Home Curiosità 120 Battiti al minuto: trailer italiano, foto e poster del film di Robin Campillo

120 Battiti al minuto: trailer italiano, foto e poster del film di Robin Campillo

120 Battiti al minuto: video, trailer, poster, immagini e tutte le informazioni sul film drammatico di Robin Campillo nei cinema italiani dal 5 ottobre 2017.

pubblicato 3 Ottobre 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 02:53

 

Dopo la trionfale tappa all’ultimo Festival di Cannes, il 5 ottobre Teodora Film porta nei cinema italiani 120 battiti al minuto, il film diretto Robin Campillo, già sceneggiatore dei maggiori film di Laurent Cantet come La classe.

Accolto come un capolavoro a Cannes, dove ha conquistato il Grand Prix, il Premio Fipresci e la Queer Palm, il film ha colpito e commosso il presidente della giuria di Cannes, Pedro Almodóvar, che dopo la premiazione ha dichiarato: “Ho amato quel film dal primo minuto sino all’ultimo, non mi sarebbe potuto piacere di più. Campillo ha raccontato storie di eroi veri che hanno salvato molte vite”.

La vicenda del film è ambientata nella Parigi dei primi anni Novanta, dove il giovane Nathan decide di unirsi agli attivisti di Act Up, associazione pronta tutto pur di rompere il silenzio generale sull’epidemia di AIDS che sta mietendo innumerevoli vittime. Anche grazie a spettacolari azioni di protesta, Act Up guadagna sempre più visibilità, mentre Nathan inizia una relazione con Sean, uno dei militanti più radicali del movimento.

 

 

[quote layout=”big” cite=”Robin Campillo]Mi sono unito a Act Up-Paris nell’aprile del 1992. Fin dal primo incontro a cui ho partecipato, sono rimasto profondamente colpito dall’entusiasmo del gruppo, considerando che quegli anni sono stati i più duri del contagio. I gay che avevano subito inermi la malattia negli anni Ottanta, erano diventati attori chiave nella battaglia per sconfiggerla. La forza del movimento veniva dalle scintille che scoccavano tra gruppi diversi di individui che imparavano sul campo a costruire un discorso e una posizione comune al di là delle differenze. Con Philippe Mangeot, ex membro di Act Up che ha collaborato con me alla sceneggiatura, eravamo d’accordo sull’importanza di restituire innanzitutto la polifonia di voci e l’intensità delle discussioni. Oggi grazie a internet possiamo avere facilmente la sensazione di appartenere a una battaglia comune, ma questo modo di aggregarsi è difficile che prenda davvero corpo e metta radici. A quei tempi le persone dovevano unirsi fisicamente in uno spazio reale, fronteggiarsi gli uni con gli altri e confrontare le proprie idee.[/quote]

 

 

NOTE DI REGIA – GLI ANNI DELLA MILITANZA

Mi sono unito a Act Up-Paris nell’aprile del 1992, più o meno a 10 anni dall’inizio dell’epidemia di AIDS. Avevo visto un’intervista in tv a Didier Lestrade, uno dei fondatori dell’associazione, che parlava della “comunità dell’AIDS” come composta dai malati, dai loro amici o parenti più stretti e dai medici che se ne occupavano: ma queste persone, che affrontavano una terribile epidemia, soffrivano di una mancanza di sostegno e interesse da parte della società in generale. Il discorso di Lestrade rompeva un silenzio di oltre un decennio, ed è stato in quel momento che ho deciso di unirmi ad Act Up. Fin dal primo incontro a cui ho partecipato, sono rimasto profondamente colpito dall’entusiasmo del gruppo, considerando che quegli anni sono stati i più duri dell’epidemia. I gay che avevano subito inermi la malattia negli anni Ottanta, erano diventati attori chiave nella battaglia per sconfiggerla, e a loro si affiancavano altre persone come tossicodipendenti, ex carcerati, emofiliaci… La forza del movimento veniva dalle scintille che scoccavano tra gruppi diversi di individui che imparavano sul campo a costruire un discorso e una posizione comune al di là delle differenze. Personalmente, ho partecipato alla commissione medica e ho preso parte a numerose azioni, alcune delle quali hanno ispirato il film. È importante capire che a quel tempo anche solo parlare di preservativi nelle scuole superiori o chiedere un cambio di siringhe per i tossicodipendenti non era per niente facile. L’omofobia era moneta corrente nella società dell’epoca, anche se lo abbiamo dimenticato.