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Cannes 2016, Aquarius: recensione del film di Kleber Mendonça Filho in Concorso

Festival di Cannes 2016: Sonia Braga, icona del cinema brasiliano, è ufficialmente una delle candidate forti per la migliore attrice. Aquarius è lei in tutto e per tutto

pubblicato 18 Maggio 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 11:16

Donna Clara è un’elegante signora in pensione che ha però mantenuto ancora intatto il suo fascino. Faceva la critica musicale ed è una che non le manda a dire di certo. Aquarius si apre ad inizio anni ’80, in occasione del compleanno di zia Lucia, un’avvenente settantenne che Clara venera come nessun altro. A ben pensarci, è lì che comincia tutto.

Trenta e passa anni dopo Clara vive da sola, emancipata, in questo vecchio stabile che prende il nome di Aquarius. Le cose cambiano quando una grossa compagnia edilizia decide di acquistare l’intero edificio. La donna, arcigna, si rifiuta di lasciare il suo appartamento, a conti fatti impedendo ai costruttori di procedere col progetto che hanno in mente, il cui primo è step consiste nel buttare tutto a terra.

La situazione è delicata; i figli di Clara hanno bisogno di soldi e la incalzano affinché accetti. Ma niente, a una donna di siffatta pasta è difficile far cambiare idea; troppi ricordi in quella casa, o più semplicemente non ritiene più sia il tempo di fare qualcosa perché costretta.

Il film di Kleber Mendonça Filho si confronta con l’incombere di quella stagione della vita che sa di epilogo, al quale la nostra epoca ci conduce sempre meno preparati. Tutti e tre i capitoli di cui è composto Aquarius rappresentano un vero e proprio studio sul personaggio di Clara, nel suo costante opporsi con tutte le forze non tanto all’inevitabile invecchiamento, quanto ai cambiamenti spiacevoli che questo passaggio potrebbe comportare. Atteggiamento criticabile quanto si vuole, ma bisogna vedere con quanta signorilità, quanta dignità Clara porta avanti questa sua piccola grande battaglia.

Non muoversi dall’Aquarius diventa perciò uno di quelli obiettivi di per sé aleatori ma che assumono tutto il senso di questo mondo in quei frangenti della vita in cui ogni sfida è un banco di prova esistenziale; e così è per la nostra protagonista. Frustrata anche su altri fronti, come quello sessuale, con le sue amiche che non fanno altro che vantarsi dei loro giovani fidanzati, delle loro scappatelle, mentre lei fatica a capire che ragione vi sia nel pagare qualcuno per scopare, bella e piacente com’è: cambierà idea pure su questo.

Aquarius ci mette un po’ a carburare, proprio in funzione del fatto che è tutto concentrato sulla sua protagonista: c’è perciò bisogno di tempo per prendere confidenza, inquadrarla, capire come si muove. Quando però si è riusciti a stabilire un contatto, non si riesce a staccarle gli occhi di dosso, ed ogni singolo episodio che la vede coinvolta c’interessa davvero. Mendonça Filho assesta due, tre scene notevoli, come l’accesa riunione di famiglia a metà film, importante da più punti di vista, ma soprattutto il finale, che è aperto ma al contempo inatteso.

Inutile negarlo, Aquarius è Sonia Braga e la Braga è il film; la sua eleganza, la sua femminilità riempiono lo schermo e ci fanno dimenticare certi potenziali limiti, come il ritmo sin troppo cadenzato. Il suo appartamento è il suo spazio vitale, che quindi la rispecchia e che per questo non vuole affatto lasciare. Dove altro ascolterebbe, con lo stesso trasporto, quel brano dei suoi amati Queen sennò?

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”8″ layout=”left”]

Aquarius (Brasile, 2016) di Kleber Mendonça Filho. Con Sonia Braga, Jeff Rosick, Irandhir Santos, Maeve Jinkings, Julia Bernat, Carla Ribas, Fernando Teixeira, Rubens Santos e Humberto Carrão

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