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Pelé: recensione in anteprima

Biopic insapore su uno dei calciatori più grandi di sempre, forse il più grande. Pelé mostra a tratti sporadici un taglio cartoonesco che era forse l’unico attraverso cui questa storia avrebbe reso. Il resto è ahinoi poco meno che notizia

pubblicato 30 Aprile 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 11:59

Meglio Maradona o Pelé? Per anni questa domanda ha tenuto banco tra le chiacchiere da bar, come un tempo si chiamavano, prima di ogni altra discussione, quelle inerenti al pallone. Come tutti, anche chi scrive ha un’idea a riguardo, ma il voto in tal senso è segreto quasi quanto quello che si dà alle urne, perciò passiamo avanti. Inutile cercare di trasmettere questa rivalità all’epoca dei Messi e CR7 (Cristiano Ronaldo); tra le tante differenze, c’è che l’argentino ed il brasiliano appartengono a stagioni diverse, che a stento si sfiorano.

A Maradona ci aveva già pensato Emir Kusturica col suo documentario. Per quanto riguarda Edson Arantes do Nascimento, invece? Persino George Best, un altro grande del calcio mondiale, ha avuto il suo biopic, a dire il vero, non molto apprezzato. E sembra un po’ il destino di questi tentativi di rievocazione delle vite di grandi sportivi attraverso la finzione. Di recente abbiamo avuto un esempio piuttosto eloquente con Race – Il colore della vittoria, altro biopic alquanto scarno e per lo più aneddotico con morale e buoni sentimenti al seguito.

Quello diretto da fratelli Zimbalist segue un canovaccio diverso, al quale si crederebbe pure se solo i due avessero avuto il coraggio, o l’abilità (chi può dirlo?), di andare sino in fondo. Il loro Pelé è film a sprazzi, sebbene molto rari, fumettistico; ed è lì e lì soltanto che esce fuori. Le scorribande nelle favelas insieme ai suoi amichetti, il primo torneo in quello che somiglia ad un campo di calcio, rigorosamente a piedi scalzi; una parte in cui sembra davvero di avere a che fare con dei personaggi di un cartone animato. Ecco, senza per forza ricorrere all’animazione, ci si poteva attenere a questo tono, l’unico che probabilmente giustifica il ricorso alla finzione.

Nel momento in cui Pelé si fa “storico”, insomma, anela al documento, sprofonda. Tutto perde rilevanza, non solo l’incredibile parabola del giovane protagonista. Basti pensare al Ginga, lo stile di gioco spregiudicato, fuori dagli schemi ma spettacolare, che ha permesso al Brasile di far proprio il Mondiale del 1958 ai danni dei padroni di casa, i temuti svedesi. I due registi escogitano un espediente visivo fine a sé stesso, con questa serie di ralenti che si avvicendando durante la Finale. Cose da Holly e Benji, che lì hanno un senso, nell’ambito di un anime, il quale, quasi incidentalmente, parla di calcio.

Stando con un piede in due scarpe, al contrario, certe misure appaiono posticce, e l’effetto che se ne ricava è perciò straniante, non in senso positivo. Bello il cameo del vero Pelé, ma questo estemporaneo entra ed esci da un tenore all’altro è sintomo evidente di un’idea di fondo che manca. L’idea su come approcciarsi a questa storia, da quale lato prenderla e come raccontarla. Non ci sarebbe stata vergogna ad osare nel senso al quale abbiamo alluso sopra, ossia lasciare che l’impronta cartoonesca avesse la meglio, purché chiaramente il processo restasse controllato. Senza contare il tremendo inglese “brasilianizzato” della versione originale, che possiamo solo sperare da noi diventi un normale italiano.

Ad ogni buon conto, il limite principe, dal quale poi derivano tutti gli altri, resta questa fede cieca nella storia in quanto vera. Ma una storia, qualunque storia, quanto più è vera e al tempo stesso “incredibile”, tanto più va saputa lavorare; lungi dall’essere più semplice trasporre vicende di questo tipo, è tutto il contrario: sono queste le più difficili. Biopic del genere, così privi di verve, si pongono quale esempio pressoché perfetto su come evitare di farli. A meno che non vi basti sapere che da piccolo, quando ancora veniva chiamato Dico, il giovane Pelé promise al padre, piangente per la Finale di Coppa del Mondo persa contro l’Uruguay, che da grande ci avrebbe pensato lui a far alzare la Coppa al suo Brasile. Come sappiamo, ci riuscì. Solo che fa più effetto leggerle certe cose.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]

Pelé (Pelé: Birth of a Legend, USA, 2016) di Michael e Jeff Zimbalist. Con Vincent D’Onofrio, Rodrigo Santoro, Diego Boneta, Colm Meaney, Seu Jorge, Kevin de Paula, Milton Goncalves, Marcus-Vinicius DeFaria, Leonardo Lima Carvalho, Thelmo Fernandes, Mariana Nunes, Julio Levy, Felipe Simas, Roger Haag, André Mattos, Tonya Cornelisse, Sven Holmberg, Adriano Aragon e Vivi Devereaux. Nelle nostre sale da giovedì 26 maggio.