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La pelle dell’orso: trailer con Marco Paolini e la grande bestia

Marco Paolini indossa sguardi e silenzi di un piccolo uomo alle prese con la grande bestia, nell’insolito esordio alla regia di Marco Segato

di cuttv
pubblicato 19 Ottobre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 04:48

La dialettica di Marco Paolini, capace di dar anima alla storia più aspra e indigesta, cede agli sguardi e ai silenzi della montagna, della sfumature più ruvide della natura umana e del rapporto tra un padre e un figlio, spingendosi fin dentro al bosco e il grande schermo con La pelle dell’Orso di Marco Segato.

La regia dell’esordiente Segato, mette a frutto la luce, i colori e i paesaggi dolomitici della Val di Zoldo, portando al cinema la storia sceneggiata insieme a Enzo Monteleone e lo stesso Marco Paolini, partendo dall’omonimo romanzo di Matteo Righetto edito da Ugo Guanda Editore.

Anni Cinquanta. In un villaggio nel cuore delle Dolomiti vivono Domenico, un ragazzino sveglio ma introverso, e il padre Pietro, un uomo consumato dalla solitudine e dal vino, che per campare lavora alle dipendenze di Crepaz. Il rapporto tra padre e figlio è aspro e difficile, i lunghi silenzi li hanno trasformati in due estranei.

Una notte la tranquillità della valle viene minacciata dal diaol, il diavolo, un orso vecchio e feroce che ammazza una vacca dentro una stalla. La comunità è in preda a un terrore superstizioso e non ha la forza di reagire. Una sera all’osteria in uno scatto d’orgoglio, Pietro lancia una sfida a Crepaz: ammazzerà l’orso in cambio di denaro. La sfida viene raccolta tra le risate e lo scetticismo generale.

È l’occasione che Pietro aspettava da tempo, il mattino dopo, senza dir nulla a nessuno parte per la caccia. Domenico lo viene a sapere e decide di seguirlo. A sua volta abbandonerà la sicurezza del paese per avventurarsi verso l’ignoto. Padre e figlio si immergono nei boschi, sempre più a fondo, fino ad esserne inevitabilmente trasformati. A poco a poco si riavvicinano, si riconoscono e il muro che li separava si sgretola nell’immensità della natura.

Il film è prodotto da Jolefilm con Rai Cinema, il contributo del MiBACT e il sostegno della Regione Veneto, in associazione con De Rigo Vision, Credito Valtellinese, Tasci, Destro Flavio, Orsoni Davide, Guido Maria Brera.

Dopo un piccolo tour di festival internazionali e aver conquistato il Grand Prix Fiction, del Prix Cicae, e del Prix Annecy Cinéma Haute-Savoie (Prix remis par le Conseil départemental) al Festival Annecy Cinéma Italien 2016, La pelle dell’orso arriva in sala a partire dal prossimo 3 novembre, distribuito da Parthénos.

La pelle dell’orso: Note di regia

Mentre leggevo La pelle dell’orso, il libro di Matteo Righetto da cui il film è stato tratto, ho subito pensato di aver trovato il soggetto ideale per raccontare la “mia storia”, quella di un viaggio al contempo fisico e spirituale, un’esperienza iniziatica per il giovane protagonista che lo spinge a riavvicinarsi al padre dopo anni di silenzi amplificati dall’assenza della madre e dalla vita dura di montagna. Rispetto al libro volevo disegnare un mondo più duro e complesso, e trovare un equilibrio tra il racconto di genere, le suggestioni fantastiche e l’intimità di un rapporto difficile tra padre e figlio. È nata così la sceneggiatura, scritta insieme a Enzo Monteleone e a Marco Paolini.
Il film racconta la grandezza del piccolo uomo mentre affronta la grande bestia, il superamento di quella linea d’ombra che segna l’uscita dell’uomo dall’età dell’innocenza per entrare in quella delle grandi sfide contro i mostri della natura e dello spirito. Oltrepassi la linea e non sei più lo stesso. E così sarà per Domenico. Le prove della vita non si superano senza coraggio, il coraggio per combattere non solo l’orso ma anche il dolore per una perdita e la paura del futuro. Temi e strutture presenti nei grandi romanzi americani, da Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain ai racconti di Ernest Hemingway e Jack London. A questi riferimenti si sovrappone l’epos antispettacolare dei racconti e dei romanzi di Mario Rigoni Stern, una lezione importante soprattutto per la descrizione dei boschi, delle montagne e delle vite degli uomini che li abitano. Uno stile che si sofferma sulla contemplazione della natura, sui piccoli gesti, sui momenti sospesi, attento alle vite degli uomini semplici e alla loro relazione con il mondo contadino.
Era mia intenzione fare un film che esplorasse le regole del “genere” senza però rimanerne schiacciato. Ne è uscito un film molto personale, intimo ed essenziale, nell’osservare da vicino gli stati d’animo dei protagonisti e il loro conflitto. Una fiaba nera ancorata alla realtà, dove il realismo della vicenda viene spinto al limite fino a sfiorare il fantastico. Come per l’orso, elemento quasi soprannaturale, che nella storia incarna tutte le paure più ancestrali. Il bosco quindi è il luogo centrale dello scontroincontro tra padre e figlio, tra Domenico e el Diàol. Qui è la natura a imporre le proprie regole e gli uomini sono costretti a rispettarle.
Fin da subito ho pensato a Marco Paolini nel ruolo del padre e lui ha accettato una doppia sfida: quella di mettersi nelle mani di un regista esordiente e quella di indossare una maschera inedita, da costruire con silenzi e sguardi, in un film un po’ anomalo per i canoni del cinema italiano.

Marco Segato

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