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Roma 2017, Borg McEnroe: Recensione in Anteprima

La storica rivalità tra Björn Borg e John McEnroe sbarca in sala con Borg McEnroe

pubblicato 3 Novembre 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 00:15

Quattro anni dopo Rush di Ron Howard, centrato sulla rivalità tra i piloti di Formula 1 James Hunt e Niki Lauda, interpretati rispettivamente da Chris Hemsworth e Daniel Brühl, il mondo del cinema è tornato ad incrociare la competizione sportiva grazie a Borg McEnroe, produzione scandinava presentata alla 12esima Festa del Cinema di Roma e dal 9 novembre nelle sale d’Italia.

Poche settimane dopo La Battaglia dei Sessi, legato ad un’epocale ma di fatto simbolica partita avvenuta nel 1973 tra Bobby Riggs e Billie Jean King, l’infilmabile tennis si fa nuovamente opera cinematografica grazie alla leggendaria finale di Wimbledon del 1980, tra l’allora numero uno al mondo Bjorn Borg, vincitore delle ultime 4 edizioni sulla mitica erba londinese, e il 21enne John McEnroe, numero due del mondo all’epoca celebre soprattutto per le sfuriate in campo contro arbitri e pubblico.

Janus Metz Pedersen, 43enne danese visto in tv con la 2° stagione di True Detective, concentra ovviamente la propria attenzione sul mito Borg, tanto glaciale in campo quanto furente nell’animo. La macchina infallibile, l’iceberg con la racchetta, colui che sbriciolava record sportivi a suon di punti e slam (11) è la colonna portante della pellicola, chiaramente interessata a sbirciare dietro la maschera del monolite Bjorn.

Gli anni dell’adolescenza, segnati da un carattere fumantino presto contenuto a forza, prendono vita grazie a flashback che ci mostrano la maturazione del giovanissimo Borg, forgiato dall’allenatore di una vita Lennart Bergelin, interpretato da Stellan Skarsgård. Accecato dalla voglia di vincere, ossessionato dalla perfezione e dalla scaramanzia, il tennista svedese era un trionfo di ansie e paure, anche se da tutti considerato algido e privo di emozioni sul campo da gioco, pronto ad esplodere come un vulcano da un momento all’altro. Fu proprio McEnroe, così talentuoso e sfacciatamente irascibile e sanguigno, ad accendere la miccia di Bjorn, non a caso ritiratosi a soli 26 anni, dopo aver perso Wimbledon contro John nel 1981. Impossibile, per lui, essere secondo.

Ma fu la finale inglese dell’anno precedente a passare alla storia, con Bjorn in corsa per il 5° Wimbledon consecutivo. Filotto mai riuscito a nessuno. Pedersen, dopo aver seguito passo passo il percorso di entrambi i tennisti nel corso del torneo, gestisce con sapienza la tensione di un incontro finito al 5° set, dopo match point buttati, continui ribaltoni e un tie-break passato alla storia come il più combattuto e incerto di sempre (18-16). Peccato che regista e sceneggiatore romanzino esageratamente la storia tra i due antagonisti, facendo quasi credere che fossero al primo scontro (‘non ha mai incontrato un sinistro come il tuo‘). Falso. McEnroe, che proprio uno sprovveduto non era essendo arrivato a quella finale Wimbledon con due Coppe Davis e un US Open in bacheca (ma l’immagine che traspare è quella di un ragazzotto capitato quasi per caso sul campo centrale), aveva già incrociato Borg in finale 3 volte, nei mesi precedenti, con una vittoria e due sconfitte.

Eccellente nella ricostruzione di un’epoca distante quasi 40 anni, con camera a mano e steady-cam per trasmettere un senso di realismo al tutto e un montaggio frenetico per dare ritmo ad un incontro indimenticabile, Borg McEnroe guarda alla vita fuori dal campo dei due campioni, ritratti pricipalmente come uomini, e non solo come sportivi, icone apparentemente agli antipodi eppure così simili, tanto da rimanere grandi amici una volta abbandonati i campi da gioco. Sia Borg che McEnroe giocavano a tennis come se da ogni punto dipendesse la loro stessa vita, con il primo, autentico martellatore da fondo campo, divorato dall’ansia e dalla necessità di vincere sempre e comunque e il secondo, aggressivo e costantemente a rete, assillato dall’idea di battere quel tennista con cui era cresciuto, appeso in camera sua grazie ad un poster autografato chissà quanti anni prima. Quella storica finale, montata ad arte per alimentare una rivalità passata alla storia, era lo scontro tra due Continenti, tra due modi diversi di vivere la vita e le emozioni.

Bork e McEnroe furono probabilmente le prime rock star del tennis globale, inseguiti dai paparazzi, ricercati dagli sponsor che iniziavano a sgomitare e perseguitati dai tabloid, con Pedersen capace nel ricreare quell’attenzione mediatica ma in difetto nel dipingere i caratteri di due protagonisti troppo legati alla loro immagine pubblica, a noi tutti conosciuta. Esageratamente marcata, poi, l’attenzione rivolta a Björn rispetto a John, con Borg interpretato da un somigliante Sverrir Gudnason e McEnroe da un impeccabile Shia LaBeouf, come lui esplosivo e facilmente irritabile. Un bilanciamento maggiore tra i due protagonisti avrebbe avuto maggior senso, dando uguale risalto al passato e ai tormenti di entrambi, ma chiedere tanto ad una produzione scandinava sarebbe probabilmente stato pretendere troppo.

[rating title=”Voto di Federico” value=”6.5″ layout=”left”]

Borg McEnroe (sportivo, 2017, Svezia, Danimarca, Finlandia) di Janus Metz Pedersen; con Sverrir Gudnason, Shia LaBeouf, Stellan Skarsgård, Tuva Novotny, Ian Blackman, Robert Emms, Scott Arthur, David Bamber, Janis Ahern, Jane Perry, Björn Granath – uscita giovedì 9 novembre 2017.

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