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Quel bravo ragazzo: recensione del film con Herbert Ballerina

Anche per Herbert Ballerina (al secolo Luigi Luciano) è tempo di testarsi sul grande schermo. Troppo strette le maglie del cinema però, ed infatti Quel bravo ragazzo è un ibrido che vive delle poche intuizioni del suo protagonista

pubblicato 14 Novembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 04:09

Un boss mafioso sta morendo ma il suo fedele avvocato trova il figlio che non ha mai conosciuto, Leone (Herbert Ballerina), trentacinquenne di buon cuore, cresciuto in un orfanotrofio e poi nella parrocchia locale. Il capo, seppur moribondo, vuole a tutti i costi conoscere il giovane, al quale peraltro vuole affidare le redini dell’intera organizzazione. E malgrado tutto è proprio così che andrà, da imbranato senza arte né parte a boss della malavita, Leone fa il salto.

Manca solo Ivo Avido, verrebbe da dire. Anni sono trascorsi da quando Maccio ed i suoi amici/colleghi improvvisavano quei trailer portatori di una nuova comicità, che in poco tempo fece breccia. Non solo la Gialappa’s, anche altri colsero il potenziale del comico abruzzese, che si accompagnava ad un altro personaggio non meno amato. Herbert Ballerina è lo pseudonimo di Luigi Luciano, diventato famoso grazie ad uno dei lavori più riusciti del duo, ossia L’uomo che usciva la gente. Da allora tanti successi in rete.

Con Quel bravo ragazzo, chiaro riferimento al film di Scorsese, lo scoglio a priori era uno, lo stesso che ci si trova davanti tutte le volte che un comico emerso su altre piattaforme tenta il salto: può questo tipo di comicità tenere in piedi un intero lungometraggio? Se pensate che con Checco Zalone ci abbiamo messo non meno di tre film e tanti ma tanti soldi incassati prima di comprendere senza pregiudizi la portata del fenomeno, figurarsi fino a che punto si sia disposti a comprenderne uno di portata ben più modesta come questo. Sgombriamo perciò il campo da possibili fraintendimenti: no, purtroppo la verve di Herbert non è sufficiente a reggere il film.

Al comico di Campobasso va riconosciuto di essere riuscito a mantenere tutto sommato integro il suo personaggio, un simpatico «coglione» (cit.) qui caduto nel più classico degli equivoci da cui, da maldestro ma innocente qual è, ne esce immacolato. Maccio e lo stesso Herbert probabilmente si farebbero una risata leggendo queste righe, ma ciò che manca al secondo è proprio il carisma del primo; Ballerina è infatti un ottimo comprimario, perfetto per i ruoli da spalla di Capatonda: altro è quando la scena è tutta sua. E in Quel bravo ragazzo lo è, lui è chiamato a sobbarcarsi l’onere della risata, dello sketch riuscito, dell’intreccio che fa sorridere. Gli altri, anche laddove attori navigati, come il sempreverde Toni Sperandeo, non possono che limitarsi a rendere credibile il contorno.

Herbert è una maschera che ha un suo perché, ed il comico che la indossa ne ha oramai assunto i tratti, le movenze, i tic; a suo modo questa maschera ha qualcosa da dire, rappresentando una parte della sua generazione, di cui esaspera certi tratti. Tuttavia tanto Maccio quanto Zalone stanno altrove, e al di là di certe facce davanti alle quali la risata parte in automatico, non vengono costruite situazioni che, pur nella loro assurdità, riescano a far riflettere. Certo, Quel bravo ragazzo resta pur sempre un film che cavalca l’assurdo, il nonsense di certa fortunata comicità, ed infatti le intuizioni più felici sono quelle totalmente slegate da tutto il resto, come l’irrompere del verso dell’elefante; ma le maglie del cinema sono strette, dando adito ad un ibrido.

Si è voluti andare sul sicuro con questa storia rodata del giovane che eredita una fortuna ma che è altresì inadatto al ruolo, tanto che, dato l’ambiente, tutti vogliono farlo fuori pur non riuscendoci, sulla falsa riga degli stilizzati episodi della Pantera Rosa. Ed il tenore garbato in un certo qual modo tende a mitigare i parecchi limiti di un film che fa troppo affidamento sulla verve di un personaggio la cui sovraesposizione rema contro. In qualche misura è applicabile anche ad Herbert Ballerina quanto ebbe modo di dire Canova su Zalone: la sua è una comicità del tutto inserita nell’epoca in cui ci troviamo, in cui a vincere non sono i comici verticali, quelli che ridono degli altri, bensì quelli orizzontali, la cui comicità parte insomma dal ridere di sé stessi.

Luigi Luciano, come già accennato, qualcosa rappresenta, ma qualunque cosa sia comincia da sé stesso, ci mette la faccia, quell’espressione spaesata, talvolta da ebete, e già così fa metà del lavoro. Tuttavia gli manca la “cattiveria” di Marcello Macchia, oltre che la genialità, mentre rispetto ad un come Zalone, visto che lo abbiamo chiamato in causa, resta troppo indietro non solo per capacità ma anche perché essenzialmente di un’altra generazione, quella più incline al nonsense che alla satira, alla critica ragionata seppure filtrata attraverso l’idiozia. Vizi, se vogliamo, che si ripercuotono notevolmente sulla resa di Quel bravo ragazzo, poco più che una vetrina per il nostro, che al cinema può senz’altro trovare un suo spazio, purché da comprimario, nei tempi e nei modi possibilmente studiati insieme all’amico Maccio.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]

Quel bravo ragazzo (Italia, 2016) di Enrico Lando. Con Luigi Luciano, Tony Sperandeo, Enrico Lo Verso, Ninni Bruschetta, Daniela Virgilio, Mario Pupella, Marcello Macchia, Beniamino Marcone, Ernesto Mahieux, Giampaolo Morelli, Luigi Maria Burruano, Jordi Mollà ed Enrico Venti. Nelle nostre sale da giovedì 17 novembre.