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Michelangelo – Infinito: recensione del film evento

Il travaglio di Michelangelo Buonarroti nel film evento prodotto da Sky. Documentario di divulgazione che comincia a risentire della formula, al netto dei meriti a priori per un progetto del genere

pubblicato 27 Settembre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 16:15

C’è chi ricorderà che lo scorso anno uscì Michelangelo – Amore e Morte, altro progetto teso a rievocare la vita e le opere del Buonarroti. L’ultimo documentario prodotto da Sky, proposto in sala mediante l’oramai consolidata soluzione del film-evento, si muove su quel filo lì: Michelangelo – Infinito è se non altro un tributo al celebre pittore e scultore toscano, la sua esistenza travagliata, il suo a un certo punto abdicare all’Arte stessa spinto da quel desiderio d’infinito (appunto) e verità che è poi l’anelito di ciascuno, che lo sappia o meno.

Sky non è nuova a questo genere di produzioni, che hanno già coinvolto i Musei Vaticani, gli Uffizi e Raffaello Sanzio. Implementando tecnologie “nuove”, ora il 3D, ora il 4K, ci si è immersi in ambienti e contesti, siano essi luoghi reali o epoche passate, nel tentativo, ci pare, anche di promuovere parte del nostro patrimonio. È chiaro che, messa così, sembra quasi che si sia costretti a simpatizzare, se non addirittura a patteggiare per un’iniziativa che certamente ha un che di meritorio a prescindere. Ce l’ha pure perché si cerca in qualche modo si cerca di scardinare certe logiche, portare in sala gli spettatori al di là del sacrosanto intrattenimento.

Do per scontato quest’aspetto, che va da sé accomuna tutti i documentari a tema finora prodotti, con NexoDigital in prima linea nell’ambito di questa insperata onda. Se però quanto fatto per esempio con Musei Vaticani 3D e Firenze e gli Uffizi 3D/4K poteva in qualche modo vantare appunto quest’aura di novità, non dico innovazione, la formula comincia a stare stretta. Nel tentativo di divincolarsi dal mero pezzo didattico, anche con Michelangelo Infinito si cerca di andare oltre una divulgazione asettica, da raccoglitore di notizie e informazioni. Per questo vengono ingaggiati Enrico Lo Verso ed Ivano Marescotti, rispettivamente Buonarroti e Giorgio Vasari, quest’ultimo presente a ragion veduta, sia perché dal suo Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori sono state attinte parte delle notizie su Michelangelo, sia perché il Vasari stravedeva per lui (aspetto che, oramai è acclarato dalla critica, ha contribuito a rivedere certi dettagli, rivelatisi inesatti).

Il senso è un po’ quello di restituire non tanto, o non solo, un quadro storico, una serie di fatti, bensì andare oltre, deducendo i moti interiori, il travaglio di uno dei più grandi artisti di sempre. La domanda è… ci riesce questo Michelangelo Infinito? Perché sì, non ci si potranno appiccicare sopra tutte le categorie del lungometraggio tout court, essendo strutturalmente un ibrido, un oggetto che effettivamente richiede un tipo di analisi più su misura, se vogliamo riadattato. In tal senso ci vengono appunto incontro gli altri film evento di questo tipo, che a loro modo ci offrono un termine di paragone, un confronto interno a questo genere nel genere, mediante il quale è possibile sondare analogie, stabilendo possibili avanzamenti, testando meglio intuizioni, idee e meccaniche.

Ed è questo che si può e per certi versi si deve “contestare” a Michelangelo Infinito, ossia adottare un linguaggio che pare avere saturato le possibilità che porta in dote, oppure, al contrario, non dando l’impressione di averle esplorate abbastanza. Squadra che vince non si tocca varrà forse nello sport, non in un ambito che della continua, inesausta sperimentazione ne fa una delle proprie prerogative. Consapevoli della complessità di tale processo, ché tanti sono gli elementi in ballo, tra cui, non meno nobile, quello di convincere il pubblico a recarsi in sala per vedere qualcosa di diverso, particolare, ma che al tempo stesso potrebbe oramai vedere sul proprio computer. Da qui lo spingere sulla tecnologia, l’adoperarsi nel ricostruire certe vedute, certi scorci, che effettivamente visti in una sala, non solo in uno schermo di quella grandezza, hanno tutto un altro significato, un altro sapore proprio.

Superfluo perciò stare lì a fare le pulci sulle interpretazioni dei due protagonisti, accessorie a priori, quasi che si volesse condire la notizia, che non sono fatti ma appunto sentimenti, sensazioni, le quali, mancando un’impalcatura drammatica, non possono che emergere mediante enunciazione, ergo depotenziate all’inverosimile. Gira che ti rigira, dunque, oramai lo spunto più interessante, quello dal maggiore potenziale, rimane la ricostruzione visiva: così come colpì il prendere vita di certi dipinti in Firenze e gli Uffizi grazie al ricorso al 3D, qui è la computer grafica a dire la sua, imponendo discorsi che tuttavia non sono sicuro riguardino il Cinema in senso stretto, quanto la Pittura, la Scultura, la Videoarte al massimo.

Non che tutto ciò non possa travasare nella Settima Arte, d’altronde sperimentazione e avanguardie sono fenomeni tutt’altro che avulsi, senonché c’è una variante che in qualche modo frena, non per mero, facile snobismo; dovendo infatti richiamare quanta più gente possibile, è quasi una conseguenza non potersi spingere troppo oltre, avendo necessità di contenere il rischio, o quantomeno sublimarlo in altro modo. Agli occhi perciò di chi segue da vicino, chi studia certe evoluzioni, progetti come Michelangelo Infinito possono avere ed anzi hanno un certo appeal, che non è lo stesso su cui può contare un pubblico più vasto.

A quest’ultimo resta per lo più qualche bella immagine, l’accostarsi a una storia che magari non conosce, a patto di non pretendere più di così. Se emerge perciò qualche nota didattica, questa sta nello sfidare velatamente lo spettatore, non tanto, come si sarebbe portati a credere, a livello di sguardo, quanto di ricezione di un tipo di racconto al quale in larga parte non è abituato a sottoporsi. A un altro livello, va registrata la necessità di rivedere la formula, non per abbandonarla ma quantomeno per consentirle di operare lo step successivo, a questo punto indispensabile, pena il suo cristallizzarsi, che in questo caso si traduce nel non poter dire o dare più alcunché.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]

Michelangelo – Infinito (Italia, 2018) di Emanuele Imbucci. Con Enrico Lo Verso e Ivano Marescotti. Nelle nostre sale da giovedì 27 settembre 2018.