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United States of Love: recensione in anteprima del film in Concorso a Berlino 2016

La Polonia in Concorso porta a Berlino United States of Love, ritratto impietoso di tre donne e dei loro amori non ricambiati, oltre che un tentativo di soffermarsi fugacemente anche su un preciso periodo storico del Paese. Troppo debole in entrambi i casi

pubblicato 19 Febbraio 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 08:31

Polonia, 1990, a un tiro di schioppo dalla caduta del Muro. Una donna con marito e figlia a carico s’invaghisce del prete presso cui vanno a Messa la domenica. Da un’altra parte la preside di una scuola intrattiene una relazione extra-coniugale con un dottore, nonché padre di una delle studenti che frequentano la sua scuola. Una donna anziana, invece, vive sola ed è innamorata della sua dirimpettaia, un’insegnante di aerobica molto più giovane.

United States of Love parla di questi tre amori frustrati, “impossibili”. Con un rigore ed una severità punitivi, a partire dai colori, un grigio monocromatico teso ad acuire la pesantezza di un contesto che non lascia scampo a niente e nessuno. Se la Berlinale 2015 ci aveva dato Body, la Polonia, tramite l’edizione del 2016, ci consegna l’ultimo film di Tomasz Wasilewski. Qui il discorso è un altro, ci siamo, ma si avverte un tentativo analogo nel suo essere quanto più asciutto possibile, didascalico e finanche un po’ pretenzioso (più della Szumovska, che è peraltro in Giuria).

Il modo in cui Wasilewski estetizza la frustrazione delle sue tre protagoniste appare forzato, pure compiaciuto per certi versi. Peraltro in maniera nemmeno poi così incisiva, specie in relazione alla prima delle tre vicende, così volutamente asettica, pruriginosa. Tanto che non appena la macchina da presa abbandona la mamma per seguire la preside quasi si tira una sospiro di sollievo.

United States of Love è un film glaciale, che mette in scena le storie di queste tre donne sofferenti mediante una pesantezza per lo più derivativa (viene da pensare a certo cinema scandinavo), senza concedere nulla, al contrario di operazioni analoghe in cui si cerca di stemperare con il ricorso all’umorismo, per quanto macabro, nero. Non sfugge, certo, il marcato richiamo al periodo storico, il quale gioca un qualche ruolo, informando il tenore e l’atmosfera che lega tutte e tre le storie. Perciò Wasilewski non si limita al dato umano nudo e crudo, ma lo cala in un contesto preciso, sia storico che spaziale.

Ciononostante, il suo modo di drammatizzare ciascuna vicenda appare in varia misura posticcio, quasi che, invece di farsi guidare dalle dinamiche e pervenire ad una tesi, avesse operato il percorso inverso: parto dalla tesi e la impongo ai personaggi e alle loro relazioni. Dunque la cupezza di fondo diventa per lo più una misura stilistica, qualcosa che può piacere o meno, ma che presta il fianco a certi limiti.

Oltre a quelli già evidenziati, vi è anche l’indifferenza che genera tutta questa freddezza, perché in fondo risulta inutile chiedersi come volgeranno certe ossessioni quando ci viene quasi esplicitamente detto che tutto là in mezzo non può che andare male. Anzi, nel più drammatico dei modi. Insieme ad Alone in Berlin, il peggior film del Concorso.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]

United States of Love (Zjednoczone stany miłości, Polonia/Svezia, 2016) di Tomasz Wasilewski. Con Julia Kijowska, Magdalena Cielecka, Dorota Kolak, Marta Nieradkiewicz e Łukasz Simlat.

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