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Cannes 2017: A Gentle Creature – recensione del film di Sergei Loznitsa

Festival di Cannes 2017: impietosa parabola allegorica della Russia contemporanea, A Gentle Creature si divide tra l’innegabile forse della regia di Loznitsa e la rabbia che ne mina almeno in parte il discorso

pubblicato 26 Maggio 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 05:45

La creatura gentile di cui al titolo non ha un nome ma è la protagonista, interpretata da Vasikina Makovtseva per quest’ultimo lavoro di Sergei Loznitsa, tratto dall’omonimo racconto breve di Fëdor Dostoevskij. Un racconto che il regista di origini ucraine stravolge, e c’è forse qui un primo segno rispetto alle intenzioni di Loznitsa, che dirige uno dei film più impietosi ai danni della Russia dei nostri giorni. La donna, che vive in un posto isolato, in mezzo alla foresta, un giorno riceve una notizia, ossia che il marito è stato imprigionato per aver commesso un omicidio. S’innesca qui un moloch burocratico che la porterà a dovere recarsi di persona presso questa sorta di carcere a cielo aperto che è la zona in cui a quanto pare il marito è detenuto.

Giunta in loco la situazione non fa che precipitare: il funzionario che si occupa di accettare le domande non intende prendere nemmeno in considerazione quella della protagonista, che stoicamente non si muove da lì, in attesa che qualcosa si sblocchi. Succede allora che una sconosciuta del posto avvicini la sventurata, dicendole che non risolverà nulla finché continuerà a rivolgersi alle autorità: sono altri quelli che possono realmente aiutarla. Eccola allora partecipare a questa improvvisata e chiassosa serata, in cui un tizio sboccato alterna un cicchetto ad una palpata nei seni di due giunonici esemplari di donna; vi lasciamo immaginare cosa accada quando al tavolo portano dei cetrioli sottaceto…

La donna vuole solo sapere dove sia suo marito; parla poco, è spaventata, ed avverte la viscerale ostilità del luogo. Nondimeno è ferma, risoluta, nonostante il senso di pericolo che aleggia dietro anche la più. Il film di Loznitsa riesce a trasferire questo senso di minaccia costante anche a noi: sentiamo che da un momento all’altro qualcosa di pessimo sia in procinto di accadere, ma malgrado gli inquietanti sorrisi e l’atteggiamento diffidente dei locali, non succede nulla di che. Un poliziotto cerca di convincerla che è bene tornarsene da dove è venuta, dopo averla debitamente messa al corrente del fatto che da posti come questi non si fugge e che nessuno al di fuori è tenuto a sapere alcunché; diversamente è la galera pure per lei. La donna, impaurita, decide di assecondare la richiesta ma deve ancora fare i conti con la malavita del luogo: è questa che comanda, o che per lo meno si divide il controllo del territorio con governo e militari. Ma soprattutto, come già anticipato, e da questi criminaluzzi che deve passare per ottenere ciò per cui è venuta. Perciò è costretta a restare.

A Gentle Creature è un viaggio terribile nel cuore di una Russia che da parte nostra è sempre più difficile da interpretare, per lo meno senza retorica e slogan. Loznitsa ci descrive sostanzialmente un luogo disumano, una giungla dove l’uomo si è abbassato sotto il livello degli animali. E non va per il sottile: sotto quelle sequenze giace una rabbia e un dolore davanti ai quali non si riesce a rimanere indifferenti. La critica scagliata nei confronti della società russa è implacabile, a tratti quasi irrazionale, tale è il risentimento, che infatti fa inciampare il suo autore. Si resta infatti interdetti da A Gentle Creature, che è un film di una potenza a dire il vero innegabile, proprio per i motivi che abbiamo sin qui illustrato; al tempo stesso però ci sono punti in cui ci si lascia prendere un po’ troppo la mano e la polemica si fa denuncia, spietata, non gratuita ma sospettosamente forzata.

Il confine tra allegoria e metafora è meno netto di quello che sembra, anche perché Loznitsa in alcuni frangenti ci tiene sinceramente a non essere frainteso, ed infatti non resiste alla tentazione di quella chiusa così libera, troppo, in cui tutte le istanze fin lì evocate vengono manifestate con violenza, quantunque solo verbale prima, fisica dopo. Ed è un po’ il tipo di operazione che fa il regista ucraino, adoperando la Russia contro sé stessa: prende il racconto di quello che forse è lo scrittore russo più rappresentativo e lo stravolge; gira un film quintessenzialmente russo, molto cerebrale, per poi però distruggerne la già precaria immagine.

Quello che descrive Loznitsa in A Gentle Creature è perciò un inferno, dalle dinamiche kafkiane, deprimenti e soffocanti. Labirintico, al quale è impensabile sottrarsi. Girato con maestria, basti citare un’inquadratura tra le tante in cui possiamo assistere, dall’interno di un’auto, a tre livelli distinti di azione; ed altri se ne trovano di passaggi che ci confermano l’abilità attraverso la quale ci viene raccontato quest’onirica discesa negli inferi, popolata da veri e propri diavoli. Ecco, l’asprezza dell’argomentare di Loznitsa finisce forse per ritorcerglisi un po’ contro, anche perché il suo dito è puntato contro una nazione specifica, un popolo preciso, senza alcuna velleità di approntare un discorso di portata più universale. Pare quasi che questa carrellata di mostri, tra poliziotti corrotti, magnaccia, puttane, ladri, collaborazionisti e assassini siano tali per un accidente soltanto, ossia essere russi. Con tutte le ripercussioni che un simile assunto comporta e che tendono ad indebolire un ritratto impietoso ma che una sua forza ce l’ha eccome.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6.5″ layout=”left”]

A Gentle Creature (Russia, 2017) di Sergei Loznitsa. Con Vasilina Makovtseva, Valeriu Andriuta e Sergei Kolesov. Concorso.

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