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Torino 2017, The Disaster Artist: recensione in anteprima

Storia di riscatto attraverso la mediocrità senza troppi giri di parole. The Disaster Artist è il James Franco più interessante ad oggi disponibile

pubblicato 28 Novembre 2017 aggiornato 27 Agosto 2020 23:23

27 maggio 2003. È la prima di The Room, film concepito, prodotto, scritto, girato ed interpretato da Tommy Wiseau. Un perfetto sconosciuto, il classico signor nessuno che appare sulla scena di punto in bianco a suo modo per fare la storia. Ad oggi tale impresa è considerata uno scult, definito il «Quarto Potere dei film brutti». Dietro questo lavoro c’è però una storia ma soprattutto una persona, ossia il suo ideatore, o quello che insomma ne sappiamo. James Franco ce lo restituisce, senza nemmeno troppa cattiveria, come rapito da un demone grottesco, capace di dar vita a qualcosa destinato a rimanere.

The Disaster Artist è uno dei film più eloquenti che si possano immaginare rispetto al periodo storico: una sorta di biopic narrante gli eventi che hanno portato a girare un film che forse non sarà davvero il più brutto di sempre ma che nondimeno è pessimo per davvero. Per questo genere di opere è stata creata, o forse si è imposta da sé, una categoria a parte, ovvero quella dei film talmente brutti da essere belli. Se non avete idea in merito a cosa si sia discusso sino ad ora, su YouTube, alla voce «The Room» (al massimo aggiungete Tommy Wiseau), trovate tutto quello che vi serve. Non si può fare diversamente: per comprendere il tipo d’operazione ed in qualche modo apprezzarla serve conoscere il fenomeno.

Leggenda/storia vuole che Greg (Dave Franco) incontri Tommy (James Franco) ad un provino e ne resti ammaliato; non dalla tecnica o dalla bravura in generale, solo dalla faccia tosta, il suo totale disinteresse verso chi è presente nella stessa stanza. È un problema che Greg non riesce a superare, limite non da poco per uno che sogna di fare «movies». I due cominciano a frequentarsi, diventando amici. Non solo. Tommy a quanto pare ha il cash e non appena propone a Greg di andare a vivere presso il suo appartamento di Los Angeles quest’ultimo non se lo fa ripetere una seconda volta.

The Disaster Artist fotografa bene non solo gli Stati Uniti ma un’intera epoca, quella in cui, banalmente, il vero discrimine tra sogno e realtà sta nella disponibilità a spendere. Greg, e noi con lui, di Tommy non sa nulla: chi sia, da dove venga e come faccia ad avere tutti quei soldi. Sta di fatto che dopo una miriade di rifiuti e la promessa per conto di terzi che non ce l’avrebbe mai fatta, decide d’imbarcarsi alla cieca in qualcosa in merito alla quale non ha la più pallida idea: fare un film per conto proprio. Lo scrive, e già la sceneggiatura è qualcosa da far lacrimare gli occhi: ha tutta l’aria di un racconto autobiografico con l’aggiunta di qualche licenza che, a dire di Tommy, ha a che vedere con la realtà e perciò come si comportano le persone.

Franco non riesce a penetrare davvero il mistero di questo personaggio, ed in fondo sa che non è possibile farlo: perciò gigioneggia, rende la sua particolarità simpatica e ci fa sorridere. Ma anche quando si sorride, e lo si fa sinceramente, sappiamo che in realtà c’è tanta, troppa tristezza. Una persona del genere bisogna che in qualche modo la si rispetti, o che quantomeno si faccia il possibile per simpatizzare con la sua palese alienazione. Ciò che dice e ciò che fa Tommy rappresenta un continuo esperimento per chi gli sta intorno, non soltanto perché ci si domanda se ci è o ci fa, ma soprattutto perché davvero non si sa come reagire dinanzi a certe uscite.

Perciò The Disaster Artist è come se ci urlasse in faccia costantemente: «attenti a ciò che desiderate», sebbene lo faccia in maniera esilarante ma triste al contempo. Si tratta del classico film che va assolutamente visto in compagnia, meglio se di sconosciuti; certo, il patto è stipulato in partenza per via del fatto che tendenzialmente si sa cosa si sta andando a guardare, ma è interessante notare come spesso chi ti sta accanto potrebbe trovarsi combattuto tra il compatimento e l’insopprimibile voglia di sorridere per certe situazioni. In tal senso, ad oggi è certamente il Franco più interessante, a mani basse proprio: basti pensare che dirige e interpreta un uomo che a sua volta ha diretto ed interpretato un altro film, e che film.

