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Cannes 2018, BlacKkKlansman: recensione del film di Spike Lee

Festival di Cannes 2018: Spike Lee punta sulla commedia per evidenziare i punti di contatto tra il clima politico e sociale degli anni ‘70 e quello degli USA post-Trump

pubblicato 15 Maggio 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 20:18

Le primissime sequenze di BlacKkKlansman fungono da programma: Alec Baldwin, sul modello di Saturday Night Live, scimmiotta un Presidente mentre, tronfio, recita il suo programma incensante gli USA WASP, bianca, protestante e anglosassone. È lo stesso Baldwin che, proprio in quel programma, ha fatto il giro del mondo per la sua imitazione di Trump. Donald Trump: per certi versi l’ultimo film di Spike Lee è dedicato proprio a lui, colpevole, questa è l’accusa, di aver contribuito al ritorno in campo di movimenti e gruppi che l’America pre-trumpiana sembrava avere sciolto definitivamente. Eppure il film è ambientato in un altro periodo, i ‘70, quando The Donald forse non aveva ancora nemmeno piazzato il suo primo palazzo a Manhattan; ed in fondo si tratta di evidenziare i punti di contatto rispetto allo scenario odierno. Tuttavia, non bastassero le citazioni a mo’ di satira nel corso del film, il finale di BlacKkKlansman è inequivocabile circa il suo “omaggio”.

Siamo in Colorado, ed il dipartimento di Colorado Springs si appresta ad arruolare il primo poliziotto di colore. Si tratta di Ron (John David Washington), un ragazzo disposto a tutto pur di realizzare il suo sogno, compreso trattenersi dal picchiare il primo bianco che gli sgancia sul grugno la bomba N. Occuparsi di plichi e cartelle però non gli interessa, perciò gli viene subito assegnato un compito delicato, ossia infiltrarsi all’interno di una riunione a cui presenzia Stokely Carmichael per farsi un’idea circa le intenzioni dei nascenti gruppi a difesa dei diritti dei neri. Qui Ron comincia a toccare con mano la spaccatura interna tra il suo ruolo e l’appartenenza ad un popolo specifico; nulla di articolato, intendiamoci, ma in quel periodo essere un poliziotto di colore non poteva non mettere in crisi. Se in più si aggiunge che il nostro s’invaghisce della presidente di un gruppo studentesco (Laura Harrier), allora capite bene la portata della sfida.

Tornato in centrale, Ron legge un annuncio sul giornale: il Ku Klux Klan cerca gente motivata per unirsi alla causa. Questo passaggio è brillante, e non è il solo: Ron li contatta, loro richiamano, lui si dice interessato, loro lo scambiano per uno di loro, e da lì il gioco è fatto. Come fare però a dare seguito a questa telefonata? Serve uno che si spacci per lui, va da sé bianco, ed il collega ebreo Flip (Adam Driver) è esattamente ciò che fa al caso suo. L’improvvisata lezione che Ron gli impartisce per insegnargli a parlare lo slang è uno sketch divertente, un botta e risposta che fa il verso ai fratelli Coen, in cui, ancora, sono le battute a sfondo razziale a farla da padrone. Da quel momento il film procede su due fronti: da un lato l’operazione KKK, dall’altra la liason con la risoluta ragazza alla guida del movimento studentesco.

La satira di BlacKkKlansman, a questo punto si sarà capito, gioca tutto sul tema del razzismo, tirandolo fuori ogni due per tre sia da una parte che dall’altra. Ci sono uscite pesanti, che non vanno per il sottile, ma va detto che Lee in fin dei conti non ha nemmeno premuto troppo sull’acceleratore, come invece era lecito attendersi da lui.

I suprematisti sono delle persone spregevoli, è chiaro, e non è certo intento del regista rivedere o anche solo “motivare” questa cosa: uno è ritardato, l’altro è un folle attaccabrighe, il leader nazionale, David Duke (Tropher Grace), è il classico tipo apparentemente rispettabile ma con idee abominevoli, oltre che avere un ascendente notevole su certi zoticoni, i quali non sono pochi. Al contrario, gli attivisti di colore hanno le idee chiare, sono persone, non macchiette, anche se in relazione a tale contrasto tra un gruppo e l’altro emerge una delle misure più interessanti di questo progetto.

È risaputo che Lee è un po’ un indipendente, autonomia che non di rado ha tenuto a puntualizzare anche rispetto a quelle realtà vicinissime al suo sentire. Non ci pare di scorgere un vero e proprio giudizio di merito su coloro che hanno abbracciato sul serio lo slogan di Kwame Ture, Potere nero, tuttavia non sembra riconoscere loro chissà quale merito, mentre Ron e soci, quasi cazzeggiando, hanno ottenuto molto più di quello a cui si può arrivare con qualche corteo di protesta. A questo giro l’abilità di Spike Lee sta in pratica nel girare una commedia su questa cosa qui, ironizzando su tematiche e situazioni che, prese a sé stante, piuttosto tendono a mettere a disagio. Prendendo sul serio la storia, meno il racconto, Lee consegue un discreto equilibrio, senza mai uscire dai binari; alternando scene esilaranti (specie al telefono) ad altre più seriose ma comunque in nessun caso sopra le righe, è un po’ come se ce la si raccontasse a quattr’occhi mentre si scambiano due chiacchiere su quanto terribile sia lo status quo e l’unica è stemperare i toni, magari non sdrammatizzare, ma applicarlo ‘sto benedetto sarcasmo.

Ci si domanda perciò se un film del genere non stesse meglio magari Fuori Concorso, proprio perché rivolto in maniera così marcata ad un pubblico più ampio (o forse semplicemente ad un pubblico, detto senza malizia, perché quello di Cannes non lo è secondo l’accezione tradizionale, essendo appunto un pubblico “da Festival”), con una tesi a priori ben identificabile, e che brama una reazione su così larga scala anziché offrire chissà quale punto di vista. BlacKkKlansman è quel film lì, né più né meno, anche se fatto meglio, più compiuto insomma, rispetto a tutto ciò che Lee ha girato sostanzialmente da Inside Man a questa parte (e sono passati dodici anni). D’altra parte il regista di Fa’ la cosa giusta pare oramai avere individuato verso dove indirizzarsi, ossia sul genere dell’opera mainstream impegnata, dal messaggio chiaro, diretto. In tal senso questo suo ultimo lavoro funziona. Non spicca ma intrattiene, senza aggiungere granché al dibattito anche se forse l’obiettivo non è quello. Rispolverando peraltro parte del suo stile, il che, ad avviso di chi scrive, rappresenta la vera notizia, specie in ottica futura.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5.5″ layout=”left”]

BlacKkKlansman (USA, 2018) di Spike Lee. Con Adam Driver, Ryan Eggold, Topher Grace, Laura Harrier, Robert John Burke, Corey Hawkins, John David Washington, Jasper Pääkkönen, Paul Walter Hauser, Craig muMs Grant e Harry Belafonte. In Concorso.

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