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Berlino 2017: Spoor – recensione del film di Agnieszka Holland

La Holland gira un thriller nazivegano con mano pesante, non andando peraltro oltre la retorica

pubblicato 16 Febbraio 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 01:44

Disquisizioni di carattere astrologico; l’ex ingegnere Janina Duszejko ha una passione, anzi, una vera e propria fede nell’influsso delle stelle. Ma non è la sola cosa in cui crede fermamente. Janina è una convinta sostenitrice del fatto che la vita degli animali sia sacra almeno tanto quanto quella dell’uomo. Si capisce allora quanto possa essere difficile per lei vivere in questa piccola località di campagna dove la caccia non è soltanto mera pratica bensì tradizione, momento fondativo di una comunità intera. Ma Janina viene da fuori, e se si è trasferita nel bel mezzo di quei boschi è stato proprio per vivere maggiormente a contatto la Natura, quella con la N maiuscola. Finché uno strano omicidio non mette tutto in subbuglio.

Agnieszka Holland sa il fatto suo ed infatti gira un film affascinante non meno che disturbante, a tratti ripugnante proprio. No, non sono le immagini a contrariare, anzi, quelle sono molto belle, evocative, con queste inquadrature a volo d’uccello che offrono scorci mozzafiato e questi suadenti ancorché inutili movimenti di camera. È la veemenza con cui la Holland propone la propria tesi, che alla fine s’impone prepotentemente, senza alcun tentativo di filtrare certi messaggi, facendo passare da un setaccio di cui questo suo lavoro avrebbe senz’altro beneficiato.

E dire che in un primo momento il discorso si mantiene su dei binari accettabili poiché verosimili: Janina è certamente un tipo eccentrico, non tanto per come si relaziona ai propri amati cani, ma per la sempre più maldestra insofferenza verso l’ambiente. Da personaggio particolare muta in qualcos’altro, ma la Holland ci sottopone questo passaggio con una naturalezza oltremodo forzata, che prende il sopravvento. Troppo forte è la tentazione di scagliarsi contro ciò che non va a genio alla regista polacca, che da un certo punto in avanti perde totalmente il controllo: l’operazione a quel punto ha come obiettivo quello di giustificare una donna instabile che si trasforma in una terrorista.

C’è un ventaglio di paturnie alle quali proprio Spoor non riesce a sottrarsi, laddove comincia a disinteressarsi apertamente della storia che sta raccontando per parlare di altro, per girare uno spot, costringendo lo spettatore ad essere sensibilizzato. Non si spiega diversamente la piega che prende la trama, da quel momento segnata da episodi artificiosi, situazioni sopra le righe, a tutto vantaggio della linea più o meno immaginaria tracciata dalla Holland, ponendo i buoni da un lato e i cattivi dall’altro. Sprezzante verso la Storia e la Cultura del luogo (quello, come qualunque altro), il film decide di patteggiare per coloro che chi di dovere ha stabilito essere dalla parte della ragione, ed allora sfuma l’interesse, sfuma il coinvolgimento. A noi non resta alcuno spazio, costretti come siamo a guardare solo ed esclusivamente nel punto indicatoci e in nessun altro.

Un tempo si sarebbe parlato di propaganda, ma dato che certi termini oggi appaiono desueti, cerchiamo di essere più chiari. In tal senso Spoor qualche merito ce l’ha, perché funge da termometro circa il senso di realtà dello spettatore, al quale viene naturale o accogliere o rigettare non tanto la storia ma le discutibili modalità attraverso cui ci viene raccontata, a seconda del proprio grado di alienazione. Un banco di prova, perciò, una sorta di trappola stana-disonesti, sebbene temo si tratti di un effetto del tutto collaterale rispetto alle ambizioni della regista.

Tale e tanta è l’enfasi sulle istanze ideologiche e politiche di Spoor, che certo trattamento finisce con il ritorcervisi contro; quest’anziana donna manipolatrice che si circonda di adepti raccolti tra i cosiddetti disadattati e a conti fatti fonda una propria setta, anelando a quel paradiso in Terra che la Holland fa loro addirittura raggiungere, non dopo però essersi lasciata dietro una scia di azioni tra il turpe e l’atroce. Avesse lasciato uno spiraglio, anche solo un piccolo spazio all’ambiguo, alla possibilità perciò di leggere in più modi questa sgangherata parabola, staremmo parlando di qualcosa di ben diverso; ed invece lo sviluppo di Spoor è pressoché dogmatico, tanto che contempla in sé il rifiuto verso la sua mancata accettazione, pena l’esserne esclusi, come avviene in certe religioni.

Ed è un peccato, perché tra un’aspra critica e l’altra, ora al sesso maschile, figura negativa par excellence in Spoor, ora al cristianesimo, restando sempre nell’alveo sicuro della retorica, qualche intuizione interessante ci sarebbe pure, solo che resta soffocata. Quasi passano in sordina certe note da dark comedy in cui viene intinta La vicenda, sempre e comunque ripiegata sull’urlare un messaggio, da cui anche una certa ridondanza. Tanto che, quando fa capolino tra le nuove leve di Janina un entomologo sulla sua stessa lunghezza d’onda, viene da sorridere, salvo poi insinuarci il dubbio che la regista in realtà fosse seria in merito a tale innesto. E magari allora ci si ricorderà di Spoor come del primo thriller dichiaratamente nazivegano, ai confini col manifesto.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]

Spoor (Potok, Polonia/Germania/Repubblica Ceca/Svezia/Slovacchia, 2017) di Agnieszka Holland. Con Agnieszka Mandat-Grabka, Wiktor Zborowski, Jakub Gierszal, Patrycja Volny, Miroslav Krobot, Borys Szyc, Tomasz Kot, Andrzej Grabowski, Katarzyna Herman, Marcin Bosak, Andrzej Konopka, Sebastian Pawlak, Katarzyna Skarzanka, Zofia Wichlacz, Piotr Zurawski, Monika Anna Wojtyllo e Adam Bobik.

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