Prima di condurci dietro le quinte del «capolavoro» c’è tutto un preambolo sull’amicizia tra Tommy e Greg, che è vera e per questo in fondo riscalda. In più ci dice che, malgrado quello che Greg creda o voglia far credere, non è tanto diverso da Tommy, solo che rispetto a quest’ultimo ha avuto meno coraggio (o incoscienza, a secondo). D’altronde la figura del perdente al cinema sì funziona, a patto però di saper dosare, lavorando bene su tutte quelle spigolature che rischiano di vanificare ogni cosa. In questo The Disaster Artist è in fondo un buddy-movie in chiave da commedia, puntuale nelle battute e misurato nel rapportarsi con i fatti da cui trae ispirazione.

Perché sì, si sorride a prescindere vedendo ‘sto tizio che non è buono nemmeno a lanciare una palla da football a pochi metri, ma è altresì innegabile che per godere a pieno tocca sempre far riferimento al vero Tommy, così per come lo conosciamo proprio attraverso The Room. Franco sa che non pochi potrebbero avvicinarsi al suo film prima di essersi imbattuti nell’originale, ed allora dopo i titoli di coda, anche in modo un po’ spaccone se vogliamo, mette una accanto all’altra certe scene che ha ricreato paro paro da The Room. E si sorride, certo, ma se si pensa al passaggio in cui, sul finire di The Disaster Artist, Tommy/Franco, uscito dalla sala per la vergogna, si fa convincere dall’amico che quello sia un traguardo, ovvero che si rida così rumorosamente di lui, beh, il tutto assume un retrogusto particolare.

Amaro, non semplicemente agrodolce, perché parabole come quella di Tommy Wiseau, che in film come questo ci vengono trasmesse già filtrate e confezionate, toccano molti di noi per vie che a fatica vogliamo ammettere. «Mi sono aperto al mondo e questo è il modo in cui mi ripagano?», dice non testualmente Tommy; e subito pensi ai social, i talent e chi più ne ha più ne metta. Pensi a coloro che si “denudano” per niente se non perché li si apprezzi, o addirittura li si adori, mettendo al corrente il mondo di cose che invece è bene tenere per sé. In generale pensi all’inadeguatezza di ciascuno di noi, che spontaneamente sente perenemmente la necessità di ricevere un feedback, qualunque cosa attesti che siamo all’altezza di ciò che facciamo, ché non a tutti basta convincersi che sia così.

Una cultura che da sempre, per certi aspetti non a torto, incita a credere nelle proprie possibilità e nei propri sogni, fino a poco tempo si prodigava a far finta che non esistessero storie di questo tipo, finché, da una decina d’anni a questa parte grossomodo, non si è assistito ad un ribaltamento a più livelli (si veda alla voce «nerd»), tipico di quel postmoderno che già nel cinema dei fratelli Coen aveva rintracciato i propri eroi, degli anti-eroi, ossia dei perdenti.

Stavolta però il riferimento è troppo esplicito, troppo aderente alla realtà dei fatti, che è la stessa che ha portato ai cieli Wiseau per gli stessi motivi per cui nessuno lo prenderebbe mai sul serio. Franco ci costruisce sopra una commedia spassosa che è anche, come in parte accennato, un esperimento; uno di quelli che, tramite il corto circuito a cui dà adito, dice molto più di quest’epoca che del suo protagonista. Una storia di riscatto attraverso l’esaltazione della mediocrità non sarà forse un inedito, tuttavia sfido a trovare un altro film che lo sbatta in faccia a priori in maniera altrettanto chiara ed inequivocabile.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”7″ layout=”left”]

The Disaster Artist (USA, 2017) di James Franco. Con James Franco, Dave Franco, Seth Rogen, Alison Brie, Josh Hutcherson, Zac Efron, Kate Upton, Ari Graynor, Jacki Weaver, Hannibal Buress, Andrew Santino, Sugar Lyn Beard, Zoey Deutch, Bryan Cranston, Sharon Stone, Dylan Minnette, Melanie Griffith, Tommy Wiseau, Lizzy Caplan e Kristen Bell.

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