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Venezia 2016: Sam Mendes, ottima scelta di Barbera per la presidenza della giuria

Il regista inglese, in origine venuto dal teatro, sa dare un sapore nuovo al cinema: è un creativo e non un storyteller…

pubblicato 29 Agosto 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 06:20

Sam Mendes è uno che non ha avuto fretta, ha costruito passo passo una carriera prestigiosa, prima della quale si è occupato di arte contemporanea anche per il Guggenheim Museum, passando poi al teatro con grandi attori; e quindi fiorendo con un film che ha fatto strada, cinque Oscar: America Beauty.

Sam è un uomo ancora giovane, è del 1965, e non si lascia incantare dalle mode. La moda, ad esempio, del “raccontatore di storie”, storyteller, che è stata inventata e varata dalla pubblicità al solo scopo di inventare percorsi diretti alla realizzazione “del prodotto sempre commerciale “, finalizzando la possibilità di assumere una tecnica neutra (gonfia di pillole emotive) per risolvere tutti gli aspetti creativi. Questa moda ha vinto ma si è esaurita. Propone schemi svuotati e malinconicamente ripetitivi, anche se è a caccia di spassoso entertainment. E’ una vittoria di Pirro, i risultati sono bassi e fissi, e vagano ovunque come fantasmi, soprattutto nei supermercati.

Come piacerebbe agli affaristi del cinema traslocare sullo schermo le formule delle grandi mediocri ditte del commercio al dettaglio!

Cose sfibrate. Mendes ha dimostrato che la strada è un altra. In American Beauty, chiamato da Steven Spielberg, affascinato dalla messa in scena di Cabaret, spettacolo che viene dal bel film di Bob Fosse, Mendes dà subito la dimostrazione che il produttore attivo (e cioè non colui che fa il cassiere al botteghino) è meglio, molto meglio dei bottegai: Mendes è stato scelto e ha dato prova di raziocinio, di vedute, attenzione e penetrazione visiva della crisi profonda della società consumista americana, con alcune scene clamorosamente riuscite.

Ad esempio, quella del maturo Kevin Spacey che si nutre con gli occhi del desiderio della rose rosse, le american beauty, su cui si adagia la fanciulla dei suoi sogni: l’ amica della figlia adolescente che sta mettendo da parte i dollari per rifarsi le tette che sono più che belle, e chiede allo specchio il responso del suo sogno, mente i sogni d’amore con i ragazzi sono una frana. Sogni subito fradici.

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Magnifico anche il film Era mio padre, ovvero un padre come istruttore-assassino delle speranze di vita in un giovanissimo nella società che arma tutti per renderli criminali, ieri, oggi e domani (?).

In entrambi i lavori, lo stile non è tutto, ma è molto e non maschera, anzi cerca e trova la strada per narrare cosa scorre nelle vene di una società di massa in cui il dollaro, il guadagno intasa il sangue e lo ingrossa fino ad esplodere, come il colesterolo.

Sam è un saggio ed è stato saggio, da parte di Barbera, l’averlo chiamato. Barbera si rende conto da tempo che serve più di una scossa. I festival, che piacciono a Sam, sono, o meglio, possono essere i luoghi del lavoro creativo (ed espositivo) e non solo la fabbrichetta di premi e premiucci.

La prospettiva di Venezia è questa. Lo si capisce. Non tutti però capiscono, nè tra i critici, nè tra i produttori, nè tra gli addetti. Il gregarismo nel cinema non ha mai pagato. Specie nel nostro cinema. Ma serve pazienza e coraggio. E’ bello, quest’anno, se le primavere matureranno a pochi sgoccioli dall’autunno, da qualche anno la stagione preferita dalle generazioni che non riescono ad essere alternative a quelle precedenti. Forza, suonala nuova, Sam… E speriamo che nel mazzo dei film salti fuori qualche impresa valida in sè, e non come appartenenza regionale o nazionale.