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La tenerezza: recensione in anteprima del film di Gianni Amelio

Renato Carpentieri anima e mattatore dell’ultimo film di Gianni Amelio. La tenerezza è una struggente riflessione su chi perde e chi trova la speranza, e cosa malgrado tutto unisce entrambi. Tendenzialmente datato nella forma, senza tempo nei contenuti, prendere o lasciare

pubblicato 20 Aprile 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 07:15

Con L’intrepido, lo scrivemmo a suo tempo da Venezia, Amelio ci lasciò interdetti; un cinema come il suo, così calmo, tradizionale se proprio vogliamo, in quel caso non riuscì a resistere ad un discorso così elementare su povertà, miseria e dintorni. Quasi un saggio sui tempi nostri, che dunque quasi non era cinema per via di questa soverchiante ambizione di trovare la frase ad effetto giusta, di azzoppare ulteriormente un ritratto di per sé già piuttosto sciapo. Tra questo e La tenerezza, di mezzo c’è un documentario (Felice chi è diverso), parentesi che segue il coming out del regista di origini calabresi. E che forse ha giovato soprattutto su altri fronti, quelli del ritorno ad un tenore che può fare a meno degli slogan, delle semplificazioni e colpire allo stomaco mediante una storia che procede per altre vie.

La tenerezza è la storia anzitutto di Lorenzo (Renato Carpentieri), un ex-avvocato che si è appena ripreso da un infarto e che non è in buoni rapporti con i suoi due figli, Elena (Giovanna Mezzogiorno) e Saverio (Arturo Muselli). Tornato a casa, solo, incontra la sua nuova vicina, Michela (Micaela Ramazzotti), madre e moglie un po’ smemorata che scorda sempre le chiavi a casa. Questa insignificante tara diventa un po’ la scusa per avvicinarsi, per conoscersi meglio: tra Lorenzo e la famiglia di Michela si crea infatti una sorta di sintonia, dovuta in larga parte a questo sottaciuto desiderio di farsi compagnia, comprendersi, proprio perché tutti rosi da un malessere più o meno pronunciato. Fabio (Elio Germano), marito di Michela, è un ingegnere triestino la cui instabilità si manifesta in maniera più evidente, mentre vaga per i vicoli di Napoli e per raccontarsi a Lorenzo dice che di mestiere fa quello che scelse per lui la mamma. Finché una tragedia non si abbatte sulle vite dei diretti interessati, sconvolgendone le esistenze.

Come in parte anticipato, a ‘sto giro Amelio opta per una chiave differente, più ermetica se vogliamo ma non per questo inaccessibile. Opera formalmente vetusta La tenerezza, nondimeno tale elemento consente al regista de Il ladro di bambini di lavorare piuttosto fruttuosamente sul non detto, su questa carogna che aleggia per tutto il film, per certi versi evocata a più riprese da quel brano che accompagna buona parte della vicenda. È una Napoli diversa quella fa da sfondo agli eventi, un ambiente che con la sua leggerezza non di rado innocente, la battuta semplice e diretta, funge quasi da contraltare all’opprimente cappa.

A spiccare è ad ogni modo un eccezionale Renato Carpentieri; il suo ironico, mesto ma non del tutto rassegnato Lorenzo è pressoché tutto. Nessuno più e meglio di lui incarna il sentimento o le sensazioni sui quali Amelio intende far leva, tanto che ogni cosa gli gravita attorno, un po’ per scelta deliberata un po’ perché non può essere altrimenti. Per farsi un’idea circa il peso di Carpentieri basta anche solo provare ad immaginare La tenerezza senza di lui: dramma forse competente, pure troppo, ma tendenzialmente superato nei toni e nei meccanismi, quantunque tutto sommato attuale in relazione a certi episodi in sé. D’altronde, fermo restando il tentativo prioritario di scandagliare qualcosa di universale, è pur vero che Amelio non disprezzi affatto l’idea di offrirci uno scorcio di questa Italia, quella in cui siamo immersi quotidianamente noi, non quelli che c’erano prima o ci saranno – e in tal senso la città partenopea è scelta felice, sebbene si debba a priori a Marone, autore del romanzo da cui è tratto il film.

In fondo la delicatezza di quanto osserviamo passa proprio da questo avvocatuncolo che non perdeva una causa, chissà perché chissà come, e che ora è in rotta anzitutto con sé stesso, non col mondo. Riuscendo ad essere edificante malgrado la pesantezza e la sofferenza di una situazione terribile, anziché costringerci ad approdare alle medesime conclusioni in maniera forzata (e qui torniamo a L’intrepido): c’è qualcosa di profondo che lega tutti questi personaggi, non importa fino a che punto le loro strade divergano; il loro incontro è di per sé fonte e catalizzatore rispetto a come evolvono e dove le loro strade li conducono. Ma tutto questo va inferito, bisogna accostarsi all’umanità ferita di queste persone che si trascinano, un po’ vivi un po’ morti, abbattuti, alcuni in maniera irrimediabile. È la vita. La stessa che effettivamente scorgiamo ne La tenerezza, per cui forse alla fin fine val pena assecondarne l’asciuttezza così drastica, così come la sua incombente tragicità, figlie di un’epoca e di un cinema che probabilmente manco esistono più. Eppure eccole, le vediamo ancora.

Foto | Claudio Iannone

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La tenerezza (Italia, 2017) di Gianni Amelio. Con Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti, Greta Scacchi, Renato Carpentieri, Arturo Muselli, Giuseppe Zeno, Maria Nazionale e Enzo Casertano. Nelle nostre sale da lunedì 24 aprile 2017.