Home Festa del Cinema di Roma Roma 2018, Beautiful Boy: Recensione del film di Felix Van Groeningen

Roma 2018, Beautiful Boy: Recensione del film di Felix Van Groeningen

Steve Carell paziente padre di Timothée Chalamet, ‘Beautiful Boy’ segnato dalla dipendenza per le droghe.

pubblicato 21 Ottobre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 15:33

5 anni dopo la nomination agli Oscar per Alabama Monroe – Una storia d’amore, il 40enne belga Felix Van Groeningen è sbarcato ad Hollywood per adattare due autobiografie scritte dal giornalista David Sheff, entrambe incentrate sul figlio tossicodipendente. Beautiful Boy, prodotto dalla Plan B di Brad Pitt, è il drammatico risultato trainato da due prove recitative da Oscar. Al fianco di Timothée Chalamet, esploso un anno fa grazie a Chiamami col tuo nome e ancora una volta straordinariamente credibile dinanzi all’ennesima trasformazione, spicca infatti il sempre più camaleontico Steve Carrell, paziente padre-coraggio sfiancato dall’inclinazione autodistruttiva del primogenito maggiorenne.

Nicolas Sheff, 18 anni appena, parrebbe aver tutto dalla vita. E’ intelligente, scrive per il giornale della scuola, fa teatro, disegna meravigliosamente e gioca a pallanuoto. Ha un padre, una madre e una matrigna che lo amano immensamente, oltre a due fratellastri più piccoli che lo venerano, eppure qualcosa lo sta distruggendo. Lentamente. Da quando ha 12 anni, infatti, Nic si droga, pesantemente. Prima un banale spinello, poi cocaina, eroina, LSD, metanfetamina. Il ragazzo chiede e riceve aiuto dai propri famigliari, ma le ricadute sono sempre dietro l’angolo e si fanno fastidiosa e pericolosa costante. Gli Sheff dovranno accettare l’apparentemente incurabile dipendenza del figlio, malato e per questo bisognoso d’aiuto, di assoluta comprensione.

L’avesse girato nel suo Belgio, con attori sconosciuti e produttori europei, Van Groeningen l’avrebbe probabilmente realizzato in maniera decisamente differente, questo Beautiful Boy che paga pegno con il ‘ricattatorio’ tipicamente hollywoodiano.

Una storia tanto delicata, unicamente centrata sul dramma della tossicodipendenza, richiedeva un approccio meno invasivo e traboccante, con scene madre che si susseguono e una parte finale dal montaggio insostenibile, perché accompagnata da una sinfonia d’opera di 10 minuti in cui Van Groeningen pretende le lacrime dello spettatore. Il pianto, richiesto a gran voce per due ore, si tramuta così in fastidio, perché forzatamente reclamato, neanche fosse dovuto.

Lo script di Luke Davies, già sceneggiatore del sopravvalutato Lion – La strada verso casa, fa inesorabilmente ombra a due grandi interpretazioni: quella del 22enne Chalamet, combattuto tossicodipendente dai continui sbalzi d’umore, e quella del 56enne Carell, ormai sempre più orientato verso film ‘impegnati’ e in questo caso meraviglioso padre tristemente impotente dinanzi alle incontrollabili dipendenze del figlio.

La relazione padre/primogenito tra Timothée e Steve, fatta di forti abbracci e sguardi d’affetto, tiene in piedi un’opera che non conosce mezze misure, esplicitando sentimenti, problemi, dissidi. Ai due si affianca una bravissima Maura Tierney, Golden Globe per The Affair qui al cospetto di una matrigna costretta a dover gestire in silenzio il rapporto tra l’adorato marito, i figli e l’amato figlioccio. Ad ogni mano tesa, il giovane e combattuto Nic risponde con l’ennesima ricaduta, mentre Van Groeningen e Davies insistono sulla corda delle emozioni ad ogni costo, svaccando poco prima dei titoli di coda con delle didascalie sulla pericolosità delle droghe da spot ministeriale. La ripetitività si fa prassi, purtroppo, con il formidabile Chalamet mattatore indiscusso di una pellicola che se più minimale, e meno ostentata, avrebbe guadagnato in drammaticità.

[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]

Beautiful Boy (Usa, drammatico, 2018) di Felix Van Groeningen; con Steve Carell, Timothée Chalamet, Maura Tierney, Christian Convery, Oakley Bull, Kaitlyn Dever, Amy Ryan, Stefanie Scott, Julian Works, Kue Lawrence

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