteva/doveva dire, non solo riguardo al lutto (nel 2001 Moretti parlava di rielaborazione, che è diverso).

7. Il ponte delle spie di Steven Spielberg: a me questo Spielberg toglie il fiato. Riesce a girare un film di semi-propaganda, inserendo due/tre cose insopportabili, eppure è lì a tenerti incollato a quello schermo, a quei due gentiluomini che rimangono tali a dispetto di un modo che rischia di andare a rotoli. La politica declinata al mainstream con tutta la maestria di uno dei maggiori cineasti viventi al mondo. Sul fronte politico lo preferisco pure a Lincoln; in generale penso sia il suo miglior film da The Terminal.

8. Taxi Teheran di Jafar Panahi: quanta voglia di fare cinema, non importa come e a quali condizioni. Mentre lo guardiamo sappiamo magari cosa c’è dietro la storia di questo taxi, ma anche se non lo sapessimo sarebbe quasi lo stesso: lo capiremmo strada facendo.

9. Shaun Vita da pecora – Il film: che gioiellino questo della Aardman, al quale secondo me non è stato tributato il giusto. Il suo umorismo è tenero e arguto al tempo stesso, accessibile praticamente a chiunque. Uno stop-motion trasversale come pochi, che unisce la bravura e l’esperienza della manualità ad un’idea di animazione divertente, fresca e finanche conciliante.

10. Perfect Day di Fernando León de Aranoa: di solito quando ci si arrende all’evidenza di certe dinamiche si tende a partire per la tangente. Pensando a chi in simili contesti si muove benissimo, mi viene da pensare a certo humor nero tipicamente ebraico, ma questo film è diretto da uno spagnolo, perciò il tenore è diverso. Un film di guerra senza la guerra, intelligente, ironico e mai fuori posto. Alla fine ciò che più mi ha colpito è proprio questo suo riuscire a restare in equilibrio laddove almeno una dozzina di volte avrebbe potuto ribaltarsi.

Potevano esserci ma non ci sono: Sopravvissuto – The Martian, The Lobster, 45 anni, Il racconto dei racconti.