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Roma 2016, 7 minuti di Michele Placido: Recensione in Anteprima

Voi quali diritti sareste disposti a cedere per mantenere il posto di lavoro?

pubblicato 22 Ottobre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 04:42

Dopo aver girato in lungo e in largo l’Italia per oltre due anni, 7 minuti, testo teatrale di Stefano Massini, è diventato cinema con Michele Placido alla regia e un cast di grido tutto al femminile. A guidarlo Ottavia Piccolo, presente anche all’interno della piéce, seguita dall’esordiente Fiorella Mannoia, Maria Nazionale, Cristiana Capotondi, Violante Placido, Clémence Poésy, Sabine Timoteo, Anne Consigny e un’inedita Ambra Angiolini, di nuovo sul set con Placido un anno dopo La Scelta.

Liberamente ispirato a una storia realmente accaduta in Francia, a Yssingeaux, 7 minuti vede Placido tornare ad un cinema d’impegno sociale, trattando un tema quanto mai attuale. I proprietari di un’azienda tessile italiana cedono la maggioranza della proprietà ad un gruppo francese. Le oltre 300 operaie della fabbrica temono licenziamenti in massa, se non la chiusura dell’impianto, con annesso incubo cassa integrazione. Ma a sorpresa, dalle stanze del potere, giunge un inatteso ramoscello d’ulivo: niente esuberi, tutte le operaie manterranno il loro posto. Ma ad una condizione. Ovvero ridurre la pausa pranzo giornaliera da 15 ad 8 minuti. Sette minuti in meno di libertà per le dipendenti e 7 minuti di lavoro in più per l’azienda. 11 donne, in rappresentanza dell’intera fabbrica, devono decidere se accettare o meno l’accordo, solo apparentemente ‘digeribile’. Perché dietro quei ‘soli’ 7 minuti c’è un mondo di diritti da difendere, a costo di perdere tutto.

Si è dichiaratamente ispirato a La parola ai giurati di Sidney Lumet, Michele Placido, nel costruire questo ‘thriller sindacale’ in cui minuto dopo minuto gli animi tendono ad accendersi, portando donne, madri e figlie allo scontro frontale. Perché sulle loro spalle ci sono altre 300 persone, che attendono per ore ed ore il responso finale dall’interno della fabbrica. Però tarda ad arrivare, questo voto apparentemente scontato. D’altronde cosa saranno mai sette minuti di lavoro in più dinanzi al rischio del licenziamento?

Stefano Massini, autore del testo teatrale e qui co-sceneggiatore insieme al regista, tocca corde sensibili e tematiche quasi senza tempo nel portare avanti il dibattito che queste diversissime donne, ognuna con la propria storia e i propri bisogni, affronteranno con crescente disperazione. Cosa saremmo disposti a fare, pur di non perdere il lavoro? Cosa saremmo disposti a cedere, soprattutto, per mantenere lo stipendio?

Queste le domande principali che aleggiano nella stanzetta che accoglie la votazione, mentre il tempo scorre e i dubbi, inizialmente sbandierati da un’unica donna su 11, aumentano sempre più, diffondendosi a macchia d’olio. Quei 7 minuti, infatti, andrebbero passati al moltiplicatore, ovvero al numero di impiegate per tutti i turni e tutti i giorni dell’anno. Totale: 900 ore di lavoro in più al mese per i nuovi proprietari. Gratis. E se dinanzi a questa mano d’opera non retribuita seguissero licenziamenti, visto l’esubero lavorativo? E se dopo aver imposto i 7 minuti in meno arrivassero altre richieste? 30 anni prima, nella stessa fabbrica, la pausa pranzo era di 45 minuti. Poi diventati 30, 15, ed ora, teoricamente, di appena 8.

In un crescendo tensivo che funziona, anche se contraddistinto da una retorica di fondo che a lungo andare frena la pellicola, Placido affronta con coraggio un argomento difficile eppure maledettamente concreto, dinanzi all’infinita crisi economica che da anni stiamo affrontando. Nel farlo, però, scivola pesantemente sulle lavoratrici straniere, di fatto disposte a qualsiasi concessione pur di lavorare perché in arrivo da Paesi in cui i diritti dei lavoratori a malapena esistono (una brutta immagine), e straborda nei toni utilizzati, a lunto gratuitamente esagerati (le sfuriate di Bianca, le urla di Angela, la caduta al rallenty di Marianna, la fede di Micaela).

Si grida tanto, troppo, così come si perde la testa con eccessiva facilità, tra queste 11 operaie che vedono una sorprendente Fiorella Mannoia negli inusuali abiti d’attrice. E’ brava ma soprattutto credibile, la cantante, qui madre di una Cristiana Capotondi incinta e per una volta stranamente pacata. Al loro fianco una saggia e ineccepibile Ottavia Piccolo, una Maria Nazionale imbavagliata nel cliché dell’aggressiva e sguagliata donna campana con figli a carico e marito disoccupato, un’Ambra Angiolini spropositata nel vestire i rozzi abiti di una 35enne truce e dall’insulto facile e un’invalida Violante Placido assolutamente inverosimile con frezza bianca e carrozzina. Tra le meno famose spazio ad una donna rumena con marito violento, ad un’africana immigrata, ad una ventenne neoassunta e ad un’albanese molestata sul posto di lavoro da uno dei tre vecchi proprietari della fabbrica, ormai arrivata ad un passo dalla cessione. Un gruppo di donne in rappresentanza dell’intera Italia femminile, quello delineato da Placido e Massini, incapaci di andare oltre un certo tipo di strillata retorica nell’affrontare un simile dibattito, solo due anni fa, per dire, egregiamente e molto più pacatamente raccontato dai fratelli Dardenne con Due giorni, una notte. Senza perderne la devastante drammaticità.

7 minuti a prima vista facilmente digeribili, eppure chiara rappresentanza di una prima concessione dalla quale sarà impossibile tornare indietro, quelli che Placido tramuta in esasperato dibattito sociale, prendendo di petto la dignità che qualsiasi lavoratore dovrebbe ergere ad inattaccabile monolite.

[rating title=”Voto di Federico” value=”5.5″ layout=”left”]

7 minuti (drammatico, 2016, Italia) di Michele Placido; con Ambra Angiolini, Fiorella Mannoia, Maria Nazionale, Ottavia Piccolo, Cristiana Capotondi, Violante Placido, Clémence Poésy, Sabine Timoteo, Anne Consigny – uscita giovedì 3 novembre 2016.