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Venezia 2016, One More Time With Feeling 3D: recensione del documentario su Nick Cave

Festival di Venezia 2016: Andrew Dominik ci racconta Nick Cave da una prospettiva curiosa, pacata, al fine di dar ragione non solo del Cave uomo ma ancor di più del poeta

pubblicato 5 Settembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 06:06

«Non so nemmeno cosa ci faccio davanti a questa telecamera. Voglio dire, tempo fa per me una cosa del genere sarebbe stata impensabile». One More Time With Feeling 3D è uno di quei progetti ai quali non serve fare granché. Non quando il protagonista è uno come Nick Cave, uno che incarna in sé stesso un soggetto cinematografico.

Il cantautore australiano si racconta, finché può, fin dove vuole, senza farsi vincolare da domande o curiosità che spesso non centrano il nocciolo della questione. Qual è qui il nocciolo? Cave è uno tra i più eminenti cantori di un mondo senza Dio, e questo documentario di Andrew Dominik conferma quella che è più di una mera impressione. A poco tempo dalla morte del figlio quindicenne, l’artista non si limita a parlare di musica ma di qualunque argomento su cui abbia qualcosa da dire.

Non si conosce mai davvero l’uomo, men che meno attraverso uno schermo, eppure Nick Cave è uno di quei personaggi che recano in viso un’inquietudine costante, una sensibilità alla vita che in fondo ci accomuna tutti ma che in pochi è così pronunciata. Perché la musica? Perché quei testi? Perché sua moglie Susie? La vita è tutte queste cose ed altre ancora, molte delle quali non si capiscono né molto probabilmente mai si capiranno. Tutto questo racconta Cave, mesto, attraverso le sue canzoni.

Con un bianco e nero elegante e quel 3D che vorrebbe suo malgrado dar spessore, consistenza ad episodi e situazioni più voluminose delle due dimensioni. Il microfono è il suo e Cave un po’ canta un po’ discute, cercando di pesare ogni parola poiché, come tiene a precisare, lui venera le parole. Tutto si regge sulla nostra capacità di scambiarci pensieri, di mettere insieme frasi di senso più o meno compiuto, anche quando il senso che conta sta altrove.

One More Time With Feeling 3D potrebbe benissimo entrare a far parte della sua opera al pari di un brano o forse un disco, dato che dentro ci troviamo le stesse cose a cui Cave allude nelle sue canzoni. Ed anche se volessimo strappare una qualche lezione, un consiglio, non è detto che sia possibile, perché l’indisciplinata testimonianza di questo documentario ci dice che la vita è quella cosa dinanzi alla quale si è nudi, soli, e che vuoi o non vuoi devi abituarti all’idea che le risposte che cerchi non verranno da fuori.

Il che non invalida il lavoro di Dominik ma gli conferisce un diverso valore piuttosto. Lui, il regista, dal canto suo cerca di non intromettersi troppo, inseguendo pianosequenza “impossibili” così come certe inquadrature che sembrano voler fendere qualunque cosa, entrandoci se possibile, perché vuole farle proprie e trasmetterle. Il 3D, almeno nelle intenzioni, doveva (dovrebbe?) essere questa cosa qui: acuire il senso di corporeità dell’immagine, che in realtà non è mai solo un’immagine. Aggiungere carne ad una vicenda, un luogo, un volto, un corpo, non per dirci che sta tutto lì bensì l’esatto contrario: tutto ciò rimanda ad altro.

Nick Cave traduce in note e parole la nostalgia di questo “altro”, una dimensione, se così si può definire, che continua a sfuggirgli da sempre, tanto che oramai con tale assenza, tale mancanza, ha dovuto imparare a conviverci. Lo fa componendo, cantando, improvvisando qualche sonetto qua e là, perché questo è ciò che riesce meglio al poeta, il quale in fondo non deve preoccuparsi di fare altro. Questa è la sua vocazione.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]

One More Time With Feeling 3D (Nick Cave – One More Time With Feeling, USA, 2016) di Andrew Dominik. Con Nick Cave. Nelle nostre sale da martedì 27 settembre. Fuori Concorso