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Berlino 2017: Golden Exits – recensione del film di Alex Ross Perry

Più sofisticato, per certi versi pure più colto rispetto ai due film precedenti, Alex Ross Perry torna a raccontare una delle tante storie possibili a New York, ancora una volta con dei personaggi a cui è difficile resistere

pubblicato 12 Febbraio 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 01:50

Quando Naomi (Emily Browning) arriva a Brooklyn è come se un marziano fosse atterrato sul nostro pianeta, mentre invece la giovane e bella ragazza è venuta dall’Australia per seguire un progetto della durata di sei mesi. Ad offrirgli questa opportunità è Nick (Adam Horovitz), un archivista a cui può tornare utile il contributo di un’altra persona in mezzo a tutto quel materiale. Per Naomi si tratta però anche di un’occasione per ritrovare una sua vecchia fiamma, Buddy (Jason Schwartzman), di cui un tempo era invaghita, quando entrambi erano ancora dei ragazzini. Sia Nick che Buddy sono sposati, rispettivamente con Alyssa (un’ottima Chloe Sevigny) e Jess (Analeigh Tipton, nerdizzata per l’occasione), elemento pregnante in Golden Exits.

Con questo suo ultimo lavoro di Alex Ross Perry non cessa di flirtare con certo cinema verso il quale nutre non solo interesse ma una vera e propria passione; anzitutto Woody Allen, che è un po’ ritorno, ma anche Bergman ed il Pasolini di Teorema. Volendo, c’è pure qualcosa di Éric Rohmer, proprio nel modo in cui Perry consente alle varie coppie, reali e immaginarie, d’incontrarsi/scontrarsi. Il punto è che Naomi è una bomba, la cui deflagrazione investe chiunque le stia nemmeno troppo vicino. La Browning ha il viso adatto, l’atteggiamento appropriato di colei a cui piace giocare, manipolatrice ma non troppo; sa di esercitare un particolare fascino sugli uomini e non lesina di ricorrere a tale presa per ottenere anche solo il minore dei benefici, fosse questa un’uscita per bere qualcosa o un po’ di flessibilità sul lavoro.

Perry, come suo solito, dirige benissimo, e tra i registi indipendenti americani è uno di quelli che muove meglio la macchina da presa, a ‘sto giro ancora più statica del solito, non senza ragione peraltro. È che il modo che ha di raccontare storie è proprio elegante, e malgrado lui stesso abbia recentemente ridimensionato questa sua ultima fatica, Golden Exits, al contrario, conferma l’abilità del nostro a lavorare, e bene, con davvero poco. Non solo in termini di budget: è proprio il suo cinema a prestarsi ad un tipo di trattamento che non abbisogna di troppi elementi, essendo la scrittura prioritaria e probabilmente concepita a priori con l’idea di dover essere girata nella maniera più asciutta possibile.

I suoi protagonisti ancora una volta sono poco più che trentenni, fino ai primi 40, alle prese con problemi ordinari, e l’amore non è che un pretesto per tirare fuori l’incertezza, la mancata autenticità di questa generazione confusa, che cerca di barcamenarsi come può. Colpisce, di nuovo, come i meccanismi messi in atto da Perry siano complessi ma mai artefatti, non a caso si riesce a seguire senza alcun patema le vicissitudini di questo gruppo di persone le cui esistenze vengono stravolte da una signorina che viene dall’altra parte del mondo. Il loro, di mondo, si mostra invece per quello che è, ossia ovattato, “sicuro”, non per niente l’intero film si svolge entro un centinaio di metri quadrati, svariando da un interno a un altro.

Per una storia in cui ancora una volta sono per lo più le donne a farla da padrone, con i maschietti spettatori, troppo deboli rispetto alle più rocciose compagne, che vivono la presenza dell’aliena Naomi non tanto come una minaccia, una competizione, bensì come la leva che ha aperto loro uno squarcio su un mondo che credevano di conoscere quando invece si sbagliavano. Il tutto però viene volutamente e saggiamente lasciato in sospeso, con questa tensione che aleggia per l’intero film senza mai manifestarsi del tutto, che è poi ciò che più di ogni altra cosa impreziosisce Golden Exits. Questo suo fuggire ogni spiegazione o desiderio di chiarimento, d’altro canto, non corrisponderebbe ad un realtà complessa, che tocca anche l’interiorità di ciascuno dei personaggi, pur però restando ben focalizzati sulle dinamiche esterne.

Riscaldato anche da una fotografia che ha un che di nostalgico, un Super 16 la cui grana lascia filtrare molto bene la sensualità ed il mistero, componenti alle quali Perry non rinuncia affatto e fa bene. Uno si augura che, dopo due flop commerciali come Listen Up Philip e Queen of Earth, opere di per sé notevoli, al terzo giro le cose possano cambiare, ma se quelli hanno fatto fatica figurarsi un film come Golden Exits, che è pure più sofisticato e per certi versi colto. È curioso che Alex Ross Perry abbia malgrado tutto attirato addirittura la Disney, per la quale sta scrivendo il live action di Winnie the Pooh.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8.5″ layout=”left”]

Golden Exits (USA, 2017) di Alex Ross Perry. Con Emily Browning, Analeigh Tipton, Chloë Sevigny, Mary-Louise Parker, Lily Rabe, Jason Schwartzman, Adam Horovitz e Craig Butta.

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