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Uno di famiglia, recensione: malavita e tentazioni nell’Italia di oggi

Le lusinghe della malavita capaci di compromettere anche i più onesti in questa commedia che aspira al sapore agrodolce senza però riuscire ad imbastire un racconto in linea con la complessità del discorso

pubblicato 24 Ottobre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 15:38


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Luca (Pietro Sermonti) tiene lezioni di dizione nella nicchia di studio ritagliatosi presso il bell’appartamento romano che condivide con Regina (Sarah Felberbaum). La realtà è quella conosciamo: anche nell’ambito della Roma bene si fa fatica, si continua a vivere al di sopra delle proprie possibilità, come peraltro fanno i facoltosi amici di Regina, uno in particolare, spacciatore d’Arte contemporanea («non vendo uno specchio, vendo un sogno»). Uno dei clienti di Luca è Mario, giovane di origini calabresi che intende “correggere” il marcato accento calabrese per via di certe velleità attoriali. Un giorno Mario rischia di essere messo sotto da un’auto proprio sotto casa di Luca; quest’ultimo lo salva e la famiglia del ragazzo da quel momento non può fare a meno di mostrargli la propria incondizionata riconoscenza.

Decenni addietro si parlava inevitabilmente di Mafia, mentre da svariato tempo a questa parte su TV e giornali la criminalità in Italia è per lo più associata a Camorra e ‘Ndrangheta, non meno tentacolari rispetto alla loro controparte siciliana. Tuttavia Uno di famiglia parte da questo dato per fare un discorso diverso, ossia come una persona verrebbe da dire normale, tutto sommato onesta, si relaziona a realtà come queste in un periodo storico così delicato, in cui i compromessi non sono mere scappatoie ma talvolta uniche soluzioni apparenti per restare a galla.

Quando Luca arriva a casa Serranò, ingenuo, si lascia trasportare dall’ospitalità, dalla proposta della zia Angela (Lucia Ocone), che insieme al boss (Nino Frassica) nonché padre di Mario mette nelle mani dell’ignaro maestro di dizione duemila e quattrocento euro, promettendogliene ancora affinché si dedichi con particolare attenzione al rampollo dei Serranò. Da qui ha inizio una serie di equivoci e fraintendimenti che metteranno Luca nella scomoda posizione di doversi barcamenare tra le pressanti richieste di Angela e sostanzialmente la Giustizia, il suo cercare di restare suo malgrado nell’orbita della famiglia calabrese senza però compiere gesti da cui non c’è ritorno.

Questo nelle premesse, se non altro. Declinato alla commedia, non poche le falle che emergono, tutte dovute all’esigenza di tenere bassi i toni, sdrammatizzare, far sorridere rispetto a scenari limite, come Luca che si fa tramite di una trattativa tra famiglie, dovendo recapitare un messaggio di cui chiaramente non capisce alcunché. Va detto che Sermonti, simpatico qual è, riesce a tenere a tratti botta, quantunque sia raro, ma la leggerezza di fondo appare sproporzionata, o perché male implementata o perché a priori non funzionale ad una vicenda i cui contorni sono tutt’altro che concilianti.

Per emergere qualcosa di vagamente significativo ci si mette tanto, troppo, e se da un lato il baldanzoso amico di Regina che chiede un favore per interposta persona, mettendo da parte tutto, dignità e onestà incluse, in fin dei conti non attecchisce chissà quanto, dall’altro quei frangenti in cui le perplessità, i dubbi di Luca vengono sopraffatti da quel senso di potenza destinatogli appunto da queste sue conoscenze “importanti”, qualcosina di autentico ce la dicono. Pare però che Uno di famiglia abbia qualcosa da dirci suo malgrado, nel senso che il tema, finanche la fattispecie, sono forieri di verità, un po’ perché certe situazioni ci sembra di conoscerle, anche se indirettamente, un po’ perché in fondo, se è vero che l’occasione fa l’uomo ladro, allora si può anche dire che certe dinamiche attengono all’uomo di sempre, a prescindere dal contesto – emblematica, in relazione a quanto appena evidenziato, la sottotrama che coinvolge Neri Marcorè nei panni di un invalido.

Le difficoltà però nel mantenere il tutto in qualche modo credibile (non realistico eh, non facciamo confusione) sono palesi, le si avverte proprio, e se non si sfiora la farsa non si può neanche dire che si riesca a distanziarcisi nella misura in cui il film ne avrebbe senz’altro beneficiato. Illustrare con maggiore incisività certi meccanismi, anzitutto interiori, certi scrupoli, il conflitto che spinge questi personaggi a prendere certe decisioni a fronte di episodi in cui è l’azione a farla da padrone, forse non rientra nemmeno nelle corde di un progetto del genere, ma ancora persiste questa inefficienza nel fare un tipo di commedia che al tempo stesso faccia riflettere, mettendoci davanti a storie in cui sì, ci si ride un po’ su, ma che di fondo sono tremende, tristi per dire il meno.

Il finale amaro, dopo svariate peripezie occorse al protagonista, non fa che calcare ulteriormente la mano su questo difetto congenito; sottoponendoci una tesi verosimile, che consiste nella presa di coscienza che, una volta dentro a certi giri, uscirne davvero non è contemplato, lo si mostra con approssimazione, una superficialità che non può essere anche stavolta forzatamente fraintesa con l’intenzione di non eccedere. Si deve semplicemente ammettere che il risultato al quale presumibilmente si ambiva non fosse alla portata, perché effettivamente una chiusa che stende, in un ambito così complesso come quello della commedia, è affare assai complicato, non per niente del tutto disatteso anche da Federici.

Una stagione, insomma, che il cinema italiano di oggi sta tentando sempre più disperatamente, oltre che forse inconsapevolmente, di far rivivere, solo che non sembrano esserci i presupposti, siano essi autoriali, ma in generale di direzione, verrebbe da dire d’industria, sulla falsa riga di quanto rilevato in relazione a Nessuno come noi. Uno di famiglia arriva si situa in questa finestra specifica, senza pretendere di porsi su chissà quale piedistallo, di scardinare logiche o che so io; senonché l’operazione resta debole, la scrittura tesa a far quadrare certi conti più che coinvolgerci in un discorso, al quale, come già accennato, forse non ci voleva da principio accostare davvero. E la leggerezza finisce col farsi beffardamente pesante.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]

Uno di famiglia (Italia, 2018) di Alessio Maria Federici. Con Pietro Sermonti, Lucia Ocone, Sarah Felberbaum, Moise Curia, Massimo De Lorenzo, Anna Della Rosa, Giampiero Judica, Neri Marcorè e Nino Frassica. Nelle nostre sale da giovedì 25 ottobre 2018.