Home Recensioni Venezia 2016, American Anarchist: recensione del documentario di Charlie Siskel

Venezia 2016, American Anarchist: recensione del documentario di Charlie Siskel

Festival di Venezia 2016: la struggente parabola di William Powell, autore di The Anarchist Cookbook, il libro che dopo averlo reso provvisoriamente famoso lo ha tormentato per tutta la sua esistenza

pubblicato 2 Settembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 06:13

Nel 1971 fece scalpore il caso di William Powell, un giovane di 19 anni in rotta col mondo che, in preda ad una sorta di radicale rifiuto delle istituzioni e tutto ciò che vi orbitava attorno, tirò fuori un libro destinato ad un aberrante successo. Il titolo è The Anarchist Cookbook, un libro di ricette per aspiranti rivoluzionari, ai quali viene illustrato come fabbricarsi da sé per lo più esplosivi, ma anche armi, quali strategie adottare contro militari e affini, et cetera. In generale si tratta pure di un manifesto, vomitato da un ragazzino piuttosto dotato, capace di scrivere e veicolare la rabbia e la frustrazione di un periodo delicato della sua vita.

Charlie Siskel va direttamente alla fonte, senza fare il giro largo: chi è William Powell dopo anni dalla prima pubblicazione di quel libro? La domanda non solo è lecita, ma per certi versi importante; il libro in questione è infatti collegato a svariate delle stragi di commesse per lo più da adolescenti negli Stati Uniti, da Columbine ad Aurora. Il regista del notevole Alla ricerca di Vivian Maier è lapidario, non indora la pillola ed incalza Powell con domande scomode. American Anarchist è un pezzo di giornalismo, ossia quello che prende la realtà di petto e tocca i tasti giusti. Certo, si potrebbe avere da ridire su un certo cinismo, che Siskel non ha remore nel mostrare, quasi che Powell fosse sotto processo.

Lo vediamo lì, balbettante, muto, con gli occhi sgranati, quest’uomo che oramai non rappresenta nemmeno l’ombra del provvisorio scrittore di successo che fu, incalzato da questi tremendi quesiti e da un’inquadratura che fa avanti e indietro come se lo stesse soffocando. «Cosa le passava per la testa?», oppure, «Si sente responsabile per aver aizzato tutti quei ragazzi a commettere atrocità del genere?» ed altre dal simile, affilato tenore. Non manca il consueto materiale di repertorio, ma i momenti più pesanti, in alcuni casi crudeli, stanno proprio in quello sguardo, sperduto, tutto d’un tratto disperato. L’imputato prova a fabbricare delle risposte ponderate, ma per l’appunto posticce; quando si rende però conto, da persona estremamente intelligente qual è, che l’unico di cui si sta facendo beffe è sé stesso, allora il registro cambia in maniera diametralmente opposta.

American Anarchist riassume la tragedia di un uomo caduto vittima del più classico dei meccanismi psichici di autodifesa, a cavallo tra la rimozione e soprattutto la dissonanza cognitiva. Ripercorrendo i periodi in cui ancora percepiva i proventi per i diritti del libro (infine venduti allo scaltro editore per diecimila dollari), quelli in cui cominciò a viaggiare per il mondo grazie al suo lavoro (Powell era professore ed aiutava i ragazzini con deficit d’attenzione) ma pur sempre come nomade che cercava di scappare dal suo Paese, oppure quegli altri in cui venne a conoscenza del fatto che il suo libro, a distanza di decenni, stesse ancora vendendo bene, Powell rimette tutto in discussione. Ad un certo punto Siskel gli chiede se abbia o meno una vaga idea di quanti ragazzi che hanno commesso stragi fossero venuti a contatto col suo libro; in un primo momento la risposta è che aveva smesso di leggere giornali o vedere le notizie in TV, dopodiché ammette di essere venuto a conoscenza di qualcosa, come il caso eclatante di Columbine.

Ma non è che la fase iniziale di un processo. Lo stesso che si consuma sotto i nostri occhi, mentre assistiamo ad una orribile presa di coscienza, uno scontro frontale che Powell aveva attentamente evitato nel corso di tutti questi anni. Basta menzogne, basta incertezze: non è più sufficiente ripetersi che, malgrado tutto, non fu lui a compiere materialmente quei delitti. Ed è come se parlasse davanti a uno specchio, non più con un intervistatore; ciò a cui Siskel sottopone il suo intervistato assume i contorni di una tortura, anche per lo spettatore, sebbene in misura chiaramente più blanda rispetto a quanto sperimentato dall’uomo che ha di fronte.

A posteriori ci si sente addirittura un po’ in colpa per aver riso o sorriso in quei frangenti in cui Powell minimizza in maniera francamente grottesca, perché fino a quel punto non si è ancora capito bene cos’abbia passato. In tal senso Siskel è estremamente abile, riuscendo a fare di una tremenda testimonianza un vero e proprio racconto, che si snoda come fosse un serrato thriller di finzione. Ce lo si beve così, tutto d’un fiato, American Anarchist. Misurato nel sondare non solo il caso singolo ma a tracciare anche dei possibili punti di contatto con il fenomeno più ampio dei tanti ragazzi che da quarant’anni a questa parte maturano in un ambiente perverso, alienante; viene detto esplicitamente allorquando si allude alla comune mancanza di alcun senso d’appartenenza da parte di tutti questi killer precoci.

Senza chiaramente trascurare la responsabilità personale, su cui anzi il documentario batte costantemente ed in maniera assordante. D’altronde la cultura di riferimento, ossia quella americana, si fonda sul profondo senso di responsabilità circa le proprie azioni, al quale subentra peraltro la radice protestante che pure un ruolo fondamentale ha avuto nella formazione di tale cultura. William Powell, maldestramente o meno, proprio da tutto ciò ha cercato di scappare: da un mondo che non conosce assoluzione e che ti rinfaccia vita natural durante le tue miserie, come peraltro fa Siskel nella sua intervista. E quanto tutto ciò fosse vero potrebbe essere testimoniato dalla morte naturale ma improvvisa di Powell, avvenuta a Luglio di quest’anno, poco tempo dopo l’incontro con Siskel. Il defunto ebbe però il tempo di lasciarci un’ultima massima, quanto mai attuale, pregna di quella saggezza acquisita nel tempo: «a quell’età facciamo tutti delle stronzate: la differenza è che la mia fu pubblicata».

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”8″ layout=”left”]

American Anarchist (USA, 2016) di Charlie Siskel. Con William Powell. Fuori Concorso